Nei teatri emiliani Ballo in maschera e Forza del destino
Ascoltare Giuseppe Verdi “a casa sua” ha sempre un sapore particolare. Un colore che ricorda la terra padana immersa nella nebbia che qualche volta avvolge ancora le campagne tra Parma e Piacenza. Una terra che vuol dire radici. Valori impregnati di vita vissuta, anche di vita che cade e sa rialzarsi. Sapore di casa. Perché al Teatro Regio di Parma o al Teatro Municipale di Piacenza il pubblico si sente un po’ come tra il salotto e il tinello. Come davanti a un giradischi. Libero di tenere il tempo battendo il piede nell’È scherzo od è follia di Un ballo in maschera. Libero di unirsi al coro nella Vergine degli angeli de La forza del destino. Libero (a volte un po’ troppo, forse) di commentare ad alta voce durante la recita. Come davanti a un reality tv o a una telenovela dalla trama complessa.
Un «Braaava!» all’indirizzo del soprano ancora prima che il suo «Malediziooonee» si spenga. Un «Ohhh» per sottolineare un acuto un po’ azzardato (ma poi riuscito) sul «Sì rivederti Ameelia», scritto con due «e» Amelia, a simulare il canto del tenore. Un battibecco tra palchi e platea a scena aperta per manifestare disappunto per la prestazione non proprio impeccabile del baritono nella chiusa del duetto «Ahhh vieni vieni a morte andiaaaam!»: un «Buuu» dall’alto a cui risponde, in un gustoso dialetto piacentino, un «Canta tu!». Verdi come a casa, dunque, in questi giorni tra Parma e Piacenza.
Al Regio Ballo con le scene dipinte di Carmignani del 1913 Riccardo è Saimir Pirgu, sul podio Sebastiano Rolli
Perché Parma è la casa di Verdi, nato a una manciata di chilometri. A Parma, dove ad ottobre c’è un festival dedicato al musicista. Ma sembra non bastare. Tanto che la stagione lirica invernale del Regio si è aperta ancora nel segno del compositore delle Roncole con Un ballo in maschera. Il teatro ha tirato fuori dalla soffitta – letteralmente – un vecchio allestimento, datato 1913. Una scoperta avvenuta per caso quella delle scene dipinte da Giuseppe Carmignani per un allestimento andato in scena a Parma in occasione dei cento anni della nascita di Verdi, nel 1913, appunto. Un restauro delle tele (forse è più il valore affettivo che quello pittorico) che il teatro mostra orgoglioso con un filmato che scorre sulle note del preludio.
Poi ecco l’opera “come una volta” messa in scena con linearità di racconto da Marina Bianchi che ha recuperato anche le indicazione “di regia” dello stesso Verdi per la prima del Ballo nel 1859 a Napoli.Un restauro conservativo, con elementi di scena, ideati da Leila Fteita, monocromi e lineari che non contaminano l’originale. Spettacolo tutto in proscenio sino al ballo finale.
La storia in primo piano, come la musica. Punto di forza grazie alla direzione vigorosa e incalzante di Sebastiano Rolli, capace di tenere insieme buca e palcoscenico dove dilaga il carisma del Riccardo musicalissimo di Saimir Pirgu che offre al personaggio il suo squillo a volte spericolato, ma affascinante. Renato è un convincente Leon Kim,voce d’altri tempi amministrata con gusto. Amelia è Irina Churiulova: stile russo, il suo, che vuol dire bella pasta, ma dizione poco chiara del testo. Generosamente applaudita dopo essere arrivata in corsa in teatro per la generale a sostituire la prevista Virginia Tola. Dizione chiara e gusto raffinato per l’Oscar di Laura Giordano e l’Ulrica di Silvia Beltrami.
Nelle foto @Roberto Ricci Un ballo in maschera al Teatro Regio di Parma
Al Municipale la bacchetta di Ciampa per una Forza integrale con il debutto (vincente) di Anna Pirozzi e Luciano Ganci
Casa di Giuseppe Verdi è anche Piacenza. Anche da qui le Roncole distano una manciata di chilometri. Il Municipale (che coproduce lo spettacolo con Modena e Reggio Emilia dove andrà in scena il 25 e 27 gennaio e l’1 e il 3 febbraio) ha coraggiosamente messo in scena La forza del destino. Titolo che si ascolta non così di frequente nonostante la sua popolarità: un romanzo storico, un racconto epico più volte accostato ai Promessi sposi di Alessandro Manzoni, forse per il racconto della guerra, della carestia, ma anche di un amore tormentato e per la presenza tra i personaggi di un padre Guardiano tanto simile a padre Cristoforo e un fra Melitone che richiama alla mente don Abbondio.
Una scommessa vinta soprattutto sul fronte musicale quella dei teatri dell’Emilia capitanati dal Municipale di Piacenza. Francesco Ivan Ciampa ha messo sul leggio la partitura integrale nella versione del 1869: la Forza (così come qualsiasi altro titolo verdiano) ha senso solo se ascoltata così, senza una nota in meno, perché ogni segno verdiano sul pentagramma ha un senso, musicale e drammatico. Ciampa mantiene sempre viva la tensione della narrazione con tempi teatrali senza rinunciare a sbalzare le infinite pieghe melodiche e i disegni musicali che continuamente richiamano temi e sentimenti.
Anche a Piacenza a vincere è la squadra vocale trascinata da Ciampa in una lettura palpitante. Anna Pirozzi debutta nei panni di Leonora, personaggio che affronta con grinta, ma anche con abbandoni lirici che risultano – nei fiati lunghissimi e negli acuti cristallini – i momenti meglio riusciti di una prova che ha strappato applausi e pure il bis del Pace mio Dio. Debutto anche per Luciano Ganci alle prese con l’impervia scrittura con la quale Verdi disegna gli slanci, i dubbi e i tormenti di Alvaro: il tenore convince con la sua voce bella (una delle più belle della scena lirica di oggi), piena e armoniosa sorretta da una tecnica che lo fa uscire vincente dai momenti cruciali della partitura. Qualche dubbio (ad alcuni in sala molti, visto le contestazioni a scena aperta) la lascia la prova di Kiril Manolov, bella voce di baritono non sempre, però, sorretta dalla tecnica in una prova sporcata da qualche errore di troppo. Judit Kutasi (brillante Preziosilla), Marko Mimica (un padre Guardiano misurato e incisivo quello disegnato dal basso croato, tra gli interpreti oggi più interessanti e convincenti) e Marco Filippo Romano (Melitone caricaturale, ma mai sopra le righe), insieme a Marcello Nardis e Mattia Denti (nobile Calatrava l’uno, petulante e tragicomico Trabuco l’altro, entrambi capaci di lasciare il segno con ruoli da “comprimari”), hanno voce e carisma per delineare i loro personaggi.
Personaggi che la regia di Italo Nunziata disegna solo a due dimensioni, senza scavare nelle loro ragioni profonde. Un racconto sempre in bilico tra realismo e simbolismo: una scena (praticamente fissa di Emanuele Sinisi) minimale, con cornici dentro e attorno alle quali si dispongono i personaggi in grandi tableaux, ma anche costumi (di Simona Morresi) connotati temporalmente; attrezzi di scena precisi e azioni in cui la musica evoca oggetti che, però, non compaiono. Una regia, comunque funzionale (anche per la circuitazione dello spettacolo), che fa scorrere spedito il racconto con scene in dissolvenza che permettono alla musica (mai soverchiata) di fluire senza interruzioni per i cambi.
Musica di cui gli edifici sembrano essere impregnati. Capace di raccontare valori di ieri e di oggi. Qulli che si imparano in casa, sin da piccoli, che si nutrono della linfa che le nostre radici attingono dalla terra dove affondano. Terra che, lo senti, ha il sapore e il colore della vita. E che Verdi ha raccontato in musica.
Nelle foto @Cravedi La forza del destino al Teatro Municipale di Piacenza
Articolo pubblicato in parte su Avvenire del 22 gennaio 2019