OperaLombardia ripropone la versione dell’opera di Verdi pensata nel 2001 dal maestro per il minipalco di Busseto Parte da Cremona l’allestimento diretto da Cilluffo
I cartelloni dei teatri lirici si programmano per tempo. Anche in Italia, dove siamo sempre in ritardo (ma la tendenza un po’ sta cambiando) rispetto agli altri paesi europei e non solo europei. Almeno un anno prima – o anche con più anticipo nelle istituzioni virtuose che vogliono accaparrarsi gli artisti prima che la loro agenda si riempia. Così l’Aida del circuito OperaLombardia (virtuoso per programmazione e qualità delle proposte messe in campo) con la regia di Franco Zeffirelli era già un progetto nero su bianco da tempo. Ben prima della morte, avvenuta lo scorso 15 giugno, del regista fiorentino. Progetto con il Festival Verdi di Parma che, proprio per l’edizione 2019 ha recuperato, restaurato e rimontato l’allestimento in miniatura del capolavoro verdiano pensato da Zeffirelli nel 2001 per le celebrazioni dei cento anni della morte del compositore.
Progetto che dunque, dopo la scomparsa del maestro, è diventato un omaggio affettuoso al regista che è tornato più volte nella sua lunga carriera su Aida. Quella di Busseto, raccontava Zeffirelli, era la sfida più grande: mettere in scena su un palco lungo sette metri e mezzo un’opera kolossal con il celeberrimo trionfo che all’Arena di Verona strappava l’applauso per la quantità di personaggi sul palco. Sfida vinta anche grazie alla dimensione intima (che è l’altro lato della medaglia del kolossal) della partitura verdiana che, nel teatro mignon di Busseto, portava in primo piano i sentimenti dei personaggi, del triangolo amoroso e impossibile tra Aida, Radames e Amneris.
Sfida che regge ancora. Ha retto nella riproposta di ottobre a Busseto. Lo fa ora nei teatri di OperaLombardia: Aida, partita dal Ponchielli di Cremona, approda al Fraschini di Pavia (21 e 23 novembre), al Sociale di Como (29 novembre e 1 dicembre), al Grande di Brescia (6 e 8 dicembre) per chiudere il tour (fuori circuito) al Sociale di Bergamo (13 e 15 dicembre). A Busseto Aida intatta nel suo fascino di miniatura artistica, conservato nelle recite di OperaLombardia solo nella scena della stanza di Amneris: Stefano Trespidi, che ha rimontato lo spettacolo riallestendo le scene originali, ha dato infatti più respiro agli altri ambienti, adattando i bozzetti, firmati dallo stesso Zeffirelli, alle dimensioni più distese del palcoscenico di Cremona (e delle altre piazze) sul quale stanno, come in una regia di solida tradizione, coristi e comparse a fare da corona ai protagonisti. Un po’, diciamolo, il fascino dell’Aida mignon si perde. Restano immutati i colpi di teatro di Zeffirelli, primo fra tutti quello di fare un trionfo visto da dietro, dalla parte del popolo che, dando le spalle al pubblico, saluta i guerrieri (che possiamo solo immaginare al di là della folla) che sfilano davanti alle piramidi. Kitsch sapientemente evitato (anche a costo del taglio dei ballabili e della ripresa del coro) e primo piano psicologico su Aida che assiste, tormentandosi, al trionfo dell’amato Radames che ha sconfitto in guerra il suo popolo e ha riportato il padre Amonasro come prigioniero.
Un’Aida che profuma di incenso. Quello vero che sul palco si accende nei bracieri del Tempio di Vulcano e nelle ciotole che Amneris pone sulla tomba di Radames e invade la platea. Profumo di sacro. Perché l’opera è un rito. Franco Zeffirelli lo sapeva, così lo viveva. Un rito collettivo fatto di gesti, parole e musica. Teatrale. Barocco, in qualche modo. Lo celebrava così il regista fiorentino, ricreando l’illusione del vero in scena. Ma sapeva anche il maestro che l’opera lirica è (deve essere) in quanto rito un momento di riflessione comune, un racconto nel quale specchiarsi per vedersi e capirsi meglio. Racconto di sentimenti (che non hanno tempo) a tinte forti quello dell’opera scritta da Verdi per l’apertura del Canale di Suez che si compie nel nascondimento di una stanza, nel buio della notte, nella claustrofobia di una tomba.
Francesco Cilluffo sul podio dei Pomeriggi musicali tiene bene insieme la doppia natura di Aida, quella intima e quella kolossal, passa con naturalezza da una all’altra esaltando i contrasti in una dissolvenza incrociata cinematografica. Il direttore racchiude tutta l’opera in una grande arcata che nasce dal silenzio e nel silenzio si spegne, chiede (e ottiene) un suono pieno e avvolgente, governa con mano salda il dialogo tra buca e palcoscenico non perdendo mai il ritmo narrativo del canto. Per lui (e per tutti il cast) applausi calorosissimi a scena aperta e inusuali richieste di bis dopo il Trionfo (grazie anche al coro di OperaLombardia preparato da Diego Maccagnola) e dopo la grande scena del quarto atto di Amneris.
Segno che l’opera è ancora capace di scatenare passioni. A incarnarle sulla scena Maria Teresa Leva che disegna un’Aida dolente, ma mai rassegnata, musicalissima nei fiati interminabili, negli acuti cristallini che la cantante sceglie per risolvere il complesso personaggio. Sempre presente, sempre catalizzatrice in scena anche quando lo squillo perentorio (seppur intonato e musicale) del Radames di Samuele Simoncini rischierebbe di coprire tutto e di appiattire il racconto nel forte e nel fortissimo che il tenore imprime a tutto il suo canto, privo di mezze voci e sussurri. Muscolare anche la prova di Cristina Melis, Amneris che si impone grazie ad una voce avvolgente e sempre ben timbrata, anche nei passaggi all’acuto che Verdi chiede. Lontano (fortunatamente) dagli accenti veristi che troppo spesso si ascoltano da Amonasro il baritono Leon Kim. I bassi, che fanno Ramfis e il Re, sono Fabrizio Beggi e Francesco Milanese.
Nelle foto @Alessia Santambrogio Aida al Ponchielli di Cremona