Alla Scala Liliana Cavani regista dell’opera di Cherubini affidata ai ragazzi dell’Accademia diretti da Carignani
All’inizio qualcosa non torna. Perché sulle prime note della sinfonia si apre il sipario e scopre una biblioteca di oggi. Quattro ragazzi, ognuno a una scrivania. Il dipartimento di un’università dove si studiano testi antichi. Due amoreggiano. Uno fa il geloso. L’altro cerca di mettere tutti d’accordo. Non torna con il titolo dell’opera, Ali Babà e i quaranta ladroni. Il Teatro alla Scala come primo titolo dopo la pausa estiva mette in cartellone il melodramma di Luigi Cherubini ispirato a uno dei racconti (o forse no, perché non è certa l’appartenenza della favola al popolare ciclo di storie) delle Mille e una notte. Ma il primo impatto è contemporaneo. Lo ha voluto Liliana Cavani chiamata dall’Accademia del Teatro alla Scala a firmare la regia del titolo che ogni anno gli allievi propongono nel cartellone del teatro milanese.
Allievi di canto sul palco, musicisti in orchestra. Scenografi, costumisti, truccatori, tecnici nei laboratori e sul palco del Piermarini per mandare in scena un’opera che non è per nulla un saggio, ma che ha il sapore di quello che i ragazzi faranno un domani, fuori dalle aule di studio. Che sono, poi, le assi del palcoscenico.
Settembre, mese dell’Accademia: due anni fa Il flauto magico di Mozart firmato da Peter Stein, lo scorso anno il bellissimo Hänsel und Gretel di Engelbert Humperdinck, con la regia di Sven-Eric Bechtolf. Quest’anno tocca ad Ali Babà, opera che si ascolta raramente tanto che alla Scala mancava dal 1963, quando la cantò Alfredo Kraus. E quando venne fatta la traduzione ritmica in italiano del libretto di Mélesville e Eugène Scribe. Traduzione di Vito Frazzi che, però, non è così musicale come il francese dell’originale, sincopata, squadrata e che a volte stride con le sue parole novecentesche messe su una musica che di profondo Ottocento, scritta da Cherubini nel 1833 per Parigi.
Gusto francese (non poteva che essere così) nella partitura che forse non è una delle migliori di Cherubini: ottima fattura, inconfondibile il tocco del musicista, ma storia che resta a livello di favola senza scavare nella psicologia dei personaggi (il libretto non lo pretende nemmeno) e con un finale un po’ affrettato e un happy end appiccicato. Impianto che strizza l’occhio al grand opera tanto che sul palco ci sono gli allievi della Scuola di ballo del Teatro alla Scala impegnati nelle coreografie di Emanuela Tagliavia. Di segno moderno. Come vuole esserlo la regia della Cavani che per mesi ha lavorato con i giovani cantanti. Un’idea certo non nuova quella di raccontare la storia come un sogno o un viaggio della fantasia: ragazzi di oggi che leggono un libro e si ritrovano catapultati nella storia, protagonisti (in questo caso) delle vicende di Ali Babà. Idea che, però, alla prova dei fatti tutto sommato funziona. Segno moderno anche nella scelta di collocare il racconto in un Medioriente che, pur nella sontuosità delle architetture, non è molto da favola, ma evoca un oggi e gioca, nelle scene della caverna piena di tesori – quella del celeberrimo Apriti Sesamo, che, però, qui diventa Sesamo, Sesamo apriti! –, con il teatro nel teatro mostrando l’impalcatura delle scene disegnate da Leila Fteita (i costumi hanno la firma di Irene Monti).
Storia di Nadir, innamorato di Delia, figlia del mercante Ali Babà, ma troppo povero per poter sperare di coronare il suo sogno d’amore. La parola magica schiude la caverna dei tesori a Nadir che diventa ricco, ma altri ostacoli rocamboleschi si mettono di mezzo. Sino al (veloce) lieto fine. Storia di attaccamento al denaro, anche se nello spettacolo della Cavani non ci sono risvolti sociali e non c’è traccia di denuncia. Ma ci sta, perché la favola deve, da sola, far trarre la morale a chi l’ascolta.
Fattura artigianale per lo spettacolo affidato a due cast che vedono i ragazzi dell’Accademia darsi il cambio nei panni dei protagonisti. Tutti agli ordini della bacchetta di Paolo Carignani, attenta a guidare i ragazzi nei loro (primi) passi in scena, ma forse meno alla scrittura complessa di Cherubini. Nadir è Riccardo Della Sciucca tenore con voce e volume, Delia ha le finezza di Francesca Manzo, Ali Babà i colori del basso Alexander Roslavets, unico interprete che non esce dalle aule dell’Accademia.
Prossima tappa per il Progetto Accademia a luglio del prossimo anno con il Gianni Schicchi di Giacomo Puccini che vedrà i ragazzi impegnati al fianco di Ambrogio Maestri nei panni del personaggio dantesco. Grande attesa per lo spettacolo, in arrivo da Los Angeles, che sarà firmato da Woody Allen.
Nelle foto (@Brescia/Amisano Teatro alla Scala) Ali Babà e i quaranta ladroni