Anastasia Bartoli, io Ermione al Rof di Pesaro sulle orme di mamma Cecilia Gasdia

Il soprano nel titolo più atteso del Rossini opera festival 2024 Ho studiato il ruolo con mamma, la prima ad inciderlo nel 1986 È un’insegnate severa, Rossini ci ha avvicinate ancora di più Dopo l’addio al paracadute sogno di cantare in una band metal

Il suo sogno, racconta con quel suo modo diretto e concretissimo di parlare, è «di fondare una band metal». Scusi Anastasia? «Penso che metal e lirica siano due facce della stessa medaglia. Esiste un genere di metal melodico, dai richiami classici, che spesso vede come interpreti proprio cantanti liriche. Capita in Finlandia, ad esempio. Perché non farlo anche in Italia?». Voce squillante, inconfondibilmente da soprano, aspetto rock, anfibi e tatuaggi. Non la ferma nemmeno il raffreddore che l’ha colpita nel pieno delle ultime. Anastasia Bartoli conta i giorni al debutto come Ermione al Rossini opera festival di Pesaro. Si va in scena il 9 agosto alla Vitrifrigo Arena. Sul podio Michele Mariotti, regia di Johannes Erath. Con lei Juan Diego Florez – che del Rof è anche direttore artistico – ed Enea Scala. «L’opera di Rossini più moderna e futurista che abbia mai studiato» racconta Anastasia Bartoli, protagonista per il secondo anno consecutivo del titolo di punta del Rof. Edizione extralarge per Pesaro Capitale italiana della cultura 2024. «Lo scorso anno l’inedito Eduardo e Cristina, ora Ermione, partitura ricchissima di possibilità a livello vocale e a livello attoriale. Ci vedo molte somiglianze con la Lady del Macbeth verdiano, personaggio che amo interpretare».

Che effetto le fa, Anastasia Bartoli, essere per il secondo anno protagonista del titolo più atteso del Rof?

«Mi riempie di gioia e gratitudine, certo, è un immenso onore, ma anche una grande responsabilità. Essere riconfermati nell’ambito di una rassegna importante e di così grande visibilità come il Rossini opera festival e soprattutto con un titolo come Ermione, in cui oltre a d essere interprete del ruolo titolo sono chiamata ad avere una grande tenuta fisica e vocale e a dare moltissimo a livello interpretativo/recitativo, è fonte di entusiasmo, ma mi impone anche la consapevolezza di dover affrontare questa grande sfida con umiltà e testa sulle spalle».

Tanto più che a incidere per la prima volta quest’opera, che dopo la prima a Napoli andò per un secolo e mezzo nel dimenticatoio, nel 1986 – e lei non era ancora nata – furono l’attuale sovrintendente del Rof Ernesto Palacio e la sua mamma, Cecilia Gasdia.

Fa un certo effetto sapere che un titolo così raro da vedere in scena, e che per l’appunto è stato dimenticato e celato per così lungo tempo sia riportato alla luce, ieri come oggi, da due interpreti che appartengono ad una stessa famiglia. Insomma essere in due Ermioni a casa è abbastanza pazzesco! Posso dire di aver avuto il grande privilegio di studiare e preparare questo ruolo con la prima interprete dei giorni nostri e chiaramente è stato un percorso di studio intensissimo e davvero bellissimo. La cosa interessante è che io e mia madre la vediamo e la affrontiamo in due modi completamente diversi, sia per natura vocale che caratteriale e quindi ne uscirà penso qualcosa di nuovo ma che porta in parte l’impronta Gasdia e che vuole rendere omaggio alla reinassance rossiniana. E che dire, essere scritturata per questo ruolo dal maestro Ernesto Palacio, primo interprete di Pirro in quella che è ad oggi la prima storica incisione di Ermione e quella che più amo, è un grandissimo onore. Vorrei ricordare anche la presenza in quell’edizione di Chris Merrit come Oreste. Che cast!! Abbiamo una meravigliosa eredità a cui rendere onore. Sarà molto emozionante avere i primi Ermione e Pirro in platea ad ascoltarmi al mio debutto».

Che opera è Ermione? Quale la bellezza della scrittura rossiniana? Quali le sfide per la sua voce?

«Credo che Ermione sia l’opera di Rossini più affascinante e intrigante che mi sia capitato di studiare. Quasi futurista. È ricchissima di possibilità a livello vocale e a livello attoriale. Ci vedo molte somiglianze con la Lady del Macbeth verdiano, sia vocalmente che come percorso psicologico del personaggio. Ermione è una donna innamorata e non ricambiata da colui che era già predestinato a prenderla in sposa. Disperazione, frustrazione, vendetta, odio, smarrimento psicologico e conseguente disorientamento mentale sono gli elementi chiave di questa figura femminile mossa da un amore morboso, forse meglio dire più un’ossessione che un vero amore, per Pirro che la annienterà. La scrittura vocale è formidabile, richiede molta duttilità ed elasticità, drammaticità e delicatezza. In purissimo stile Colbran, presenta una tessitura molto grave e con molti salti in acuto, il tutto incoronato da agilità piene di “accento” ed enfasi sanguinaria, manipolatrice, seduttrice, psicopatica. La amo!».

Come la raccontate in scena con il regista Johannes Erath?

«La vicenda si svolge ai giorni nostri, in un’epoca non ben precisata. Porto in scena una donna che ha molto di Anastasia Bartoli. Abbiamo trovato insieme al regista una chiave di lettura che tiri fuori la vera me e l’Ermione che è in me. La sfida è amalgamarmi nel modo più naturale possibile a Ermione e ai suoi stati d’animo, tutte emozioni vere e viscerali che chiunque di noi può provare o ha già provato davvero nella vita reale. Il desiderio più grande è che ne esca una donna vera, tangibile e con la quale empatizzare».

Quale attualità in questa storia che attinge alla mitologia greca?

«Il tema è sempre attuale: l’amore! L’intera vicenda gira vorticosamente intorno ad una catena amorosa con quattro protagonisti: Ermione che ama Pirro, Pirro che ama Andromaca, Andromaca che odia Pirro, Oreste che ama Ermione. Di tutti questi amori nessuno è ricambiato e da ciò ne scaturisce una “meravigliosa” tragedia: intrighi, vendette, giochi mentali e manipolatori, sete di sangue e così via. Storie di tutti i giorni. Sul palco ci saranno molti richiami all’infanzia di questa donna, figlia di Elena di Troia, la donna più bella del mondo, da cui per un motivo o per l’altro, forse non ha ricevuto probabilmente l’amore e l’attenzione che una madre dovrebbe dare. Insomma un’infanzia difficile».

Inevitabile, ma anche bello, farle la domanda sul suo essere “figlia d’arte”. Difficile?

«Lo dirò sempre, essere figli d’arte, di qualsiasi ambito artistico si tratti, è una bella croce, ma a volte può diventare una delizia. Nel mio caso all’inizio è stata davvero dura, fin da piccola ero la figlia della Gasdia, quando ho iniziato a studiare canto ero ancora la figlia di… e quando ho iniziato la carriera idem. Anche oggi sono la figlia di…, ma ciò che mi fa dire che ora tutto questo è più una delizia che una croce è che con le mie forze e con la tempra caratteriale che cerco di far crescere ogni giorno di più, mi faccio strada in quello che è un percorso difficile per tutti coloro che lo intraprendono. E cerco di dare un mio personale contributo al mondo dell’opera che tanto amo e perseguo la mia vocazione proprio grazie al fatto di essere nata da tale madre. Mi ha dato tutto, la voce, la tecnica, la musicalità, lo stile, la vita umana e artistica. Non posso che essere felice e ritenermi estremamente fortunata di essere una figlia d’arte».

Il cognome del suo papà, Bartoli e non Gasdia, magari può aver aiutato… E anche il timbro vocale che è profondamente diverso, così come il repertorio che a volte coincide, ma spesso diverge, visto i ruoli drammatici che lei ha in repertorio (e in agenda per il futuro).

«Il cognome, non ha aiutato per niente, se non mi scambiano per la figlia della Gasdia, allora della Bartoli. Insomma sempre tra le Cecilie sto. Il mio repertorio è molto differente da quello di mamma, più drammatico ma con un elemento costante per entrambe, l’agilità. Stiamo trovando punti in comune sul repertorio soprattutto grazie a Rossini ed è fonte di grande gioia studiare insieme le opere, specie quelle che lei non ha mai cantato, perché le danno quasi la sensazione che insegnabile a me, quasi le debutti anche lei».

Come è la mamma Cecilia come insegnante?

«È come Ermione, spartana! Scuola severa, rigorosa, dove non è ammesso il pianto e il “non ce la faccio”. Mi ha infuso coraggio, fiducia e senso di responsabilità e mi ha preparata a questa vita di artista che è sempre sotto esame, esposta al giudizio di tutti e di se stessi. Accettare che questa ora è la mia vita è stato difficile, ma necessario. Il percorso di studio iniziato con lei undici anni fa è stato meraviglioso, ci ha legate indissolubilmente e ci ha fatto capire molto più a fondo noi stesse e il nostro rapporto».

Lei ha iniziato a studiare a ventitré anni, quando solitamente le altre debuttano. E la sua carriera è abbastanza recente… prima altre passioni, altre “vite”. Poi perché a un certo punto ha scelto il canto, che sin da piccola aveva ascoltato in casa?

«Ho sempre, sempre, sempre cantato, fino da piccolissima. E per forza con una mamma che ogni giorno mi faceva vocalizzi in casa, suonava il piano, mi portava quotidianamente in teatro, mi faceva ascoltare dei capolavori assoluti, non potevo fare altro. È stato il mio mondo da subito, sia il canto che l’opera. Negli anni ho provato a studiare pianoforte, ma non faceva per me. Più che altro non sentivo dentro di me quella fiamma che invece quando si è accesa per il canto mi ha fatto rinunciare a qualsiasi altra distrazione e iniziare un percorso di studio molto intenso e difficile. Bisogna sentirlo dentro e a me è successo di capirlo a ventitré anni. Prima avevo altre passioni che occupavano molto la mia vita e in parte rifuggivo l’idea di fare l’unica cosa che abbia mai davvero amato, cantare, solo per la paura dell’ignoto, del sacrificio, del rimettersi a studiare da zero e di avere inevitabilmente un bel peso sulle spalle, fare il lavoro di mamma e farlo possibilmente bene quanto lei. Tempo al tempo, ma alla fine ci ho creduto e mi sono buttata».

Cosa era per lei la musica da bimba e cosa è diventata oggi che l’ha scelta come la sua professione? L’ha “odiata” o è sempre stato amore?

«Amore, sempre e comunque. Quello che mi ha portato a scegliere questa strada tardivamente è stato più che altro lo stile di vita al quale è sottoposto un cantante lirico. Sballottato qua e là per il mondo, spesso in solitudine, convivendo con le proprie corde vocali soggette a qualsiasi sbalzo fisico e mentale. Ansia da prestazione, continuo studio di opere da memorizzare e tecnica da tenere “manutenuta” in base all’inevitabile mutamento dato dell’usura e dell’invecchiamento. Insomma prima di scegliere una vita del genere mi sono presa del tempo per pensare. Però è stata la scelta più giusta che potessi fare perché cantare è la cosa che mi da più gioia nella vita. Ha qualcosa di magico e mistico che in qualche modo mi mette in comunicazione con me stessa in modo profondo».

Una voce lirica… e un animo rock e il desiderio di cantare in una band metal. I tatuaggi, il paracadute che è stata una delle sue “vite” precedenti. Come tiene insieme vite che sembrerebbero agli antipodi?

«Andiamo con ordine. Penso che metal e lirica siano due facce della stessa medaglia. Mi ha sempre intrigato l’idea di fondare una band metal, pur mantenendo la mia vita da cantante lirica, per appunto far vivere e dar libero sfogo a due facce della stessa persona, voce e artista. Il paracadutismo invece sembra distante dal mondo dell’opera, ma non è così perché entrambi sono momenti di pura adrenalina, ti butti dall’aereo o sul palcoscenico perché lo vuoi fortemente, perché ti piace nonostante siano esperienze che vanno contro la logica. Vi assicuro che la domanda davanti a un portellone di aereo aperto a 4000 mila metri o nascosti in una quinta prima di entrare in palcoscenico è sempre la stessa: chi me l’ha fatto fare? Chi?».

Chi?

«La passione, la voglia di vivere e sentirsi vivi».

E il vino? Da buona figlia di mamma veneta ha un diploma da sommelier…

«Prima di capire che la mia strada avrebbe preso pieghe più artistiche, una delle mie passioni era il mondo del vino e per un periodo ho pensato che fosse quello a cui ero destinata. Mi sbagliavo, ma comunque il vino continua a piacermi assai».

Agenda piena, ma come si rilassa? Quali le sue passioni oggi?

«Le pause e i riposi ci vorrebbero sempre in agenda, ma è anche vero che rimanere “in tiro” vocale e psicologico saltando da una produzione ad un’altra può aiutare molto e diventare una specie di ginnastica quotidiana, un allenamento come per gli atleti che affrontano gare e spendono la vita a prepararsi per quello. Certo rilassarsi è importante, e mi aiuta molto leggere e cucinare, mi piace inventarmi ricette nuove e originali. Anche la natura è un elemento fondamentale per rilassarmi. Ovunque vada a cantare cerco la mia oasi naturale in cui rifugiarmi, che sia un parco, un bosco, un lago o la riva del mare».

Che ruoli sogna di affrontare? Quali gli artisti con i quali le piacerebbe lavorare?

«Il mio sogno nel cassetto è Salomè di Strauss. So che ci metterò del tempo per prepararla, musicalmente e anche linguisticamente, non ho ancora affrontato ruoli in tedesco, ma lo desidero molto, amo quella musica e adoro il personaggio e mi intriga la possibilità di cimentarmi con una lingua come il tedesco e tentare nel mio proposito di raggiungere una dizione quasi perfetta. Mi sento felice di poter dire che fino ad oggi ho lavorato sempre con colleghi di grandissimo spessore artistico e umano e spero di poter sempre condividere il palco con persone che, come me, amano quello che fanno e gioiscono del nostro meraviglioso mestiere e della sublime musica che possiamo ascoltare e interpretare. In verità sono e sarò sempre felice di lavorare con chiunque perché c’è sempre da imparare da tutti».

Regie moderne o tradizionali? Come vede la lirica oggi? Come fare per avvicinarla ai giovani, ai suoi coetanei?

«La regia per me deve essere un qualcosa al servizio della musica e del libretto, deve rispettare questi elementi e dare loro l’importanza che meritano. Moderna o tradizionale, visionaria o storica, va bene tutto a patto che non disturbi o addirittura distrugga gli elementi più importanti, musica e canto. Per quanto riguarda il rapporto tra nuove generazioni e opera sono convinta che tutto debba partire dalla scuola. Io ho assorbito la musica fin dalla pancia della mamma ed è ovvio che sia parte ormai del mio dna, quotidianità di tutti i giorni. Se si avvicinassero i ragazzi fin dall’asilo alla musica classica e alla lirica, come del resto fanno in molti altri paesi al mondo, penso che avremmo molti più amanti dell’opera. Nel mio piccolo cerco di far avvicinare amici e conoscenti, coetanei o più giovani a questo mondo, che una volta conosciuto sa accendere l’entusiasmo e la voglia di frequentare più assiduamente l’opera».

Come si vede tra dieci anni?

«Spero di essere ancora con la mia valigia in mano, in giro per il mondo a cantare, ma solo se avrò saputo conservare lo stesso entusiasmo e se avrò mantenuto accesa la fiamma della vocazione per questo lavoro. E soprattutto spero che non diventi mai solo “lavoro”, ma appunto resti sempre la passione grazie alla quale mi sento viva».

Nelle foto @Amati-Bacciardi Anastasia Bartoli in Eduardo e Cristina al Rof 2023

Intervista pubblicata in parte su Avvenire del 3 agosto 2024

Rof2024, edizione extralarge per Pesaro Capitale della cultura

Si apre il 7 agosto con Bianca e Faliero l’edizione 2024 del Rossini opera festival. Edizione extralarge (quattro opere anziché le solite tre) per Pesaro Capitale italiana della cultura. Si parte con il titolo che mancava a Pesaro dal 2005 e che quest’anni viene proposto in nuovo allestimento affidato al regista Jean-Loius Grinda e alla bacchetta di Roberto Abbado sul podio dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai. Bianca è Jessica Pratt, Faliero Aya Wakizono, mentre Dmitry Korchak veste i panni di Contareno. Diretta su Rai5 per lo spettacolo che va in scena nella cornice del “nuovo” Palafestival, struttura rimessa a nuovo dopo l’improvvisa chiusura del 2006, nel cuore della città e più facilmente raggiungibile rispetto alla Vitrifrigo Arena (che rimarrà, comunque, uno dei palcoscenici del Rof). Nuovo allestimento, firmato da Johannes Erath anche per Ermione che il 9 vedrà sul podio Michele Mariotti. Protagonisti Anastasia Bartoli, Juan Diego Florez ed Enea Scala. Due le riprese. L’equivoco stravagante l’8, sul podio Michele Spotti, cantano Maria Barakova e Nicola Alaimo. Il 10 Il barbiere di Siviglia diretto da Lorenzo Passerini con la regia di Pier Luigi Pizzi e le voci di Andrzej Filonczyk, Maria Kataeva e Jack Swanson. Giovani dell’Accademia rossiniana impegnati con Il viaggio a Reims che sarà proposto anche il 22 agosto in forma di concerto in una serata di gala diretta da Diego Matheuz. Cast di stelle rossiniane, Vasilisa Berzhanskaya (Corinna), Maria Bakarona (Melibea), Nina Minasyan (Foleville), Karine Deshayes (Madama Cortese), Jack Swanson (Belfiore), Dmitry Korchak (Libenskof), Erwin Schrott (Don Profondo), Nicola Alaimo (Barone Trombonok) e Vito Priante (Don Alvaro). Concerti con Il vero omaggio diretto da Giulio Cilona e la Messa di Ravenna diretta da Ferdinando Sulla. Recital con Eleonora Buratto e Daniela Barcellona.

Leggi qui il programma del Rossini opera festival 2024