Commovente Stabat Mater per il Concerto per la pace organizzato per raccogliere fondi per i profughi di Kiev
Una bandiera ucraina fluttua lieve nell’aria ancora impregnata della musica, drammatica, teatralissima dello Stabat Mater di Gioachino Rossini suggellato da quell’Amen in sempiterna saecula che, roboante, solenne, è allo stesso tempo un punto di arrivo, quasi una parola fine e una chiusura di sipario, ma anche una ripartenza, un nuovo inizio. Lanciato, quel pezzo di stoffa azzurro e giallo, dall’alto, sull’orchestra durante gli applausi, calorosi e carichi di commozione. Arrivati dopo un ascolto concentratissimo della pagina rossiniana, ispirata alla scena del Calvario, scelta da Riccardo Chailly per il Concerto per la pace in Ucraina, il «segno concreto di vicinanza e solidarietà a chi fugge dalla guerra» che il teatro milanese ha voluto mettere in campo per chiedere che «tacciano le armi». Lo ha fatto lunedì 4 aprile attraverso la musica di Rossini che rende senza tempo il dolore di una madre che perde un figlio. Un dolore raccontato in musica dal musicista pesarese che ancora una volta ha evocato il dolore di chi oggi piange le molte, troppe vittime del conflitto scatenato dalla Russia di Vladimir Putin contro Kiev. Un dolore che drammaticamente ci raccontano le immagini che quotidianamente arrivano da Bucha e da Leopoli, da Odessa e da Mariupol. Un dolore che i profughi accolti in Italia portano impresso dentro.
«Quel che ci sarà da fare lo faremo. Con quel pragmatismo tutto milanese che ci contraddistingue» dice il sindaco di Milano Beppe Sala. Lo promette ai profughi ucraini, «ai centocinquanta che arrivano ogni giorno e a quelli che non si registrano in Questura perché ospitati dai loro familiari che già vivono e lavorano qui», dal palco del Teatro alla Scala prima che le note dello Stabat Mater di Rossini risuonino per chiedere pace per l’Ucraina. «Milano è una comunità che mostra il suo spirito più vero di città generosa, aperta e solidale, che non si volta mai dall’altra parte quando sono in gioco i valori della libertà della democrazia e della solidarietà verso chi soffre» riflette Sala ricordando che «stasera la Scala offre la sua arte per il popolo ucraino, per portare un messaggio di pace».
Un Concerto per la pace, dunque, un appuntamento straordinario messo in campo dal Piermarini per raccogliere fondi a sostegno delle popolazioni colpite dalla guerra. Sul podio il direttore musicale Riccardo Chailly alla guida di orchestra e coro scaligeri e delle voci del soprano Rosa Feola, del mezzosoprano Veronica Simeoni, del tenore Juan Diego Florez e del basso Alex Esposito. Tutti i musicisti e i lavoratori coinvolti si sono esibiti gratuitamente. Tra loro, sul palco del Piermarini, anche Kateryna Poteriaieva, violinista ucraina dell’orchestra del teatro di Leopoli, scappata dall’Ucraina insieme alla figlia e rifugiatasi a Milano. Un incontro con una ballerina del Corpo di ballo della Scala e l’invito a suonare insieme all’orchestra e al coro scaligeri diretti da Chailly per il quale il concerto è stata «un’espressione di solidarietà e di sostegno concreto alla popolazione dell’Ucraina colpita dalla guerra».
In palco reale Polina, Aleksa, Daria, Olha, Katerina, Sofia, Mia piccole danzatrici ucraine fuggite dalla guerra con le loro famiglie che l’Accademia Teatro alla Scala ha accolto nella Scuola di Ballo, inserendole nella scuola primaria e dando loro un supporto per l’alloggio e il sostentamento. Teatro praticamente tutto esaurito. Nessun biglietto omaggio è stato staccato, anche il sindaco Sala, il governatore lombardo Attilio Fontana e il sovrintendente Dominique Meyer (ma il suo posto è rimasto vuoto «perché il sovrintendente è a casa con il Covid, anche se per fortuna sta bene» ha annunciato il sindaco Sala) hanno pagato la loro poltrona, così come i giornalisti presenti. Il ricavato, 382 mila euro di cui 119 mila provenienti dalle donazioni in aggiunta al costo del biglietto, sarà interamente destinato al sostegno dei profughi in arrivo a Milano, ma anche dei cittadini rimasti in Ucraina e sarà devoluto alla Croce rossa e al fondo #milanoaiutaucraina della fondazione di Comunità Milano onlus istituito dal Comune.
A chiedere pace la musica di Rossini. Una pagina eseguita la prima volta nel 1842 al Théâtre Italien di Parigi e subito dopo arrivata in Italia, a Bologna. Chailly imprime un passo meditativo alla scrittura rossiniana che diventa ripiegamento tutto interiore di un uomo che si chiede, non senza un moto di ribellione e di rabbia, il perché della sofferenza. Preghiera umanissima di chi consegna a Dio la propria vita. Una riflessione sul senso del dolore, che si fa interrogativo quanto mai attuale sul perché del male. Nulla è teatrale nella lettura del direttore milanese che sceglie tempi lenti, sonorità raccolte, squarciate a tratti da scosse sonore che inquietano per la loro potenza sinistra. Chailly chiede un canto intimo, mai esibito, quasi trattenuto, perfettamente assecondato dal coro di Alberto Malazzi e dai solisti: intensa e commovente Rosa Feola nella drammaticità impressa all’Inflammatus, svetta Juan Diego Florez nel virtuosistico Cujus animam, colori cupi e pastosi, in bilico sull’abisso, per Veronica Simeoni e Alex Esposito, lei dolente nel Fac ut portet, lui solenne e ieratico nel Pro peccatis.
Un percorso nel dolore, che è anche fisico, che culmina nel Quando corpus morietur, vertice assoluto dell’esecuzione di Chailly (ma anche uno dei momenti più toccanti e intensi di sempre, da ricordare a lungo, da custodire e richiamare alla mente) con le voci del coro (nude, scoperte, disarmate, nessuno strumento ad accompagnarle) che chiedono che Quando corpus morietur all’anima sia donata la gloria del paradiso. Voci che chiedono pace. E l’Amen suggella questa richiesta. Insieme a un lungo, commosso applauso. E a quella bandiera ucraina che cade dall’alto sull’orchestra.
Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala lo Stabat Mater per l’Ucraina
Articolo pubblicato in parte su Avvenire del 5 aprile 2022
Qui il mio servizio per Tv2000 con le immagini del concerto