Al Teatro Coccia Antonino Fogliani dirige l’opera di Rossini allestita con bellissime scene dipinte e costumi da fiaba
Potrebbe sembrare un’operazione nostalgia. Di quelle che in tv andavano di moda a inizio anni Duemila, con trasmissioni pomeridiane sulle reti Rai che rievocavano, attraverso canzoni e ospiti «da un passato che non c’è più», i bei tempi che furono. Ed un po’ questo sapore La Cenerentola di Gioachino Rossini che ha inaugurato la stagione invernale e primaverile 2022 del Teatro Coccia di Novara – dopo la bella anteprima autunnale di ottobre con Il castello di Barbablù di Bartok con la bacchetta di Marco Alibrando – in effetti lo ha. Perché sul palco ci sono scene dipinte, e dipinte molto bene perché danno quell’illusione di tridimensionalità, inseguendo la quale ti perdi. Scenografie uscite dai magazzini Sormani e Cardaropoli. E ci sono i costumi cuciti dalla Sartoria teatrale Arrigo che, se non sono proprio filologici, sono comunque da favola (perché alla fine Angelina è identica alla Principessa Sissi). E le favole, si sa, non hanno tempo.
Il sapore della Cenerentola del Coccia, dunque, è (un po’) questo. Ma non è solo questo, non è solo un sapore nostalgico. Perché gli artefici di questo remake di una delle più belle opere (forse la più bella?) di Rossini sono (tanti) giovani. Giovani interpreti. Giovani comparse, poi giovani attrezzisti, giovani elettricisti, giovani sarte dell’Accademia Amo di Novara. Impegnati ad accendere una luce sul futuro. A sperimentare oggi quello che potrebbe essere il loro lavoro di domani. Una speranza per l’opera. E l’entusiasmo si percepisce in uno spettacolo allegro e divertente – la regia di Teresa Gargano (che in molti momenti strizza chiaramente l’occhio allo storico allestimento scaligero di Jean Pierre Ponnelle – vedi la sortita di Don Magnifico o il finale del primo atto con il tavolo imbandito sul quale tutti si avventano) è di quelli come una volta, si limita a mettere i cantanti in proscenio quando cantano, a ideare piccole gag sulla musica (qualcuno esagera, altri asciugano.. molto meglio la seconda strada), ma senza pretese di scavo psicologico dei personaggi.
Che pure Rossini sbalza in modo impareggiabile. Figure tragicomiche, quasi da commedia all’italiana, tutte raccontate dalla musica. Che Antonino Fogliani restituisce in modo impeccabile dal podio dell’Orchestra filarmonica italiana. Un Rossini dal ritmo sempre sostenuto, capace di raccontare il lato comico della favola, ma anche la malinconia che c’è (sempre) dietro il sorriso. Un suono bello, luminoso, quello del direttore messinese che restituisce in tutta la loro bellezza le melodie rossiniane dove canto e musica sono un tutt’uno.
Simone Alberghini è il “veterano” della compagnia – tanti giovani, alcuni aiutati dalla bella acustica del Coccia ad arrivare in platea. Il baritono bolognese – l’esperienza ne fa un regista alla maniera calcistica in campo, capace di guidare l’azione sul palco – è misuratissimo, mai sopra le righe nel disegnare un Don Magnifico stralunato e fintamente severo nei confronti della figliastra Angelina, la Cenerentola del titolo, che ha il bel timbro e il carattere (deciso e sicuro) vocale e scenico di Mara Gaudenzi, azzeccatissima per il ruolo della protagonista. Squillo e coraggio (e sicurezza) nell’affrontare le agilità di Ramiro per Chuan Wang, simpatia e bell’impasto vocale per Emmanuel Franco che è Dandini. Alidoro (che non canta la complessa aria rossiniana Là del ciel nell’arcano profondo, sostituita dalla metateatrale Vasto teatro è il mondo di Agolini – lo stesso autore del coro che Fogliani recupera per l’inizio del secondo atto) ha la bella voce (e ci sono sicuramente margini di miglioramento) di Francesco Leone. Smorfie e ammiccamenti a volontà per le sorellastre di Caterina Dallaere (Tisbe) e Maria Eleonora Caminada (Clorinda).
Giovani. Che dicono, con il loro entusiasmo (e con Rossini) che l’opera non è solo un’operazione nostalgia.
Nelle foto @Mario Finotti La Cenerentola al Coccia di Novara