Il Peter Pan di Ayres vola con i ragazzi di Mainz

Allo Staatstheater gli studenti seguono con entusiasmo l’opera contemporanea ispirata al personaggio di Barrie

D’accordo che, come cantava Lucio Dalla in Caruso (sintesi perfetta, in tre minuti di canzone, del fantastico e al tempo stesso doloroso mondo del melodramma), vale la regola della «potenza della lirica dove ogni dramma è un falso». Ma fa un certo effetto vedere una Wendy che ha le sembianze di una qualsiasi persona adulta che potremmo trovarci a fianco su un mezzo pubblico, davanti a noi in fila in banca, in sala d’attesa del dentista. O seduta accanto in platea a teatro. Teatro. Certo. Dove «ogni dramma è un falso». Ma dove quel dramma “falso” sa evocare con una potenza incredibile – la potenza della lirica, appunto – la vita. Wendy adulta – e ti viene in mente Steven Spielgerg e il suo film Hook, dove racconta un Peter adulto, una Wendy ormai anziana che tornano sull’Isola che non c’è, perché la fanciullezza è un richiamo a cui non si può resistere. Wendy adulta, in pigiama e trecce bionde. Ma non solo. Anche John e Michael. Certo mamma e papà Darling non possono che essere grandi (ma attenzione a non connotarli troppo con un grembiule da casalinga per lei o una pipa da perfetto padre di famiglia per lui per non cadere in quegli stereotipi di genere che in Germania sono al bando in teatro – e nella società in genere).

Grandi i piccoli Darling come sono grandi i Bambini perduti. Bambinoni che popolano un’Isola che non c’è dove non ci sono piante, vegetazione, spiagge dorate e mare blu. Perché sul palco del Kleines Haus dello Staatstheater di Mainz – città sul Reno, cuore del land della Renania-Palatinato – l’Isola che non c’è dove approdano in volo Wendy e i fratelli è una grande lavagna nera che occupa tuto il palcoscenico ed è fatta di grandi tessere di un puzzle che si compone nel grande gioco del teatro. Evoca ambienti, suggerisce luoghi con la fantasia che fa diventare tridimensionali i tanti disegni, le scritte, gli scarabocchi (fatti con i gessetti colorati) che la popolano. Disegni di bimbi. Semplici. Come quelli appesi alle parti della stanza dei tre Darling, una nave nera, un albero, un cielo con il sole, un paesaggio marino popolato di pesci. Che prendono vita, volano con loro, verso l’Isola che non c’è.

Li guida Peter, vestito di foglie e terra. Come dice il suo nome, Peter Pan. Facile intuirlo che è lui, il folletto verde che vola sul Big Bang di Londra. Il Peter Pan di James Matthew Barrie. Trasformato in un’opera lirica, con tanto di cori, arie, duetti, terzetti… tra avanguardie  e musical, tra jazz e Novecento da Richard Ayres. Peter Pan, numero di catalogo 45, anno di composizione 2013 per il musicista britannico, classe 1965. Non la prima né l’ultima partitura (che sia opera lirica o musical) sul personaggio che tutti abbiamo sperato venisse a prenderci nella nostra stanza da bambini per volare con lui sull’Isola che non c’è. Sogni di bambini. Anche se in realtà la favola di Barrie, come tutte le favole, ha un qualcosa di inquietante e inquieto. Non di crudele, questa volta. Ma di doloroso sì. Perché i Bimbi perduti sono quelli che le tate smarriscono al parco, quelli che cadono dalle carrozzine e spariscono. Favola pedagogica, romanzo di formazione – perché la versione teatrale di Peter Pan che Barrie scrive nel 1904 ha come sottotitolo Il bambino che non voleva crescere, quel bambino che lo scrittore inglese racconta anche in Peter Pan nei giardini di Kensington (dove si perdono i bambini) nel 1906 e nel romanzo in cui nel 1911 trasforma il suo testo teatrale. Che in versione opera funziona benissimo.

Non la prima né l’ultima partitura ispirata al testo di Barrie, si diceva. Sicuramente un’opera ben riuscita quella di Ayres, che sa dosare bene il mix di grave e leggero che c’è nel testo di Barrie e che qui rivive tra un primo quadro, quello nella stanza dei Darling, tutto ispirato all’opera contemporanea, tra avanguardie e Novecento, e un volo sull’Isola che non c’è dove a raccontare le lotte tra Peter e Uncino sono ritmi jazz e echi da musical. Tutto confezionato come un’opera lirica – a dirigerla con bel piglio David Fernández-Caravaca sul podio dell’Orchestra dello Staatstheater, del coro maschile del teatro e delle voci bianche del Duomo di Mainz. Opera che i grandi vedono la sera, nel cartellone dello Staatstheater. E i ragazzi la mattina. Una mattina qualsiasi. Di un giorno di scuola come un altro. Con il diversivo dell’uscita. A teatro. Ma non è una di quelle matinée per le scuole alle quali siamo abituati in Italia, con gli studenti che rumoreggiano in sala e disturbano chi è sul palco. Nel Kleines Haus di Mainz non c’è un cellulare che sia uno che si accende. Non c’è nessuno che chiacchiera per l’ora e mezza abbondante dello spettacolo, senza intervallo. Eppure in locandina non c’è una “riduzione da…”, un taglia e cuci di un testo classico. C’è un’opera lirica, appunto. Che i “grandi” vedono la sera. Nessuno sconto per i ragazzi allo Staatstheater. Perché il teatro in Germania ha una valore pedagogico, educativo. Da fruire quotidianamente. Senza certi riti che da noi, indubbiamente, hanno il loro fascino. Un valore che è sottolineato, rimarcato dal ruolo (a volte anche troppo) preponderante della drammaturgia. Che “vigila” su come un testo (che sia di parole o di note) viene veicolato e arriva alla platea. Arriva. Deve arrivare tanto che questo Peter Pan, che nasce con il libretto inglese di Lavinia Greenlaw, a Mainz viene proposto nella versione tedesca di Adelheid e Jürgen Dormagen. Al bando gli stereotipi, al centro domande su domande.

E cosa resta? Sicuramente un teatro “impegnato” – che non vuol dire che manchi il divertimento, intendiamoci, perché si sorride e si ride tanto in questo Peter Pan confezionato con uno sguardo pop dalla regista Nina Kühner. Teatro impegnato perché offre ai ragazzi un’opera come la vedranno da spettatori domani, senza sconti. E non vola una mosca in sala. Teatro impegnato perché, senza proclami i messaggi di inclusione, tanto cari a certo teatro tedesco arrivano. Trilli, Campanellino… come la conosciamo, che qui si chiama Tinkerbell, è un’attrice sordomuta, Adriane Große: le basta uno sguardo, un movimento di braccia per “gridare” la sua paura. E a chi è in sala basta un battito di mani per farle riprendere vita…. Linguaggio non verbale. Che è il più semplice. Quello dei bambini.

Che qui sono “grandi”. Artisti dell’ensemble di Mainz. E ospiti, signori ospiti. Come Yuko Kakuta arrivata, in una recita di gennaio, a sostituire l’indisposta Maren Schwier nel ruolo (complessa e tutta tendente all’acuto la scrittura di Ayres) di Wendy. La cantante giapponese, musicalissima e perfetta nel ruolo, in proscenio, davanti al leggio (pur padronissima della parte, già affrontata a Stoccarda) a “doppiare” la regista, impegnata sul palco a dare corpo a Wendy. Che vola verso l’Isola che non c’è dondolandosi su un’altalena (bell’impatto, bella idea della regista) con i fratelli – che sono gli efficaci Mark Watson Williams (John) e l’assistente alla regia Maximilian Eisenacher (arrivato, sempre nella recita di gennaio per le scuole, a sostituire Alexandra Samouilidou come Michael). Volano con il Peter Pan di Yosemeh Adjei, voce di controtenore, registro che Ayres sceglie per omaggiare la musica del Novecento, ma anche il Barocco che in trasparenza leggi in alcuni momenti corali. Quelli del caos organizzato. Del trionfo del suono che arriva da una partitura imponente (e a Mainz l’orchestra è divisa in due, parte in buca e parte sul palco del Kleines Haus) dove Capitan Uncino (quasi freudianamente) è interpretato dal basso che veste anche i panni di Mr. Darling, un efficace Stephan Bootz. Mentre Mrs. Darling è restituita tra dolcezza e un pizzico di follia da Anke Steffens. E c’è anche Nana – il barbuto e di rosa vestito dalla costumista Claudia Casera non senza ammiccamenti queer Gregor Loebel – che si aggira nella stanza dei Darling.

Concreta, concretissima (e anche poco british) nella scena di Hanna Zimmermann. Che poi, come un puzzle dalla doppia faccia, si trasforma (smontandosi e librandosi in volo davanti agli occhi degli spettatori) nell’Isola che non c’è. Dove si balla sulle coreografie di Petra Quednau. Dove alla fine delle lotte saranno i Bambini perduti a trionfare, mentre Capitan Uncino sarà inghiottito da un enorme coccodrillo. Basta un attimo e torna la stanza dei giochi. I Darling ritrovano i loro figli. Messaggio chiaro. Impossibile non capirlo. Anche se detto con i toni, leggeri e gravi allo stesso tempo, della favola. Anche se detto con i grandi – potenza della lirica – che fanno i piccoli.

Nelle foto @Andreas Etter Peter Pan allo Staatstheater Mainz