Diario rossiniano 2023/4
L’opera di Rossini riletta dal regista Arnaud Bernard portando il pubblico nel mezzo di una prova di scena Nevrosi e tic degli interpreti si sovrappongono alla musica Dirige Lanzillotta, cantano Peretyatko e Abrahamyan
Potrebbe sembrare una regia innocua. Il “solito” teatro nel teatro, che risolve qualsiasi trama complicata. Il “solito” teatro nel teatro sul quale ripiegare quando non si hanno idee… perché sono davvero poche le volte in cui il «facciamo che siamo durante una prova», il «facciamo sconfinare la vita nella scena e viceversa» funziona davvero e ti convince. Potrebbe sembrare una regia innocua quella che Arnaud Bernard ha cucito addosso – un abito su misura perché non c’è gesto che non cada perfettamente tanto da sembrare naturale e fatto sul momento, quasi da sembrare mai provato (eppure le prove per arrivare a tale risultato devono essere state tante…!), ma vissuto sul momento – potrebbe sembrare una regia innocua quella che Arnaud Bernard ha cucito addosso come un abito di alta sartoria ad Adelaide di Borgogna di Gioachino Rossini. Terzo titolo dell’edizione 2023 del Rossini opera festival di Pesaro – titolo che musicalmente getta un ponte con il titolo inaugurale, il ritrovato (e proposto in edizione critica per la prima volta in forma scenica al Rof e in prima in tempi moderni in Italia) Eduardo e Cristina, che nel classico e risaputo meccanismo di autoimprestiti rossiniani, ha dentro diverse pagine “riciclate” proprio da Adelaide di Borgogna.
Potrebbe sembrare una regia innocua, in realtà quella di Arnaud Bernard è una critica (a tratti anche feroce) al mondo dello spettacolo. Della lirica, in primo luogo, perché è quello il mondo che si vede in scena, sul palco della Vitrifrigo arena. Critica impietosa di un certo modo di intendere la regia d’opera, che ti fa sorridere, ma un po’ a denti stretti perché di “regie” tradizionali (anche troppo tradizionali, per non dire al limite del ridicolo) se ne sono viste anche di recente al Rof… (tanto che, detto e ridetto, la sfida del festival dopo quella musicologica oggi è quella interpretativo/drammaturgica delle opere di Rossini). Regie tradizionali… e non si parla per forza di fondali dipinti e ambientazioni “filologiche” del libretto, perché anche allestimenti con scene neoclassiche e bianchissime, costumi dai colori netti, magari con inserti di pelle e corpi maschili esibiti (nella perenne riproposizione dello stesso spettacolo) sono l’anti-regia, la morte della drammaturgia. Contro la quale dice la sua Bernard. Che si scaglia, con il sorriso, contro una società che vive e si nutre di apparenza (e il mondo dello spettacolo non ne è immune), una società dell’immagine (perché questo spesso rischia di essere il mondo dello spettacolo – specie quello tv –, specchio di chi lo guarda e in esso si vuole rivedere) che i social hanno costruito e stanno continuamente costruendo e ricostruendo. Work in progress diremmo, perché cambiano spessissimo regole e codici, meccanismo che spiazza, che non lascia mai tranquilla la società (o meglio, quella parte di essa che pensa che quello sia il “vero” mondo), “costretta” ad un continuo adattamento – e così per essere instagrammabile e collezionare like devi fare quello che fanno i personaggi dello spettacolo sui social… Oggi, dice Bernard con la trovata che mette nel finale (trovata anche un po’ furba, ammiccante che strizza l’occhio ad una società dove il gender e il queer devono essere infilati dappertutto), oggi per essere in trend sui social devi fare una proposta di matrimonio a sorpresa – c’è chi la fa sul palco alla fine di uno spettacolo, chi sul prato di un campo da calcio allo stadio, chi lanciandosi dal paracadute… purché ci sia qualcuno che la riprende con il cellulare per poi farla diventare virale sui social tra like, commenti ed emoticon. Bello la prima, la seconda, la terza volta… ma alla quarta già stufa.
E anche nell’Adelaide di Borgogna c’è una proposta di matrimonio… d’accordo c’è nel libretto di Giovanni Schmidt, la proposta di matrimonio che Ottone fa ad Adelaide. Ma non c’è (solo) quella (che peraltro arriva abbastanza all’inizio dell’opera) nell’Adelaide del Rof 2023. Perché Bernard alla fine, sulle note del rondò di Ottone Vieni, tuo sposo e amante, quando lo spettacolo provato a lungo è finalmente pronto (scene e costumi, peraltro bellissimi firmati da Maria Carla Ricotti, ci portano nelle navate di una cattedrale per l’incoronazione di Ottone), innesca un corto circuito tra finzione e realtà – che poi realtà non è perché il gioco del teatro nel teatro immaginato dal regista francese ci mostra cantanti (quelli della locandina del Rof) che interpretano altri cantanti alle prese con i loro personaggi. Il mezzosoprano che fa Ottone si dichiara – in ginocchio e con tanto di anello in mano – al soprano che fa Adelaide dopo averla corteggiata per tutte le prove… e lei innamorata del tenore che, però, flirta con la ballerina, beccato dal soprano che intercetta sul cellulare di lui le chat segrete… e lei dice di sì a lei – ecco la trovata sicuramente “rossiniana” (la “confusione” dei generi, con donne che interpretano ruoli maschili, è sempre presente nelle opere del compositore e c’è chi ci ha giocato… la Semiramide di Vick, ultimo Rossini al Rof del regista britannico), trovata sicuramente “rossiniana”, ma anche un po’ furba, ammiccante che strizza l’occhio ad una società dove il gender e il queer devono essere infilati dappertutto…
Spiazzato il regista (quello “finto”, giacca e sciarpa di seta bianca al collo), confuse le comparse (quelle finte, che sono bambine di una scuola di ballo scritturate per l’opera) che non sanno più cosa fare, pronti ad estrarre il cellulare e a riprendere la scena i colleghi… quelli finti, che sono poi cantanti veri. Bravissimi tutti nell’assecondare con assoluta naturalezza (e quasi t chiedi se sono così anche nella vita vera, nelle prove reali…) il disegno di Bernard. Che fa una parodia del mondo dell’opera, dei tic, delle nevrosi, della debolezze dei cantanti – chi frequenta il mondo dell’opera conosce bene, ma che per altri sono davvero gustose da assaporare. Funziona? Sì, certo. Ma potrebbe funzionare con qualsiasi titolo… Adelaide di Borgogna, ma anche un Don Giovanni, un Trovatore, persino un Siegfrid… perché non c’è nessun gancio specifico con il libretto anche se alcune situazioni della storia ben si sovrappongono alla drammaturgia parallela costruita da Bernard, le gelosie di Adalberto, la solitudine di Adelaide… Funziona. E bene. Ma “a spese” di Rossini – che finisce per assomigliare alle Convenienze ed inconvenienze teatrali di Donizetti, per dirne una.
Ti chiedi. Com’è la sinfonia di Adelaide di Borgogna? Difficile dirlo. Ci pensi, ci ripensi e non riesci a fartela tornare in mente. D’accordo, ci sono registrazioni, c’è la partitura… e dunque non dovrebbe essere difficile dirlo. Non dovrebbe essere difficile dire se è bella, brutta, se scritta con mestiere o ispirata. Se è una “sinfonia” fatta di temi che si ascolteranno poi nel corso dell’opera o se è una pagina a parte. Difficile dire come sia la sinfonia di Adelaide – che naturalmente è la stessa di tutte le altre Adelaide che sono in circolazione (non molte essendo la partitura una delle “rarità” rossiniane riscoperte nel suo lavoro preziosissimo dal Rof e dalla fondazione Rossini). Ma proprio come sia la sinfonia di Adelaide proprio non riesci a ricordartelo. Nonostante ti sforzi, non ti viene in mente. Perché quando è risuonata il sipario nero era già alzato e sul palco si era già nel bel mezzo della storia. Non quella della vedova di Lotario, re d’Italia morto nel 950, Ma quella parallela, inventata da Bernard per la sua messinscena dell’opera datata 1817. E non riesci proprio a dire come sia la sinfonia perché le immagini, tante, una che si sovrappone all’altra (e non sai più dove guardare) ti hanno stordito. Immagini “rumorose” nel racconto che ti piomba addosso improvviso, racconto delle prove di Adelaide di Borgogna che deve andare in scena al Rossini opera festival – ci sono anche i container dove vengono mese le scene con l’inconfondibile marchio del Rof nella bellissima scenografia di Alessandro Camera, che restituisce in tutto il suo fascino un palcoscenico nudo, i servizi igienici da una parte, le macchinette del caffè dall’altra, in proscenio a destra il tavolo di regia e il pianoforte del maestro collaboratore e a sinistra il camerino.
Capita sulla sinfonia, ma anche nel corso dell’opera la concentrazione sulla musica non è cosa semplice… poi una volta dentro il meccanismo ci fai l’abitudine. E via… tra musica a tratti bella e a tratti abbastanza modesta (pare che non tutto sia scritto di suo pugno da Rossini) e racconto per immagini che Bernard confeziona con grande arte (come il Nabucco risorgimentale ambientato davanti al Teatro alla Scala pensato dal regista per l’Arena di Verona funzionava benissimo, pur nella sua zoppicante drammaturgia sulla Storia) perché ogni gesto che fotografa tic e nevrosi arriva naturalissimo, ogni azione come se avvenisse in quel momento, davanti agli occhi degli spettatori. Cosa che ha un fascino che cattura. Anche se “a spese” di Rossini. Prendere o lasciare. Rossini che arriva bene, nel suo mix di pagine intense e ispirate e passaggi più di maniera, nella lettura di Francesco Lanzillotta, sul podio dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai (il coro, come in Eduardo e Cristina è quello del Teatro Ventidio Basso). Il direttore romano (che a causa di un incidente stradale non potrà dirigere le repliche, lasciando il podio a Enrico Lombardi) tiene bene le fila del racconto musicale provando (e riuscendoci) a conferire uniformità alla partitura (anche nel continuo dentro e fuori della scena che inevitabilmente si ripercuote sulla musica), partitura che cresce con il passare della narrazione, toccando i suoi vertici nella seconda parte con le grandi scene di Adalberto Grida o natura e di Adelaide Cingi la benda candida. Rossinismi – e non è detto con accezione negativa perché crescendo, strette, ma anche abbandoni lirici ci sono e devono arrivare – Rossinismi rispettati nella direzione di Lanzillotta che scorre fluida. Come il canto, di una compagnia omogenea e tutta di buon livello.
Olga Peretyatko è Adelaide, scenicamente sempre perfetta (nel dentro e fuori tra interprete e personaggio, a tratti davvero esilarante) e musicalmente in crescendo, intensa e appassionata (nonostante qualche errore ripetuto sul testo del libretto) nella sua grande aria dopo una prima parte meno a fuoco e meno convincente. Ottone, o meglio, il mezzosoprano che fa Ottone (e che fa la proposta al soprano che fa Adelaide), è Varduhi Abrahamyan, scenicamente e vocalmente disinvolta, sempre a posto nel canto e nella musicalità rossiniana, ma sempre a un passo dalla perfezione e da quel graffio che potrebbe fare di una buona interpretazione una interpretazione da Oscar. Spiegato e svettante il canto di René Barbera, Adalberto dallo squillo generoso, ma al contempo sempre misuratissimo – anche scenicamente dove lavora per sottrazione, per costruire un personaggio, quello del tenore seduttore, che avrebbe potuto diventare una macchietta. Seduttore, nella rilettura di Bernard, anche il basso che fa Berengario. Che è un Riccardo Fassi in ottima forma, ulteriore conferma delle grandi qualità vocali, musicali (nell’intelligenza che mette nel leggere e restituire un personaggio) e sceniche del basso milanese che, anche qui, lascia il segno grazie ad una voce bella, timbratissima e usata con sapienza.
Funzionano, musicalmente e scenicamente, anche Paola Leonci (Eurice), Valery Makarov (Iroldo) e Antonio Mandrillo (Ernesto), la prima nella caricatura della cantante di mezza età costretta a ruoli di carattere, Makarov nel ruolo del primo della classe, Mandrillo il cantante ritardatario, sempre al cellulare, pronto, con il collega a filmare la proposta di matrimonio. Da postare sui social. Come fanno gli spettatori del Rof che filmano (e in qualche modo si filmano) durante gli applausi. Calorosi per tutti. Con qualche dissenso per Bernard e la sua regia che potrebbe sembrare innocua. Ma non lo è.
Nelle foto @Amati/Bacciardi Adelaide di Borgogna al Rossini opera festival