A Verona intima Verklärte Nacht con la Staatskapelle di Dresda diretta da Daniele Gatti che affronta anche il Titano di Mahler Alla Scala i Gurre-Lieder con la bacchetta di Riccardo Chailly Concerti nel giorno del 150esimo compleanno del compositore
È un’aria primaverile, ma potrebbe essere benissimo anche autunnale, aria di una stagione di mezzo, quella che senti soffiare nelle folate avvolgenti e lievi degli archi di Verklärte Nacht. Tiepida. Calma. Un abbraccio rassicurante. Come quello dell’uomo che abbraccia la sua donna, l’accoglie e accoglie il figlio che lei porta in grembo e che è di un altro uomo, che lei non ama, ma che lui accoglie come suo. Storia potente. Storia di perdono e di accoglienza. Tutta in musica. È invece un’aria accecata dal sole quella dei Gurre-Lieder. Seht die Sonne, «guardate il sole» ci chiede il coro alla fine, forse per darci una speranza. Sole che scalda un’aria che è fredda, gelida, invernale. Come la morte. Sole che infuoca un’aria che in estate può essere soffocante. Come la morte, appunto. Stagioni estreme. Dure. Come la vita raccontata nei Gurre-Lieder, danza macabra di un uomo a cui viene uccisa, per invidia, l’amata. Storia crudele che viene raccontata con la dolcezza di una favola dalla Voce di una colomba del bosco, la Waldtaube.
Due Arnold Schönberg. A una manciata di chilometri di distanza, un’ora e mezza di auto. Lo stesso giorno, il 13 settembre. E non un giorno qualsiasi, ma il giorno in cui nel 1874 nel distretto di Leopoldstadt a Vienna nasceva il compositore austriaco. Due Arnold Schönberg. A una manciata di chilometri di distanza. Lo stesso giorno. A Verona, al Teatro Filarmonico per il Settembre dell’Accademia, quello di Daniele Gatti e della sua Sächsische Staatskapelle di Dresda. A Milano, ultimo concerto della stagione sinfonica (dopo la prima, due repliche a teatro pieno), quello di Riccardo Chailly e di orchestra e coro del Teatro alla Scala. Due Schönberg per celebrare i centocinquant’anni della nascita del padre della dodecafonia. Che qui, nella notte trasfigurata del 1899 (Gatti sul leggio, naturalmente, ha la versione per orchestra d’archi del 1943) e nel poema gotico (dieci anni di gestazione dall’alba del Novecento al 1910), è ancora in modalità tonale. Due Schönberg (giovanili) all’opposto. A dire le strade esplorate dal compositore. All’opposto per atmosfere, certo. Perché Verklärte Nacht è un racconto intimo, sussurrato, una miniatura del sentimento, quasi un film in bianco e nero con più silenzi che parole. Mentre i Gurre-Lieder, leggenda gotica dai contorni netti, hanno la potenza di colori accesi, suoni deflagranti, immagini da kolossal in cinemascope, tratto marcato, quasi espressionista.
All’opposto per atmosfere. E all’opposto per la resa che si è ascoltata dal vivo in questa andata e ritorno Milano-Verona. Muscolare, trionfante e trionfale nella lettura che Chailly ha dato dei Gurre-Lieder che mancavano alla Scala da cinquant’anni – l’ultima volta li diresse Zubin Mehta nel 1973. Chailly li propone con i complessi scaligeri, il coro della Bayerischen Rundfunks e le voci di Andreas Schager (l’antieroe della saga, Waldemar, che il tenore austriaco restituisce con la sua voce dove lo squillo si piega al sentimento), Camilla Nylund (la dolente Tove, creatura eterea e impalpabile), Okka von der Damerau (perfetta nel racconto di Waldtaube), Michael Volle (Sprecher musicalissimo nel melologo) e Norbert Ernst (che offre un ghigno sinistro al Buffone Klaus). Travolgenti, wagneriani e straussiani, romanticismo esasperato nelle intenzioni tutte sperimentali (dentro ci senti un’ironia tutta novecentesca e persino passaggi jazz) di uno Schönberg che si affaccia sul precipizio della rivoluzione. Chailly ha bene in pugno una partitura che conosce alla perfezione, amata, nell’ascolto dal vivo, studiata a fondo e restituita nella sua poesia monumentale (contraddizione che in questo Schönberg ci sta benissimo) quattro volte dal vivo e una in disco.
Lo Schönberg di Chailly, quello dei Gurre-Lieder è figlio del suo tempo. Il tempo nel quale il compositore affondò le mani – ma alla prima del 1913 al Musikverein di Vienna diretta da Franz Schreker Schönberg voltò le spalle al pubblico. Apice del romanticismo, esasperazione dello stesso e preparazione di un nuovo linguaggio. Chailly, che sta dimostrando una sintonia speciale con la Seconda scuola di Vienna, si butta a capofitto in questa scrittura, la restituisce nella sua monumentalità senza addolcirla o mitigarla, ma assecondandone la forza (tra le percussioni ci sono delle catene che sbattono) e costruisce un muro di suono, vocale e strumentale, che arriva in platea, ti travolge e ti fa uscire dalla Scala con le orecchie ti fanno quasi male.
Nella foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala i Gurre-Lieder diretti da Riccardo Chailly
Intimo, sofferto, ma anche aperto alla speranza, al perdono e alla bellezza dell’essere con l’altro e di essere l’altro lo Schönberg di Gatti. Musica che trasfigura la vita (e oggi forse ce ne è ancora bisogno) in una Verklärte Nacht che ti prende nei primi, inquieti accordi e non ti molla più sino al luminoso, spirituale finale. Merito di Gatti e della sua (sua perché con questo programma a fine agosto ha inaugurato la sua direzione musicale a Dresda e quella passata da Verona è la prima tournée ufficiale) della sua Staatskapelle, orchestra tedesca nel suono, compatto e bellissimo, mediterranea nella cantabilità che imprime ad ogni passo. «Si sente, ed è bellissimo, che questa orchestra suona in buca, fa l’opera» confida Gatti. In Schönberg. E lo senti il canto, il racconto, fatto più di silenzi che di parole, in questa Verklärte Nacht intima, commovente perché racconta la storia di uomini come noi, fragili, semplici, ma aperti alla speranza. Una Verklärte Nacht bellissima, mai sentita così cameristica nei suoi rimandi all’originale quartetto, seppure con una corazzata come sono gli archi della Statskapelle, capaci di disegnare un orizzonte, ma anche di farsi piccoli, voce flebile di chi sussurra parole d’amore. Un canto sempre all’unisono al quale Gatti imprime la spiritualità e la sacralità della vita.
Archi che disegnano l’atmosfera anche in Mahler, quello del Titano (la Prima sinfonia inizia il ciclo mahleriano, mai eseguito per intero dalla Staatskapelle). Una Genesi in musica dove il suono lunare dei violini che tengono all’infinito la nota sembra il suono dell’inizio, dell’In principio, del Berescit della Bibbia. Inizio di un mondo (quello sinfonico di Mahler che resterà incompiuto nella Decima) raccontato in musica. Una musica tragica e leggera, tedesca e viennese, danzante e vertiginosa. Come il Titano di Gatti. La cosmogonia del primo movimento. Il sogno del länler. I colori della terra del Feierlich und gemessen (dentro quasi ci senti profetiche anticipazioni del Wozzeck). La vertigine dello Stürmisch che conclude il viaggio. Trionfante e allo stesso tempo inquieto. Un tuffo al cuore ad ogni nota. Sino al sorprendente finale – a dire la grandezza di Gatti, direttore che plasma le sue letture sulla partitura e le restituisce vive, nuove ogni volta. Due note, una improvvisa, che ti sorprende, l’altra un eco che si perde nell’aria. Ma che resta a lungo come eco nell’anima.
Nelle foto @Studio Brenzoni la Staatskapelle Dresda diretta da Daniele Gatti al Filarmonico di Verona