Les pêcheurs de perles inaugura la nuova stagione del teatro pronto a ripartire dopo un periodo difficile di cambi ai vertici Spettacolo in stile musical con Ryan McAdams sul podio
Forse, in tempi di crisi, sognare è lecito. Non fa male, anzi. Un po’ è anche terapeutico perché ti fa risvegliare con quella malinconia lieve che ti mette in condizioni di ripartire con più entusiasmo. Il sapore de Les pêcheurs de perles di Georges Bizet che ha inaugurato la nuova stagione del Teatro Regio di Torino è un po’ questo. Un sogno, che arriva in tempi di ripartenza quando il teatro fa quadrato attorno al nuovo sovrintendente e direttore artistico Sebastian F. Schwarz che dovrà rimettere insieme i cocci lasciati dalla burrasca innescata dall’amministrazione cinquestelle del sindaco Chiara Appendino con l’addio di Walter Vergnano al quale è seguita la gestione (per un anno) di William Graziosi. Capitolo archiviato (sembrerebbe).
Si riparte sognano, dunque. Perché il cartellone 2019-2020 ha molti titoli interessanti, da Violnata di Korngold alla Damnation de Faust di Berlioz con la regia di Damiano Michieletto. Ma soprattutto perché l’inaugurale Pêcheurs de perles nella confezione di Julien Lubek e Cécile Roussat – i due firmano regia, scene, costumi, luci e coreografie – sembra un cartone animato di Walt Disney, di quelli in versione musical alla Aladdin per intenderci. Scene suggestive ed esotice – l’impianto è fondamentalmente unico, una spiaggia dell’isola di Ceylon che si popola di palme o viene chiusa da una parte che evoca un palazzo – teatralmente finte, dove un pavimento di specchi evoca il mare e coriandoli d’argento le gocce d’acqua sollevate dai remi delle barche. Trucchi semplici, ma che catturano per una regia che più tradizionale non si può, fatta, però, con intelligenza, senza quelle cadute di stile (a parte le fiamme in versione emoticon che calano nel finale) che spesso, in allestimenti di segno tradizionale, sfiorano il comico.
Poesia delle cose semplici nell’allestimento che Julien Lubek e Cécile Roussat realizzano come un’opera-balletto (anche qui niente di innovativo perché sono le musiche di Bizet a suggerirlo, ma le coreografie sono gradevoli e funzionano) dove la danza contrappunta continuamente il racconto rendendo immagine la parola/canto in un continuo flash back, in un avanti e indietro nel tempo della storia che mostra il passato per poter capire il presente di Zurga, Nadir e Leïla. Che è il meccanismo che regge la storia messa in musica da Bizet su libretto di Eugène Cormon e Michel Carré. Variazione sul tema del triangolo amoroso con drammatico finale. Nadir e Zurga sono amici da sempre, divisi, però, dall’amore di una donna che li ha allontanati: ora si ritrovano e si giurano fedeltà, ma Nadir ritrova anche l’amata Leïla, sacerdotessa votata alla verginità e la convince a fuggire. Zurga li scopre e li condanna a morte, ma nel momento di eseguire la sentenza non ha cure e incendia il villaggio per distrarre il popolo assetato di vendetta e far fuggire per sempre i due.
Pensi alla perla preziosa che non è solo quella che i pescatori cercano, ma che, dice Bizet con la sua musica, è l’amicizia quella che sa sacrificarsi per l’altro; che è l’amore raro e prezioso da trovare, proprio come una perla. Ecco il sogno della favola dei Pêcheurs de perles di Bizet che, nell’edizione del Regio di Torino, hanno il punto di forza nella direzione di Ryan McAdams che dal podio affonda le mani (spesso dirige senza bacchetta) in una musica dalla bellezza disarmante, fatta di melodie che l’orchestra restituisce con suono pieno e limpido e alle quali il coro (preparato da Andrea Secchi) da corpo con grande gusto e musicalità.
Quattro solisti – in fondo la si allestisce con poco, ma non è così frequente sui nostri palcoscenici – raccontano la storia malinconica che ti lasca con un po’ di amaro in bocca vedendo Zurga che resta solo con il suol dolore. Al capo dei pescatori offre la sua voce e il suo temperamento Pierre Doyen chiamato in corsa a sostituire il previsto Fabio Maria Capitanucci: il baritono è entrato subito nello spettacolo regalando momenti intensi. Come hanno fatto Hasmik Torosyan, Leïla dalla voce di cristallo (a volte, però, nei concertati, devi inseguirla con l’orecchio teso), e Kévin Amiel, Nadir affidabile (voce educata, ma non di volume enorme) che strappa l’applauso nella celebre romanza Je crois entendre encore. Puntuali gli interventi di Ugo Gugliardo nei panni del gran sacerdote Nourabad.
Tutti vestiti (sempre da Julien Lubek e Cécile Roussat) come in un kolossal in versione Bollywood. Colori e lustrini che, un po’, fanno sognare.
Nelle foto @Edoardo Piva Teatro Regio Les pêcheurs de perles a Torino