Allo Staatstheater l’opera con la regia di Cordula Däuper Dirige Daniel Montané, Selene Zanetti debutta Fiordiligi
Così fan tutte. Lo dicono le percentuali. Inattaccabili. Le mette nero su bianco – anzi, bianco su nero, come su una lavagna universitaria di quelle che si usavano quando non c’era la tecnologia, piena di formule matematiche, scritte con il gesso – le mette bianco su nero sulla grande lavagna del sipario, mentre risuonano le note dell’ouverture, Don Alfonso. Ricercatore da laboratorio nel suo camice bianco (sotto un dolcevita che fa subito intellettuale), in mano una cartelletta piena di cifre sulla quale continua a scrivere numeri, gli occhiali ben inforcati. Davanti ha le sue cavie. Che non sono i classici topi da laboratorio, ma sono belle, bellissime spose nei loro abiti bianchi da atelier d’alta moda, il velo di tulle in testa, il bouquet di fiori freschi in mano, intente a sfogliare riviste di viaggi per progettare la luna di miele. Tutte uguali. Tragicamente uguali. Cavie da osservare al microscopio mettendo sotto la lente di ingrandimento i sentimenti. Per vedere se, come dicono le percentuali, così fan tutte. E per poi illustrare, a noi che siamo in platea, i risultati di questo esperimento “scientifico”. Uno studio di quelli psicologici che osservano l’uomo in un determinato ambiente. Esperimento alla Grande fratello, che si guarda per vedere l’effetto che fa.
Sì, ma cosa “fan tutte”? I dati di partenza dell’esperimento dicono che tutte (comprese le sorelle Fiordiligi e Dorabella) sognano un matrimonio in bianco, una casa di proprietà, una sicurezza economica, dei figli con i loro uomini. Che solo a vederli (Guglielmo e Ferrando compresi), eleganti, distinti, a modo, sembrano poter garantire un matrimonio come tutte sognano. Una vita da serie tv. E per averla sono disposte tutto, anche a tradire. Questo lo dice cinicamente – lo sentiamo nella musica inquieta, sensuale sin dalle prime note – (anche) Wolfgang Amadeus Mozart nella sua opera più erotica (più ancora di Don Giovanni dove la conquista è fine a se stessa, compulsiva solo per arricchire il Catalogo, unico antidoto vitale alla morte dalla quale il protagonista fugge sin dall’inizio). Dice, Mozart, che Così fan tutte. Tutte. O tutti. Poco importa. Non per evitare facili accuse di sessismo – ormai il politically correct ci perseguita. Ma perché anche gli uomini non fanno una gran figura in questo “esperimento” fatto per dimostrare che «è la fede delle femmine come l’araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa». Un esperimento che chiedono loro, loro uomini intesi come maschi, Guglielmo e Ferrando, all’inizio di quest’opera che parte già in media res, in piena discussione sulla fedeltà delle femmine tra Guglielmo e Ferrando e Don Alfonso che ha detto ai due amici che le donne «infide esser ponno». E i due uomini chiedono: «Provar ce ‘l dovete se avete onestà». Poesia, ma anche tagliente analisi della realtà, nel libretto di Lorenzo Da Ponte. «Dovete provarci che sono infedeli».
Una tesi da dimostrare, dunque. Come quella che ci mette davanti agli occhi Cordula Däuper. «Credi nell’amore eterno?» ci chiede la regista tedesca. Perché ogni ricerca parte sempre da una domanda. «Glauben Sie an die Liebe des Lebens?» detto (e scritto) in tedesco. Perché siamo in Germania. A Mainz. Pochi chilometri da Francoforte. Allo Staatstheater di Magonza, la città di Gutenberg. Edifici nella tipica pietra rosa, il duomo dedicato a santo Stefano e san Martino, lo stesso Staatstheater. Un centro storico dove antico e moderno, tra case in legno e reperti novecenteschi, si fondono in quella vertigine di epoche tipicamente tedesca. Il Reno che scorre (e sfiora le industrie tra biotecnologia e informatica) a due passi dall’Altstadt segnando il confine tra la Renania-Palatinato di qui e l’Assia di là. Cultura. Tanta cultura. Declinata nel quotidiano, tra una Brezel da assaggiare bevendo un bicchiere di vino bianco prima di sedersi in platea.
Anche a una prima, come quella del Così fan tutte di Mozart, nuova produzione della stagione lirica dello Staatstheater (teatro dove sullo stesso palcoscenico si alternano sera dopo sera opera, prosa, musical, danza, concerti). Perché qui andare a teatro non è tanto un “rito” da celebrare (come capita spesso in Italia), ma un’opportunità da cogliere. Per riflettere, attraverso i capolavori del passato, sul nostro presente. Anche a costo di forzare un po’ la mano. Compito che è tutto del Dramaturg, figura mitologica tipica dei teatri di area tedesca (solo a pronunciarla è una parola che incute una certa soggezione) che non c’entra nulle con le pallide imitazioni di casa nostra dove non si capisce bene cosa faccia chi in locandina compare alla voce “drammaturgia”. Qui a Mainz (e in tutta la Germania) il Dramaturg viviseziona il testo (musicale e letterario), lo smonta e lo rimonta. Lo traduce a volte letteralmente, più spesso nel suo significato profondo. Segue, come un’ombra, il regista dalla prima prova all’ultima. Per vedere che tutto torni. Figura centrale per la cultura teatrale tedesca, tanto che alla festa post prima (in Italia si fa dietro le quinte, a porte chiuse, qui nel foyer ed è aperta a tutti, al termine della recita) le prime figure che il sovrintendente (un istrionico Markus Müller che tiene la scena per oltre venti minuti) chiama per i ringraziamenti di rito sono regista (Cordula Däuper) e Dramaturgin (Elena Garcia Fernandez). Fa un po’ effetto, come negarlo, che la musica (con il direttore e i cantanti chiamati solo alla fine della lista) arrivi per ultima. Ma quello che va in scena a Mainz (e in tutta la Germania) è teatro musicale. A tutto tondo. Dove musica e parola si fondono alla perfezione. Dove canto e recitazione hanno (giustamente) la stessa dignità.
Teatro. Che ti tira dentro nel racconto. Nell’esperimento (in questo caso) del Così fan tutte di Mozart. Che la Däuper impagina come un fumettone. Scene da un (mancato) matrimonio dal sapore molto americano – il palloncino rosso a forma di cuore che le due sorelle tengono legato al braccio, i due amanti che nella scena del giardino calano dall’alto, sotto una pioggia di palloncini a cuore d’argento, uno ricoperto di fiori e l’altro imprigionato in un cuore gigante e glitterato (l’applauso e la risata qui scattano a scena aperta). Vignette alle quali manca solo la nuvoletta con le parole. Tavole colorate dalle tinte marcate. Due sezioni di due villette a schiera (di quelle che si vedono nei programmi tv che vengono dagli Stati Uniti sulla ristrutturazione delle case) con tanto di buca delle lettere e bidone di plastica per la spazzatura. Blu elettrico le pareti e il tetto. Verdi gli arredi del salotto, l’unica stanza che vediamo, con divano, vaso di fiori e culla per i futuri bimbi. Le ha disegnate Pascal Seibicke, le ha messe su un girevole insieme alla casa dove abita Despina, fatta di cartone con la tipica freccia/bocca che sorride di Amazon, perché la cameriera di Fiordiligi e Dorabella è una cliente seriale della piattaforma, ordina e attende l’arrivo del pacco per provare a conquistare il ragazzo delle consegne – e alla fine, non riuscendo nell’impresa, si ordinerà online il suo uomo/robot.
«Die Wette gilt». Parte la scommessa. Parte l’esperimento. Parte il girevole, in perenne movimento, a disegnare i set di questo laboratorio dei sentimenti. Che effetto farà alle ragazze e agli amanti sentire una musica militare? Ecco allora il coro «Bella vita militar» registrato (strano, diresti, contro la musica, ma qui funziona benissimo), arrivare dalle casse di uno stereo: Don Alfonso somministra uno stimolo e le cavie reagiscono. Che effetto può fare scambiare gli amanti? Don Alfonso mischia gli elementi e parte la reazione a catena. E così via… Un esperimento dove tutto è esagerato, esasperato (d’altra parte anche in ambito scientifico occorre forzare la mano per vedere l’effetto che fa…), ma drammaticamente vero. Autentico. Tanto che il fumettone, la lettura così marcata della Däuper non disturba la musica. E non hai quella sensazione di fuori sincro tra suono e immagine. Anche perché in buca Daniel Montané, primo direttore dello Staatstheater di Mainz, tiene ben salde le redini del racconto musicale, fa un Mozart pulito e limpido, con un’orchestra piccola, ma sempre ben presente. Un Mozart non anticato nel suono (come certa prassi filologica oggi vuole e fa), ma ugualmente secco e scattante. Ben aderente al racconto per immagini. Che tutto il cast restituisce alla perfezione. Cantanti precisi, attori efficaci. Un cast dove ai musicisti della compagnia stabile (altra caratteristica dei teatri tedeschi, macchine da guerra musicali incredibili, ma qui ad oliarla ancora meglio e a darle una marcia in più c’è lo zampino di un italiano, Gabriele Donà, direttore artistico del settore lirico e direttore casting) si affiancano ospiti che lasciano il segno. Come Selene Zanetti, soprano veneto lanciatissima (meritatamente) che a Mainz fa la sua prima Fiordiligi, centrando subito l’obiettivo grazie a una musicalità innata, a una tecnica impeccabile, a una voce dove ad acuti luminosi che sfumano in filati interminabili si alternano gravi avvolgenti, a una intelligenza scenica che la porta a disegnare un personaggio in perenne bilico tra euforia e tragedia. Ospite anche Pablo Ruiz, Don Alfonso che tesse le trame dell’esperimento, insinuante, rassicurante, spiazzante… tutto insieme grazie a una voce bella, a un canto e a un’interpretazione sempre misuratissime.
Gli altri personaggi sono tutti affidati ai cantanti dell’ensemble di Mainz. Julietta Aleksanyan è una Despina disincantata, dalla voce limpida a pungente, donna disillusa della vita che fa i mestieri come una delle tante donne delle pulizie che girano nei nostri uffici, ma che si trasforma quando, tra le quattro mura di casa scatena la sua compulsiva ossessione per gli acquisti. Karina Repova offre a Dorabella la sua prorompente e vigorosa fisicità e la sua voce bruna, voce che non sempre si libera negli acuti, come capita al Ferrando di Myunging Lee, scenicamente irrestistibile. Come Brett Carter che è un puntuale ed efficace Guglielmo.
Tutte cavie dell’esperimento di Don Alfonso. Un esperimento dove tutto è esagerato, esasperato, ma drammaticamente vero. Dove i gesti (grande lavoro attoriale sui cantanti, indubbiamente, da parte della regista) e i sentimenti che quei gesti esprimono vanno spesso nel senso opposto rispetto alle parole (il finale del Come scoglio con Fiordiligi, strepitosa Selene Zanetti, issata su una scala, la testa e il busto fuori dal tetto della casa, a tentare il suicidio) per far tornare la tesi, certo, ma anche per smascherare quel falso romanticismo che è sempre in agguato (anche il tradimento viene spesso edulcorato) in un’opera come il Così fan tutte – opera che in tanti realizzano simmetricamente (due sorelle, due amanti…), parallelismo che qui è scardinato per un racconto dove le individualità arrivano nette e ben delineate. Opera, Così fan tutte, che non è rassicurante. Per nulla. Prima le ragazze resistono agli assalti dei due amanti travestiti da albanesi – qui un est di nuovi arricchiti, Ferrando ha una pelliccia leopardata, Guglielmo bermuda, calzini bianchi e mocassini di vernice nei costumi psichedelici di Sophie du Vinage.
Ma poi succede qualcosa. Un sogno, che apre il secondo atto. Un incubo per Dorabella e Fiordiligi. Con una sposa nera che è Despina, accompagnata alla pianola da un pianista che ha sul volto il teschio della morte, nella sua aria «Una donna a quindici anni». Alla pianola (che evoca un carillon da film dell’orrore) e tradotta in tedesco. Strano, certo. Perché vorresti sentire immacolato (nella musica di Mozart e nelle parole di Da Ponte) l’elenco di quello che una donna «deve» saper fare, «finger riso, finger pianti… saper mentire…farsi ubbidir». Una prospettiva da incubo. Certo. Che scatena una reazione nelle cavie. Che non ci pensano due volte a cedere al corteggiamento. E lo fanno convinte, «Prenderò quel brunettino… ed intanto io col biondino…». Perché il loro obiettivo, ci dicono regista e Dramaturgin, è fare quello che fanno tutte: un matrimonio in bianco, una casa di proprietà, una sicurezza economica, dei figli con i loro uomini. Anche a costo di tradire. E di scegliere chi quelle sicurezze le offre e le garantisce.
Perché alla fine le coppie non ritornano come all’inizio, ma Fiordiligi si tiene Ferrando e Dorabella Guglielmo. Scambio di coppia? Poliamore? Il dubbio ti resta, anche perché il libretto di Da Ponte è abbondantemente sforbiciato nei recitativi e nel finale che arriva improvviso e carico di punti interrogativi, nonostante la musica inviti all’«e vissero tutti felici e contenti». Domanda (aperta) sulla realtà che fa ripartire (nella vita oltre la scena) la riflessione. «Glauben Sie an die Liebe des Lebens?». Fa ripartire l’esperimento. Perché tutto, qualsiasi ricerca, deve partire da una domanda. «Così fan tutt*?».
Nelle foto @Andreas J. Etter Così fan tutte allo Staatstheater di Mainz