Vistoli, l’uomo di oggi nel canto del mio Orfeo

Il controtenore di Lugo in scena a Roma nell’opera di Gluck Ascoltavo la musica classica su cassette comprate in edicola poi ho scoperto il barocco e le grandi voci da Daniels a Mehta

La passione per la musica «è nata quando avevo sei o sette anni: i miei genitori, che non sono musicisti e nemmeno appassionati, mi avevano portato a casa alcune audiocassette acquistate in edicola con le grandi pagine della musica classica. Le ascoltavo in continuazione, così ogni settimana arrivava una nuova cassetta». Metà anni Novanta a Lugo di Romagna. Nasce da una collezione comprata in edicola l’amore per la musica di Carlo Vistoli. Che oggi «dopo aver studiato chitarra e pianoforte dai 12 anni e canto dai 19 anni» fa il controtenore. In questi giorni Vistoli, classe 1987, è il protagonista dell’Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck in scena al Teatro dell’Opera di Roma con Gianluca Capuano sul podio: repliche sino al 22 marzo, Euridice è Mariangela Sicilia, Amore Emőke Baráth. «Una produzione molto caratterizzata dalla regia di Robert Carsen che toglie Orfeo dalla dimensione del mito – non c’è la lira con la quale siamo abituati a vederlo incantare le furie – per immergerlo in una dimensione più reale e terrena, raccontando l’uomo che cerca di strappare alla morte la moglie Euridice come un nostro contemporaneo».

Orfeo con la voce di controtenore. Quale la marcia in più, Carlo Vistoli, che questo registro offre al personaggio?

«Innanzitutto un valore a livello estetico perché vedere un uomo che interpreta Orfeo e non un mezzosoprano en travesti offre una maggior veridicità al racconto: la veridicità delle storie è quello che sempre più i registi cercano oggi per offrire al pubblico la possibilità di identificarsi con il personaggio. Un processo che cerco di attuare anche con la mia voce, cerco di dare risalto alla componente maschile di questo registro che, lungi dall’essere una vocalità “femminile”, offre un colore a quel lato più eroico e tipicamente maschile dei personaggi».

In Orfeo come queste due componenti stanno insieme?

«La concretezza e la contemporaneità volute da Carsen si ripercuotono inevitabilmente sul canto. Un canto che è molto sentito, emozionante. Questa è una parte che offre tanti spunti interpretativi anche se non ha i virtuosismi e gli abbellimenti tipici della musica prima della riforma teatrale che Gluck mette in atto proprio con Orfeo».

In cosa uno spettatore di oggi può sentire vicino il personaggio di Orfeo?

«Quella raccontata in musica da Guck è la storia di una perdita, però con un lieto fine come era imposto dalle convenzioni del tempo. Ciò di cui parla il mito lo può vivere qualsiasi uomo di oggi, perché a tutti capita di subire un lutto e di doverlo elaborare. Ecco l’universalità del mito».

Quando ha scoperto la sua voce di controtenore?

«Sono da sempre appassionato di opera barocca e mi ha sempre affascinato questo tipo di vocalità. Inizialmente ho ascoltato dischi, provando ad imitare i grandi controtenori. Poi ho intrapreso lo studio con William Matteuzzi per la tecnica e Sonia Prina per il repertorio. Lungi dal voler emulare il canto dei castrati del settecento, anche perché, a parte una registrazione di inizio Novecento, non abbiamo traccia e non sappiamo come cantassero. Ho studiato e ho sviluppato questa voce affinandola sempre più nel tempo e approfondendo tutte le potenzialità che offriva».

Ma controtenore si nasce o si diventa?

«Direi che lo si può diventare. Come uomini abbiamo la capacità di usare il falsetto, una voce di suo forse più povera a livello di volume, ma lavorandola e combinandola con le esatte risonanze e la giusta liricità, trovando il giusto appoggio sul fiato si può usarla tranquillamente in teatro, superando il muro di suono dell’orchestra. La tecnica di controtenore nel tempo, specie negli ultimi decenni, si è andata sempre più affinandosi. Dagli anni Novanta abbiamo avuto grandi controtenori che si sono lanciati non solo nel repertorio cameristico e sacro, ma anche in quello operistico affermandosi sulla scena».

Chi sono i suoi riferimenti?

«Alcuni grandi degli anni Novanta, come David Daniels, uno dei primi che ha traghettato la vocalità di controtenore nel barocco e nel contemporaneo. Ora non se la passa molto bene per via dei problemi legati all’onda del #metoo. Apprezzo Bejun Mehta. Oggi la superstar è Franco Fagioli. Un collega che stimo e che sta facendo parlare di sé è Raffaele Pe. Tutti impegnati nella riscoperta di questa vocalità che è sempre capace di sorprendere perché racconta eroi guerrieri in un corpo maschile, ma con una voce che vai in alto e che non ti aspetti».

Quali gli appuntamenti segnati in agenda?

«Dopo Orfeo all’Opera di Roma riprenderò a Luxembourg Erismena di Cavalli. Ad aprile partirà la tournée della Semele di Händel, in forma semiscenica e diretta da John Eliot Gardiner: il 6 maggio saremo al Teatro alla Scala di Milano, l’8 maggio al Parco della musica di Roma. Un’altra tournée sarà quella dell’Agrippina sempre di Händel che mi vedrà al fianco di Joyce Di Donato e Franco Fagioli. Tornerò in Italia a settembre alla Fenice di Venezia con un titolo contemporaneo, Luci mie traditrici di Salvatore Sciarrino».

Va a teatro anche da ascoltatore?

«Non ho mai smesso di farlo. Anche ora, quando sono in giro per lavoro e a teatro c’è qualcosa vado ad ascoltare i colleghi. Sono anche appassionato di cinema, di arte e di letteratura e mi piace passeggiare nella natura. Faccio sport anche se sarei tendenzialmente pigro, ma però l’attività fisica fa bene anche alla voce».

Nella foto @Fabrizio Sansoni Carlo Vistoli in prova all’Opera di Roma