Il direttore vara il debutto della Filarmonica di Milano dove suonano giovani di talento e affermati musicisti Intensa lettura delle Sinfonie del compositore tedsco
In trasparenza ci leggi un’autobiografia. Forse qualcosa di più di una semplice, per quanto avvincente, successione di fatti. Un racconto che si fa flusso di coscienza, quasi una sorta di diario della mente e dell’anima nel quale dare forma (e soprattutto significato) ai pensieri, al vissuto quotidiano. Anche ai sogni. Analisi psicanalitica (che sui sogni poggia e che da essi trae spunti per leggere e interpretare la vita) in musica. Analisi necessaria per (ri)conoscere e (ri)trovare se stessi.
L’autobiografia non è, però, quella di Robert Schumann anche se sul leggio de laFil, la Filarmonica di Milano – nuova orchestra nata in pochi mesi, e il miracolo lo hanno fatto la tenacia e il crederci dei protagonisti – ci sono le quattro sinfonie del musicista tedesco che in questo flusso di coscienza mette sul pentagramma la sua (a tratti tragica) storia. Perché l’impressione che hai seduto su una gradinata laterale (qui il suono corre meglio e lo sguardo si apre) del Palazzo delle Scintille di Milano è di essere (ri)tirato dentro una storia che forse conosci, ma che raccontata così, in musica, si illumina di un nuovo significato. E ti svela ancora meglio chi te la racconta, ma anche te stesso che l’ascolti.
Daniele Gatti – è lui che racconta questa (coinvolgente e commovente) autobiografia – ha scelto le Sinfonie di Schumann per il varo di una nuova orchestra, laFil, appunto. Un sogno nato un anno fa chiacchierando tra amici – che sono Carlo Parazzoli primo violino di Santa Cecilia e Roberto Tarenzi viola del Quartetto Borciani – quando il direttore d’orchestra milanese ha lanciato l’idea di una formazione che facesse sedere allo stesso leggio giovani di talento freschi di diploma e prime parti di orchestre italiane e internazionali. E che lavorasse per progetti. Come l’integrale delle Sinfonie di Schumann proposta in due giorni, il 31 maggio e il 2 giugno. O quella di Brahms che sarà in cartellone in autunno, tra ottobre e novembre, con le quattro Sinfonie affiancate da Beethoven e Schumann. Una fondazione ad hoc presieduta da Luca Formenton (che con il suo Saggiatore è il sostegno principale dell’orchestra, tutta finanziata da privati), un accordo con il Comune di Milano che, in attesa di mettere a disposizione della formazione musicale il Teatro Lirico, ha concesso il Palazzo delle Scintille, il Padiglione 3 della Fiera campionaria, fuori art nouveau, dentro archeologia industriale.
Nell’ellisse progettata dall’architetto Paolo Vietti Violi nel 1923 (e dove nel 1946 il Teatro alla Scala tenne la sua stagione mentre era in corso la ricostruzione del Piermarini bombardato) sono state sistemate una platea e tre tribune (1700 i posti andati esaurito nel primo ciclo sinfonico offerto alla città con ingresso gratuito) ad abbracciare il palco sul quale una cassa acustica in legno amplifica e proietta il suono de laFil (meglio sulle gradinate che in platea, nonostante qualche inevitabile riverbero, a suo modo anche affascinante). Un suono che è sorprendente per morbidezza e compattezza, per lucentezza e trasparenza, che ha già un suo carattere e una sua riconoscibilità “italiana” nel rendere teatrale il discorso sinfonico di Schumann, romanticismo allo stato puro, che si traduce in un catalogo musicale dei sentimenti umani.
Merito del lavoro di Gatti che ha provato a lungo con i giovani ai quali negli ultimi giorni si sono unite le prime parti dei maggiori teatri italiani. E fa un certo effetto vedere Alessandro Milani spalla dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai, Paolo Mancini del Comunale di Bologna e Marcello Miramonti del Gewandhaus di Lipsia fare da “gregari” al primo violino di Parazzoli. O Tarenzi trascinare con entusiasmo i giovani seduti nei leggii delle viole (che Gatti ha voluto subito a fianco dei primi violini, in un’insolita disposizione modellata sul colore “tedesco” che il direttore chiede all’orchestra). O un concertino con il flauto di Adriana Ferreira di Santa Cecilia, l’oboe di Alberto Negroni del Maggio musicale fiorentino e il clarinetto di Mauro Ferrando, storico musicista del Teatro alla Scala. Le trombe sono quelle dell’Orchestra Rai di Roberto Rossi e Alessandroi Caruana, i tromboni di Eugenio Abbiatici, Floriano Rosini e Fabio Costa arrivano dall’Orchestra della Svizzera italiana. I corni (intonatissimi) sono Danilo Stagni della Scala e Natalino Ricciardo del Regio di Torino.
Gatti in poco tempo li ha fatti diventare un’orchestra tra le migliori che oggi si possono ascoltare, un orchestra che non solo suona (magnificamente, basta l’intenso Trio dello Scherzo della Quarta, vertice assoluto di tutta l’integrale schumaniana, per restare ammaliati), ma interpreta seguendo con entusiasmo la lettura di Gatti che dirige tutto a memoria e lascia ai musicisti una libertà frutto di un’intesa fatta di sguardi. Basta l’attacco della Sinfonia n.1 in si bemolle maggiore Primavera per capirlo, la pagina che apre l’integrale schumaniana e alla quale, nella prima tappa, segue la Terza, la Renana, unica sinfonia del compositore tedesco in cinque movimenti. La Sinfonia n.2 in do maggiore apre la seconda giornata che culmina in una Quarta intensa e tutta proiettata in avanti, nella quale senti già il Mahler che verrà. Arriva tutta d’un fiato, senza pause tra un tempo e l’altro, non ti da’ tregua, ti porta dentro una storia. Quella di Schumann, che diventa quella di Gatti (e nostra). Lo senti in certi ripiegamenti meditativi che non si colorano mai di sconforto o pessimismo. Sono piuttosto (prerogativa dei grandi, anche nelle prove più dure) illuminati dalla speranza di chi sa (ri)conoscersi e (ri)trovarsi. Nella musica. E nella vita.
Articolo pubblicato in parte su Avvenire del 4 giugno 2019
Nelle foto di @Gianfranco Rota il concerto inaugurale de laFil