Il Lirico apre la stagione con l’opera di Licinio Refice ispirata al martirio di Cecilia e scritta nel 1934 per Roma Sul podio Giuseppe Grazioli, regia di Leo Muscato
Forse, a modo suo, voleva fargli un complimento con quel tono eccessivo, paradossale che lo caratterizzava. Ma con quel suo giudizio (anticlericale) senza mezze misure Arturo Toscanini ha rischiato di mettere (o forse lo ha messo) un marchio (certo non d’infamia, ma nemmeno di lode…), un bollino nero sul nome di Licinio Refice. Perché il direttore d’orchestra emiliano disse che Refice, che era un sacerdote, «sarebbe diventato il più grande compositore della sua epoca se non fosse stato per quella tonaca». Come se il sacerdozio lo avesse limitato nella sua attività di musicista. Eppure la scrittura orchestrale di Refice è ricchissima, guarda a Debussy e a Wagner. Quella corale è sontuosa. D’altra parte Refice la sua scelta di campo l’aveva fatta, diventando uno dei riformatori, insieme a Lorenzo Perosi, della musica sacra italiana. E si sa la musica sacra – così come i soggetti scari nella pittura – hanno sempre (con buona pace di Toscanini) ispirato i più grandi musicisti. Ed è capitato anche con Licinio Refice, autore di oratori come la Chananaea del 1910 o La vedova di Naim del 1912, ma anche di opere liriche – ne scrisse tre – ispirate a soggetti sacri, Margherita da Cortona (la prima il 1 gennaio 1938 al Teatro alla Scala), Il Mago (partitura rimasta incompiuta). E Cecilia, scritta nel 1934 per il Teatro dell’Opera di Roma.
Cecilia che ora il Teatro Lirico di Cagliari mette in scena, rinnovando la sua vocazione per le rarità, come titolo inaugurale della stagione 2022 con Giuseppe Grazioli sul podio e la regia di Leo Muscato (repliche sino al 5 febbraio). Prima esecuzione in Italia in tempi moderni, perché Cecilia, ripresa a Roma nel 1935 (con lo stesso Refice sul podio) e nel 1949 sempre nella Capitale, non si ascoltava in Italia dal 1953 quando andò in scena al San Carlo di Napoli con Renata Tebaldi, protagonista anche dell’opera nel 1954 a Rio de Janeiro – e fu durante le prove dell’allestimento che Refice morì in Brasile.
Opera di raro ascolto, Cecilia nel 2008 è stata allestita al Teatro Avenida di Buenos Aires e nel 2013 è stata proposta in forma di concerto nella Cattedrale di Montecarlo. Sarà il giudizio impietoso di Toscanini ad aver contribuito a far cadere nel dimenticatoio le opere del compositore nato a Patrica in provincia di Frosinone nel 1883? Toscanini, che come rivelano le sue lettere aveva un’idea dell’amore molto (a volte sin troppo) carnale, non perdonava a Refice di non mettere nelle sue opere, appunto, l’amore. Eppure in Cecilia, su libretto di Emidio Mucci, c’è. L’amore che spinge la ragazza romana al martirio. Un amore spirituale, per Cristo. Raccontato dalla musica di Refice, «un sacerdote, apparentemente lontano dal mondo dell’opera lirica» come spiega Giuseppe Grazioli. «Ciò che il libretto non dice, lo dice la musica. È impossibile – riflette il direttore d’orchestra – non rimanere affascinati da quello che Refice scrive, dalla forza del duetto tra Valeriano e Cecilia, un amore che la storia sublima nella verginità della ragazza, ma che la musica svela in tutta la sua passione. Un amore che non ha la possibilità di completarsi e che in questa discrepanza tra testo e musica affascina l’ascoltatore. Un aspetto che rende Cecilia un unicum nella storia della musica».
Sulla partitura, alla quale Refice iniziò a lavorare nel 1922 (doveva andare in scena per l’Anno Santo del 1925), l’indicazione è quella di «azione sacra in tre episodi», ma la forma è quella dell’opera lirica. Perché il compositore voleva proporre un rinnovamento della rappresentazione sacra, usando la forma dell’opera lirica contemporanea. Così la mette in scena il Lirico di Cagliari affidando la regia a Muscato che racconta l’azione con grandi quadri, collocandola nel suo tempo, il terzo secolo dopo Cristo (le scene essenziali di Andrea Belli, i costumi di Marghrita Baloni, le luci di Alessandro Verrazzi, i video di Luca Attilii). Martina Serafin è Cecilia, Antonello Palombi Valeriano, Roberto Frontali nel doppio ruolo di Tiburzio e Amachio. E ancora Elena Schirru (l’Angelo di Dio), Giuseppina Piunti (La vecchia cieca) e Alessandro Spina (il vescovo Urbano).
Tutti impegnati a restituire (quasi a far conoscere, come se fosse la prima volta) la musica di Refice, diplomato in composizione nel 1910 e subito, lo stesso anno, nominato direttore della Cappella Liberiana di Santa Maria Maggiore a Roma (contemporaneamente Lorenzo Perosi guidava la Cappella Sistina e Sistina e Raffaele Casimiri alla Lateranense) e docente alla Scuola superiore di musica sacra. Gli oratori, le messe, come la messa Cantate Domino canticum novum, innovativa (e per questo accolta con perplessità dai tradizionalisti) per il cromatismo che richiamava la scrittura wagneriana. Per i seicento anni della morte di Dante Alighieri, Refice scrisse per Ravenna il Dantis pöetae transitus su libretto di Giulio Salvatori. Del 1926 il Trittico francescano. Nel 1934 Cecilia a Roma, nel 1938 Margherita da Cortona alla Scala. I dissapori con il capitolo di Santa Maria Maggiore perché trascurava il suo ruolo di maestro di cappella portarono alla revoca dell’incarico per Refice che fondò il gruppo musicale dei Cantori romani di musica sacra, ensemble con il quale girava il mondo, portando la sua musica sacra. Nel 1954 la morte a Rio de Janeiro, proprio mentre assisteva alle prove della sua Cecilia.
Nelle foto @Priamo Tolu Cecilia al Lirico di Cagliari