Alla Scala dopo 28 anni un nuovo allestimento dell’opera con il regista napoletano che si ispira al film sudcoreano «Un Verdi politico, racconta il divario tra ricchi e poveri» Dirige Michele Gamba, protagonista Amartuvshin Enkhbat
Il Rigoletto di Mario Martone vive nelle fogne, nei bassifondi, come l’umanità ai margini di Parasite, il film cult del sudcoreano Bong Jooh-ho. Vive nelle cantine putride del palazzo del duca «che oggi è uno ricco, molto ricco, con amici ricchi che pensano di poter fare ciò che vogliono con le persone che sono al loro servizio». E da lì, da quell’inferno, emerge, per far divertire il suo signore. «Si crede protetto, ma anche lui è uno sfruttato, un reietto, uno che dovrà subire la legge della divisione sociale» spiega il regista partenopeo chiamato dal Teatro alla Scala a realizzare, dopo ventotto anni, un nuovo allestimento del Rigoletto di Giuseppe Verdi. Perché un nuovo allestimento della popolare opera mancava al Piermarini dal 1994, da quando Riccardo Muti diresse per la prima volta lo spettacolo con la regia di Gilbert Deflo, le scene di Ezio Frigerio e i costumi di Franca Squarciapino. Un allestimento ripreso più volte, sino al settembre del 2019.
«Sarà un Rigoletto senza gobba. Perché? Non lo so» dice Martone che a novembre ha firmato la regia di Otello al San Carlo di Napoli «ma non ho voluto dipingere di nero la faccia di Jonas Kaufmann. Siamo in un tempo in cui possiamo guardare al di là della maschera, considerando questi personaggi come uomini. Possiamo pensare ad Otello al di là della pelle scura e a Rigoletto andando oltre la gobba, concentrandoci su altre deformità». Rigoletto torna alla Scala da lunedì 20 giugno con Amartuvshin Enkhbat (Rigoletto), Nadine Sierra (Gilda) e Piero Pretti (Duca di Mantova). Sul podio Michele Gamba. E l’attesa è tanta. «Qualche settimana fa ero al cinema Anteo per la presentazione di Nostalgia, il mio ultimo film con Pierfrancesco Favino. Alla fine mi si è avvicinata una signora, distinta, educata e puntandomi bonariamente il dito mi ha detto: Mi raccomando Rigoletto. Ho sorriso perché va bene Cannes, va bene un nuovo film, ma Milano, la Scala, sono questo…» racconta Martone ricordando che «le volte in cui sono stato più contento di come ho fatto Verdi è quando l’ho fatto dal punto di vista politico». Il pensiero va all’Otello di Napoli, ambientato tra i soldati che soccorrono i migranti che attraversano il Mediterraneo, ma anche all’Oberto conte di San Bonifacio, messo in scena alla Scala nel 2013 e ambientato nella villa di un boss della malavita.
«Verdi era un uomo politico, un artista politico come Eschilo, Sofocle, i tragici greci che erano figure politiche nelle loro città. E nelle sue opere non c’era solo l’aspetto risorgimentale, l’impegno per l’unità d’Italia, che pure è presente e importante, ma c’era anche un’istanza, una spinta e un’insofferenza per le ingiustizie, specie nei confronti delle donne. E bisogna leggere Verdi in questo senso per dare a Verdi quello che è di Verdi, il fatto di essere stato un uomo che aveva posizione nella società del suo tempo, una posizione che voleva essere politicamente forte». Ieri come oggi per Martone che rilegge l’opera in una chiave contemporanea. «Quella di Verdi di scrivere un’opera ispirandosi a Le roi s’amuse di Victor Hugo, uno dei testi che più fece scandalo nell’Ottocento perché metteva in scena il tentato omicidio di un re, fu una scelta coraggiosa. Paradossalmente la censura che ha torturato a lungo Verdi – e non solo per Rigoletto – costringendolo a non mettere in scena un re, oggi avvicina ancora di più questa storia al nostro tempo. Doversi inventare una corte senza re avvicina la vicenda alla nostra contemporaneità. Se ci fosse stato un re avremmo dovuto forzare di più la mano. Invece possiamo raccontare ai giorni nostri la storia di un uomo molto ricco, con amici molto ricchi che pensano di poter fare ciò che vogliono con delle persone che sono al loro servizio. Questo nel nostro tempo esiste, è una cosa molto diffusa. Più passa il tempo, più si accentua la sperequazione sociale con i ricchi che sono sempre più ricchi e i poveri che sono sempre più poveri» riflette Martone convinto che «Rigoletto ha nella sua struttura drammaturgica questo impianto: c’è la corte, c’è un mondo di reietti a cui appartengono Sparafucile e Maddalena. Monterone è un uomo della corte che ha congiurato contro il potere. E così me lo immagino come un dropout, un homless, uno che aveva tanto e che ha perso tutto. Ha gli stessi occhi di chi per strada ti chiede l’elemosina, fuori di sé, ti guarda e tu ti senti scosso e lui ti maledice. Ecco Monterone. Che diventa lo specchio di Rigoletto, ci fa vedere quello che il giullare diventerà, un uomo con una figlia nelle mani della corte» racconta il regista. E quella di Monterone «non è una maledizione, ma un contagio che contaminerà Rigoletto e Gilda».
Gilda che per Martone è una ribelle. «Ma anche lei viene contagiata, innamorata di un uomo che si capisce chiaramente che non lo ama al punto da dire: Ah più non ragiono, amor mi trascina, mio padre perdono… prima di farsi uccidere al posto del duca. Schizofrenia e depressione muovono scelte come queste» perché Gildfa è caduta in un buco nero dopo essere stata sedotta dal duca. « Gilda pone domande molto difficili. E la risposta sta nella struttura narrativa dell’opera che va tenuta presente e che noi sottolineeremo nel nostro spettacolo. Solitamente si fa l’intervallo dopo primo atto, ma noi – ne abbiamo parlato a lungo con Michele Gamba e con gli interpreti – lo faremo dopo il secondo perché i fatti di questi due atti avvengono in un solo giorno: l’azione comincia di sera, alla festa, si procede nella notte con il rapimento di Gilda e si finisce all’alba con la vendetta quando Gilda esce dalla stanza del duca – sappiamo che Verdi avrebbe voluto ambientare il duetto tra padre e figlia proprio in quella stanza – e qualcosa di molto forte è già accaduto. “E tutto un sol giorno cangiare poté” canta Rigoletto… Poi passano trenta giorni tra il secondo e il terzo atto. La domanda è: cosa succede in quel tempo? Ed ecco il contagio di Monterone. La mente di Gilda è sconvolta, depressa e schizofrenica».
Margherita Palli ha disegnato le scene (allestite su un girevole), che citano letteralmente il film Parasite, con due mondi incollati e comunicanti attraverso una porta. I costumi sono di Ursula Patzak, le luci di Pasquale Mari. «Ho cercato di essere più presente possibile alle prove di regia con Mario Martone. È importante perché l’intenzione musicale deve andare di pari passo con l’intenzione registica e drammaturgica altrimenti perde forza» racconta Michele Gamba spiegando poi che quella di Rigoletto sarà «una tinta molto scura, inquietante. Verdi lavora per sottrazione, son dall’inizio, dall’ermetico preludio che offre la cifra di un’opera che agisce per rarefazione. Un’opera presentissima nel repertorio della Scala e da qui è nata la necessità di riconsiderare un’abitudine esecutiva sulla quale ho lavorato con l’orchestra per arrivare ad un’esecuzione, asciutta, secca, non melodrammatica – lo sappiamo, lo stesso Verdi respingeva in senso negativo questa accezione. Un’esecuzione il più possibile rispettosa del segno scritto, ma anche nel solco della tradizione esecutiva» spiega ancora il direttore milanese convinto che «un’opera come Rigoletto comporta e necessita una partecipazione da parte del pubblico a quello che accade nel dramma».
Dove, riflette Martone, «Verdi patisce con le sue creature. E lo senti. Specie nel come disegna le figure femminili dalle quali oggi ci dobbiamo far interrogare profondamente: donne ribelli, forti, irrappresentabili sulla scena del tempo, ma con una consistenza umana e un patire che forse oggi possiamo sentire molto vicine». Certo «ogni visione di un’opera non è una risposta, sono domande che cerchiamo di porre all’opera stessa. E le domande sono infinite. Così ci saranno altre domande e ci saranno altri Rigoletti possibili… con altre domande. Queste sono le mie domande» avverte il regista, reduce dal successo di Nostalgia, presentato a Cannes. «Temevo, vita la crisi che stanno attraversando le sale cinematografiche in questo post-pandemia, che potesse andare male, ma è già oltre il milione e 100mila euro di incassi. Il futuro dello spettacolo dal vivo è tutto molto in mano agli spettatori. Per questo mi piacerebbe che ci potesse essere più osmosi tra il pubblico del cinema e quello del teatro, mi piacerebbe che chi viene alla Scala per Rigoletto andasse poi al cinema per Nostalgia o in un teatro di prosa a vedere Goliarda Sapienza. Tanto più che cinema, teatro e opera sono di tutti, la cosa più democratica che c’è. Il pubblico che viene qui può dissentire se non gli piace ciò che vede… Chi si accende è perché ama l’opera, perché la sente come una cosa sua. Menomale».
Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Rigoletto con la regia di Mario Martone