La musica è un servizio pubblico che va garantito sempre dice il sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo Dopo il virus dovrà cambiare il modo di fare cultura
«Bisogna far ripartire al più presto la musica, fosse anche per un solo spettatore». Francesco Giambrone, sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo, mette in atto quello che chiama «un esercizio di speranza nell’immaginare il futuro». progettare, programmare, reinventare l’opera lirica, fermata dall’emergenza coronavirus. «L’Italia sta provando a ripartire, ma nello spettacolo dal vivo domina ancora l’incertezza» racconta Giambrone che è anche presidente dell’Anfols, l’associazione che raduna le fondazioni lirico-sinfoniche italiane. Il comitato scientifico della Protezione civile apre a una possibilità per giugno. Nei prossimi giorni si attende un decreto che dia la possibilità ai teatri di riaccendere i motori. «Noi come Anfols abbiamo inviato un documento al ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Franceschini nel quale chiediamo certezze e regole chiare».
Di che tipo, Francesco Giambrone?
«Sarebbe importante avere una data, qualunque essa sia. “Si riparte a iniziare da…” sarebbe un punto fermo per non continuare a spostare in avanti agende e programmi senza sapere come si riprenderà e con quali dispositivi di protezione e quali regole in platea a e sul palco: noi dobbiamo far fronte ad un doppio assembramento, quello tra gli spettatori e quello tra gli artisti in scena e in buca d’orchestra. Tutti vogliamo ripartire il prima possibile e nella massima sicurezza, ma per questo occorre avere un protocollo unico e certificato per tutto il settore che poi ogni istituzione declinerà nella propria realtà. Quando avremo questo protocollo dovremmo riaprire subito e mettere i nostri lavoratori, il nostro grande patrimonio umano, sul palco. Per questo lavoriamo per farci trovare pronti».
Quanto è costata in termini economici al Teatro Massimo questa pandemia?
«Sino a fine maggio i mancati incassi saranno di un milione e 400mila euro. E naturalmente più avanti si va avanti con questo stop e più i conti peggioreranno. Nel pensare a come sarà la seconda parte della stagione, tutta a riprogrammare tenendo anche conto che la mobilità per gli artisti dall’estero non sarà facile, dobbiamo tenendo conto che il paese sarà in una condizione economica critica e il prezzo del biglietto non potrà che risentirne e scendere necessariamente».
Come immagina la ripartenza?
«Certo, a me piacerebbe ripartire con il Nabucco la cui scenografia è ancora sul palco del Teatro Massimo: era praticamente pronto, mancavano solo le ultime prove e saremmo andati in scena. Ma forse non si potrà. Quando ripartiremo, almeno nella prima fase, dovremo fare cose diverse da quelle che facevamo prima di abbassare il sipario per il coronavirus: occorrerà pensare a spettacoli con piccoli organici e pochi artisti coinvolti. La musica fuori dei teatri? Una bellissima idea, qui a Palermo l’abbiamo fatta in tempi di non pandemia, portandola nei quartieri difficili dallo Zen a Danisinni. Ma ora forse sarebbe controproducente perché creerebbe comunque assembramenti. Bisogna tornare a far vivere il teatro, paradossalmente anche con uno spettatore solo: sono sicuro che da pochi spettatori, magari un centinaio per l’inizio, torneremo a fare il tutto esaurito cui eravamo abituati prima del Covid».
La strada dello streaming può essere un modo per la lirica di reinventarsi?
«Il digitale in questa fase di transizione sarà un grande alleato per aprire il teatro a pochi spettatori e allargare la platea con la trasmissione in streaming. Certo deve rimanere un alleato e comunque non potrà mai sostituire lo spettacolo dal vivo. Ma, se devo dire la verità, non mi sembra che questo possa essere un pericolo all’orizzonte. Dovremo invece trovare una declinazione creativa del digitale facendolo diventare una possibilità per gli artisti di immaginare il loro atto creativo dal vivo con il supporto del digitale».
Comunque un po’ di cose nel mondo della lirica dopo il coronavirus cambieranno.
«Dovranno farlo necessariamente e se non succederà vorrà dire che non avremo imparato nulla da questa situazione che ci ha messo tutti alla prova. Se i delfini a Cagliari o l’acqua limpida nella laguna di Venezia ci possono far sperare di essere un po’ diversi nel nostro rapporto con l’ambiente e la terra, dovremo imparare anche a modificare il nostro rapporto con la cultura e con il modo di gestirla a livello locale, ma soprattutto a livello di Stato».
Cosa intende?
«Il paradigma dei numeri di tipo economico sul quale abbiamo costruito gli ultimi trent’anni del nostro sistema culturale in questo frangente si è dimostrato non più efficace: gli algoritmi, il numero di alzate di sipario, gli incassi che tutti rincorrevamo per realizzare punteggi per avere soldi in più del ministero hanno perso di colpo il loro significato. Non erano efficaci nella valutazione qualitativa, non lo sono a maggior ragione oggi quando i sipari sono rimasti abbassati e le recite azzerate. Dobbiamo ripensare la cultura come servizio pubblico. E un servizio pubblico è utile al di là dei numeri e deve essere erogato quotidianamente. In tempi non sospetti con il massimo abbiamo portato la musica nei quartieri difficili di Palermo, facendo spettacoli che, paradossalmente, valgono zero per i punteggi di assegnazione del Fus. Usciremo migliori da questa situazione se questi programmi sociali smetteranno di valere zero e se troveremo un altro modo per valutare adeguatamente questo che è un servizio pubblico, l’educazione delle nuove generazioni. Se invece di inseguire i numeri intercetteremo i bisogni dei territori saremo cambiati perché trasformeremo in risorsa un momento difficile. Su questo ci siamo già confrontati con il ministero. E oggi quel tavolo ha stimoli in più e può ripartire con più slancio».
Nella foto @Rosellina Garbo il sovrintendente del Massimo di Palermo Francesco Giambrone