Orchestra, Coro femminile e Coro di voci bianche del Teatro alla Scala. Teatro alla Scala, Milano
Direttore Zubin Mehta, contralto Daniela Sindram
Gustav Mahler, Sinfonia n.3 in re minore
C’è la bellezza sorprendente e disarmante della semplicità nella Terza sinfonia di Gustav Mahler così come la propone Zubin Mehta al Teatro alla Scala. Nuovo appuntamento della stagione sinfonica autunnale e sul podio, dopo il tutto Richard Strauss del primo programma, ancora il musicista indiano che davanti non ha un leggio, ma dirige tutto a memoria per l’ora e quarantacinque minuti che dura la partitura mahleriana. La Terza arriva quasi come un racconto autobiografico nella sua pacificante nostalgia, ricordo di un tempo (più che di un mondo) che non torna più. Ma non lascia il rimpianto, piuttosto un ricorso, il ricordo di un’estate, il ricordo di ciò che raccontano i fiori del campo o gli animali del bosco. Il ricordo, che si fa tesoro prezioso, di ciò che narra l’uomo nella certezza che il dolore presto lascerà spazio alla gioia, una gioia che «will ewigkeit», vuole eternità. Nella prospettiva di una gioia celeste, evocata da quell’ipnotico «bim, bam» delle voci bianche. Arrivano da lontano, come il canto della tromba. Voci che ti avvolgono, ti portano dentro la musica che Mehta restituisce, sempre con il sorriso disegnato sul volto, con passo solenne, riuscendo a rendere naturale e armoniosamente unitaria una pagina a più facce. Il canto della terra di Mahler arriva immediato come se si dispiegasse per la prima volta. Eppure è pensato al millimetro, concertatissimo da Mehta al quale basta un cenno per chiedere (e magnificamente ottenere) dettagli sorprendenti dai musicisti della Scala, gli orchestrali, i ragazzi delle voci bianche e le voci femminili del Coro di Bruno Casoni, commoventi nel prefigurare la gioia del perdono a chi, da uomo (a dargli voce scura Daniela Sindram), ancora oggi «weine ja bitterlich», piange amaramente. E in quel pianto (e in quel perdono) ciascuno può mettere se stesso.