Il regista britannico librettista dell’opera di Mitterer ispirata al personaggio inventato da James M. Barrrie Prima assoluta a Bolzano con la fondazione Haydn
«Wendy è un’adolescente che vive in una casa famiglia, una ragazza di oggi alle prese con un mondo moderno filtrato da Instagram, Twitter e fake news. E quando incontra un giovane uomo che sembra dirle tutto ciò che lei vuole sentire – un giovane uomo vestito con pantaloni di pelle verdi, una canotta di rete nera e una camicia verde – viene sedotta. Lei e i suoi fratelli adottivi compiono precipitano in una realtà contorta in cui non si sa cosa sia reale e cosa immaginato». Raccontato così qualcosa non torna. Non sembra l’incipit del Peter Pan di James Matthew Barrie, racconto che si apre nella stanza da letto dei tre fratelli Darling a Londra, dove un folletto vestito di verde ricoperto di foglie, perde la sua ombra. È un Peter Pan oscuro, poco rassicurante. Che vive in un universo distopico fra echi di cultura pop, opere d’arte digitale, rimandi al gaming e alle atmosfere di serie televisive come Euphoria e This is England.
«Un Peter Pan più vicino al racconto originale di Barrie. Una versione che solleva interrogativi. Cosa significa volare verso l’Isola che non c’è? Cosa vuol dire sedurre i bambini e condurli fin lì? Cosa significa non voler crescere?» racconta sir David Pountney, regista britannico di origini polacche, nato a Oxford nel 1947, che ha scritto il libretto di Peter Pan. The dark side, versione in musica del racconto di Barrie del 1911 che va in scena in prima assoluta il 25 marzo al Teatro Comunale di Bolzano. Nuova opera commissionata dalla fondazione Haydn al compositore austriaco, pioniere dell’elettroacustica, Wolfgang Mitterer. Sul podio dell’orchestra Haydn di Bolzano e Trento Timothy Redmon. Peter Pan è Karim Sulayman, Wendy Rosie Lomas, Hook Andreas Jankowitsch. Regia affidata a Daisy Evans.
«Le storie possono essere lette come innocenti fantasie, ma tutte, come i miti, incarnano potenti verità umane. Le possiamo quindi interpretare scegliendo un registro leggero o molto più oscuro o addirittura una chiave psicologica. Ad esempio, quando si affronta un romanzo in cui dei bambini vengono convinti a saltare da una finestra e a credere che saranno in grado di volare, viene naturale chiedersi che cosa sta realmente accadendo loro. Questo è stato il mio punto di partenza per Peter Pan» spiega Pountney, regista di casa nei maggiori teatri lirici – ma il suo nuovo Don Giovanni, annunciato come titolo inaugurale del prossimo Maggio musicale fiorentino, è saltato per i tagli che il commissario straordinario Onofrio Cutaia ha dovuto mettere in atto e sarà rimpiazzato da un vecchio allestimento di Giorgio Ferrara. «Peter Pan – racconta il regista, qui nelle vesti di librettista – è parte della mia infanzia».
Cosa rappresenta, David Pountney, per un britannico il Peter Pan di Barrie? E che ruolo ha avuto nella sua infanzia e nella costruzione del suo immaginario questo racconto?
«Peter Pan è un’importante memoria dell’infanzia: corrisponde all’inizio della mia capacità di comprendere il teatro. Ricordo di essere andato a vederlo da bambino. Ricordo precisamente due cose: la prima è che per qualche motivo nello spettacolo c’erano un sacco di poliziotti con i loro tipici elmetti inglesi e che questi poliziotti fluttuavano nell’aria. Un ricordo assolutamente emozionante: mi riporta al mio amore per lo spettacolo e per il teatro. L’altra cosa che ricordo della performance è il coccodrillo che si mangiava la sveglia, cosa che mi aveva impressionato molto».
Nel Peter Pan di Bolzano, però, questa doimensione di favola non c’è, tanto è vero che la vostra opera ha come tiolo The dark side, il lato oscuro…
«Come tutte le favole anche quella di Barrie ha il suo lato oscuro. Da quando sono nati i miei figli le storie di abusi e di sfruttamento minorile mi hanno sempre commosso e turbato. Ricordo che negli anni Ottanta, quando ero impegnato in una produzione di Hansel e Gretel all’English national opera, rimasi affascinato dalla terribile scoperta di alcuni corpi di bambini sepolti in un giardino di Londra. Forse ricorderete che Hansel e Gretel termina con il ritorno in vita dei bambini uccisi: in quella produzione risorgevano dalla terra, proprio come gli spiriti di quei bambini uccisi nella vita. Quindi, quando si affronta una storia in cui dei bambini vengono convinti a saltare da una finestra e a credere che saranno in grado di volare, nella mia testa iniziano a scattare alcuni campanelli d’allarme… desidero sapere che cosa sta realmente accadendo a questi bambini. Sono in mani sicure o rischiano di essere sfruttati e danneggiati?».
Peter Pan è un personaggio che Barrie ha raccontato sia in un romanzo che in un’opera teatrale. Come ha lavorato su un libretto di un’opera tratta da questo soggetto? La forma teatrale del testo l’ha aiutata?
«James Matthew Barrie è un autore molto serio, qualcuno che in effetti ha inventato un mito. Voglio dire, non si inventa un mito, i miti sono cose che sono presenti nella nostra identità culturale da molti secoli, ma Barrie è riuscito a inventare un mito, un’idea, un’immagine, un nome che è durato per quasi un paio di secoli. È un risultato davvero notevole. E per passare al lato oscuro, il punto di un mito è che quasi tutti possono essere letti in modo leggero, in modo narrativo o in modo oscuro e psicologico. Fa parte della forza di un mito il fatto che abbia delle risonanze con la nostra vita in termini di stato psicologico, emotivo, mentale… e i miti racchiudono sia il lato lieve che il lato oscuro. Si è sempre enfatizzato il lato lieve, ma poiché nessun mito è diretto ai bambini, i miti sono diretti agli esseri umani di ogni tipo. E in realtà, i bambini hanno molti meno problemi, spesso, a reagire alla comprensione di qualcosa di oscuro: ai bambini piace essere spaventati, piace che gli si raccontino storie spaventose, ne traggono piacere».
E qual è il lato oscuro di Peter Pan?
«L’aspetto più rilevante della storia è che un uomo si presenta fuori dalla camera dei bambini e li convince ad andare con loro. E non credo che in nessun angolo del mondo sarebbe ora una cosa molto bella da fare. Sappiamo tutti cosa succede ai bambini che vanno con figure carismatiche e invitanti che dicono loro “perché non vieni con me, posso mostrarti qualcosa…”. Non consigliereste ai vostri figli di seguire in nessun caso una persona del genere. Ed ecco che questa specie di figura fiabesca fa uscire tre bambini dalla loro camera da letto e li porta da qualche parte lontano dai loro genitori. Nel nostro racconto vediamo cosa succede loro in queste circostanze, in circostanze reali, che conosciamo fin troppo bene: quei bambini finiscono per essere sfruttati, indotti a diventare tossicodipendenti… e possiamo solo immaginare cosa succederà loro nel mondo reale moderno».
Detta così si intuisce un’attualizzazione della figura del bambino che non voleva crescere. Quali le domande che vi siete posti? Quali le risposte? Chi è oggi Peter Pan? E i temi che il racconto ci propone come vengono attualizzati?
«Credo che la parola chiave sia “grooming”, significa infiltrarsi nella coscienza di un bambino e addestrarlo a fare le cose che si vogliono fare, ricompensarlo per fare le cose che si vogliono fare… è molto spiacevole… e penso che ci sia questo elemento di pericolo in Peter Pan che comporta, come ho detto, il rapimento di bambini, comporta dire loro che possono volare. Peter Pan è l’ingannatore, un narcisista, una persona che fa affidamento solo sulla propria parte di immaturità, in quanto non riesce a pensare correttamente a nessun altro e, in effetti, si dimentica di chiunque altro nel momento in cui si allontana da lui. Questo è un chiaro indice di narcisismo, una cosa estremamente sgradevole».
Peter Pan è stato raccontato al cinema, in teatro, il musical e anche all’opera. Qual è il valore aggiunto del vostro lavoro? Cosa avete fatto per differenziarvi dalle versioni precedenti?
«Il soggetto di Peter Pan è stato scelto da Matthias Losek, direttore artistico della fondazione Haydn, che ha specificato di essere alla ricerca di una versione dark per questo racconto classico. Devo dire che mi è piaciuto molto esplorare questo lato oscuro della storia. Il Peter Pan che ho sviluppato mixa alcune “aree scomode” della storia che riguardano il rapimento dei bambini e la natura della relazione fra Peter Pan e Wendy: cosa sta succedendo veramente qui? Chi si sta occupando di questi bambini? Siamo preoccupati per la nanny che li sta seguendo, ci preoccupiamo di cosa fanno questi bambini quando i genitori vanno via… se hanno davvero dei genitori o se sono stati abbandonati e sono in balia di un losco sistema di assistenza che però non si sta prendendo veramente cura di loro e che permette che vengano sedotti. Ci sono vari tipi di storie per i bambini. In opere come Peter Pan o Il vento fra i salici si trovano allo stesso tempo un certo tipo di fantasia per i bambini – penso alla figura mitica di Peter Pan, il coccodrillo, i pirati, tutti gli ingredienti di una storia per i bambini – e allo stesso tempo un certo tipo di riflessione sociale sulla prima parte del ventesimo secolo in Inghilterra, a Londra. In Peter Pan, i genitori, Mr. e Miss Darling, vivono in una tipica casa londinese, lui va a lavorare ogni giorno, la sua vita è miserabile e ordinaria. E allo stesso tempo, di sopra, nella stanza dei ragazzi, trova spazio questo mondo di fantasia in evoluzione. Nella storia si combina l’analisi politica e sociale della vita edoardiana, della vita borghese, del perché la gente è infelice – chiaramente Miss Darling è infelice – e allo stesso tempo si esplora un mondo infantile fantastico. Questo porta alla luce questioni oscure. C’è una relazione fra Peter Pan e la famosa storia del Pifferaio magico, l’uomo che eliminò i topi fuori dalla città e portò via anche i bambini sulle montagne. È la stessa dinamica che troviamo in Peter Pan: un personaggio che porta via i bambini. Questo elemento poteva avere avuto un certo grado di accettabilità sociale all’epoca, ma oggi rapire i bambini apre retroscena più pesanti, implicazioni più nere e scomode».
Come intende oggi il ruolo del regista nella nostra società? Quale l’approccio ai grandi capolavori che siano teatrali o musicali?
«Ho sempre creduto che raccontare storie sul palcoscenico attraverso la musica fosse un modo molto profondo di comunicare con il pubblico. L’opera è qualcosa di potente e viscerale, molto più vicina alla nostra vita emotiva reale rispetto a uno spettacolo più confortevole».
Il regista britannico, qui librettista, David Pountney
Nelle foto @Francesco Bondi Peter Pan. The dark side a Bolzano