Il direttore con orchestra e coro della Scala al teatro Grande con la Missa Papae Pauli scritta dal padre nel ’64 per Montini
Paolo VI era convinto che «questo mondo ha bisogno della bellezza per non sprofondare nella disperazione». Pensiero alla Dostoevskij quello di papa Montini che agli artisti – li incontrava e li frequentava già da sacerdote e da arcivescovo di Milano – chiedeva «di essere custodi della bellezza». Un compito necessario, più che mai, oggi. Affidare alla bellezza una speranza. Perché l’arte racconta qualcosa di noi, indica una strada. Chiaro, dunque, l’auspicio del Dona nobis pacem che chiude la Missa Papae Pauli che Luciano Chailly scrisse nel 1964 per Paolo VI.
«Nel 1967 andammo con tutta la famiglia in udienza da Papa Montini per consegnare al Pontefice il nastro con la registrazione dell’esecuzione della partitura» ricorda Riccardo Chailly che per rendere omaggio al pontefice di Concesio, proclamato santo il 14 ottobre dello scorso anno, giovedì 30 maggio ha diretto a Brescia la Missa Papae Pauli del padre.
La famiglia Chailly nel 1967 in udeienza da Paolo VI. A sinistra il compositore Luciano, destra il direttore Riccardo
Il direttore musicale del Teatro alla Scala ha portato orchestra e coro del Piermarini sul palco del Teatro Grande (immagini trasmesse su maxischermo in piazza Duomo, ma anche su Rai5) per ricordare in musica papa Montini, figlio della terra bresciana, arcivescovo di Milano prima di diventare Papa. Un concerto straordinario nell’ambito del Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo (un rapporto di amicizia legava il fondatore della rassegna, Agostino Orizio, al pontefice bresciano) nel giorno in cui, nel 1920, Giovanni Battista Montini celebrava la sua prima messa. «Paolo VI ha lasciato un segno indelebile nel Novecento con la sua nobiltà e la sua gentilezza, la sua carità e il suo coraggio. Ha attraversato un epoca di trasformazioni portando a compimento il Concilio Vaticano II, raccogliendo la sfida del ’68, proponendo un cristianesimo amico e aperto al dialogo. Non sempre fu capito» ha ricordato il vescovo di Brescia, monsignor Pierantonio Tremolada delineando dal palco, prima che lo facessero le note, la figura dio Montini, «umile, che seppe inginocchiarsi davanti alla Porta Santa e di fronte alle Brigate rosse per chiedere la liberazione di Aldo Moro».
Un ritratto a parole. Poi un ritratto in musica. Perché la Missa Papae Pauli, per coro, orchestra e campane ha il carattere austero e mistico di Montini. Una messa che per le sue dimensioni può essere benissimo incastonata in una celebrazione eucaristica, trovando così la sua vera essenza. «Papà era legatissimo a questa pagina tanto che le ultime parole della composizione, Dona nobis pacem, le ha volute scolpire nel marmo della tomba di famiglia» racconta Chailly, visibilmente commosso al termine della Missa.
Un Kyrie austero introduce l’ascolto e delinea i contorni di una cattedrale di suoni (ma anche di luce) che si palesa, maestosa e solenne, nel Gloria, dove le campane richiamano i rintocchi che nel 1963 salutarono l’elezione di Montini. Cuore del Credo è l’Et resurrexi a dire il carattere pasquale della partitura. Che dopo il solenne Sanctus approda ad un Agnus Dei dove sul Dona nobis pacem finale si allunga quasi una dissonanza a dire il crinale sul quale viaggia la pace, messa nelle mani dell’uomo. «Papà, che per la sua Missa Papae Pauli si ispirò al viaggio di Montini in Terra Santa, qui mise da parte il suo linguaggio dodecafonico e sperimentale per tornare a una modalità che ricorda il canto gregoriano» ricorda Chailly che ha aperto la serata – seguita nel palco reale dal sovrintendente scaligero Alexander Pereira, dal sindaco di Milano Beppe Sala e da quello di Brescia Emilio Del Bono – con un’intensa lettura la Prima sinfonia di Johannes Brahms.
Articolo pubblicatoi su Avvenire il 1 giugno 2019