Il direttore inaugura la stagione invernale dell’orchestra con la Nona di Bruckner e il Venerdì Santo del Parsifal
Sul leggio – solo sul leggio degli orchestrali, però, perché Daniele Gatti, impressionante, dirige tutto a memoria – c’è l’Incantesimo del Venerdì Santo dal Parsifal di Richard Wagner, preceduto dal preludio del terzo atto del bühneweihfestspiel, il dramma scenico sacro, estremo lavoro del compositore tedesco. Il preludio del terzo, non del primo atto come si ascolta di solito (scelta profonda e rivelatrice di Gatti), quello più drammatico (cupo, aggrovigliato), dove il racconto della vicenda del puro folle sembra ad un punto cieco (la musica che si avvita su se stessa) con Parsifal perso e smarrito dopo l’implosione del giardino di Klingsor, in cammino per ritrovare il mondo perduto di Monsalvat, alla ricerca di quella strada che un tempo, quando ragazzo non aveva ancora incontrato il peccato e la tentazione, trovò. Colori scuri rischiarati dall’Incantesimo, pagina pasquale nel suo rivelare la primavera, il tempo della vita che rinasce, che risorge dalla morte… «se il chicco di grano caduto in terra non muore non produce frutto».
Un tempo, quello quaresimale e pasquale, che oggi sembra essere distante (sul calendario, ma anche emotivamente) da quello che stiamo vivendo, il Tempo del Natale, culminato nella solennità dell’Epifania, la manifestazione ai popoli di Cristo. Così dice la Chiesa. Quale, allora, il senso profondo di ascoltare l’Incantesimo del Venerdì Santo wagneriano alla vigilia e all’indomani dell’Epifania? Pagina che Daniele Gatti ha messo in apertura del concerto inaugurale della stagione invernale (seconda parte di un cartellone che, per la necessaria prudenza dettata dalla pandemia, si spezza in segmenti – e ogni inaugurazione, comunque, è una festa) dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai, in programma il 5 e il 7 gennaio, alla vigilia e all’indomani dell’Epifania, all’Auditoriun Toscanini di Torino (il concerto, che il 21 marzo sarà trasmesso su Rai5, si può riascoltare su RaiPlay).
Il senso profondo, la chiave di lettura di questo programma – uno dei “programmi” di Gatti con il Wagner di Parsifal che precede la Nona sinfonia in re minore di Anton Bruckner – la offre il rito che la Chiesa celebra proprio il girono dell’Epifania quando, in ogni messa, dopo la lettura del Vangelo – l’arrivo della stella, i doni dei magi, il ritorno in Oriente senza passare da Erode… –, viene dato l’annuncio della Pasqua. Perché il mistero dell’incarnazione è legato a doppio filo a quello della resurrezione – detto un po’ poeticamente il legno della culla di Betlemme rimanda a quello della croce del Calvario. Premessa necessaria per la salvezza. Per la redenzione. Da cercare, come Parsifal, mettendosi in cammino.
E la redenzione, il cammino verso la salvezza – dal Natale alla Pasqua – diventa allora il tema di questo concerto “pasquale”, ma in questa prospettiva illuminata dalla luce dell’Epifania anche profondamente natalizio. Un programma caro a Gatti, che lo mette sul leggio – quello che non c’è perché Wagner e Bruckner li ha impressi nella mente – ogni volta che può. E che ora, dopo averlo diretto in giro per il mondo (c’è anche un’incisione con il Concertgebow di Amsterdam), propone con l’Orchestra sinfonica nazionale della Rai. Un suono ultraterreno, straniante, perché a volte non sembra nemmeno più il suono di un’orchestra, ma di un mondo interiore che prepotentemente prende forma sonora e ti investe con la sua onda inarrestabile: il feierlich misterioso del primo movimento a tratti ti spiazza, ti rende inquieto, ti fa venire voglia di alzarti e di scrollartelo di dosso. Un suono di una bellezza ai limiti del sostenibile quello che Gatti trae dall’orchestra (dirige con la mascherina, nessun labiale, solo il gesto, solo lo sguardo per trasmettere un’idea, un’intenzione che i musicisti traducono magnificamente) per un Bruckner inquieto e pieno di tormento, basta ascoltare la cupa solennità che il direttore imprime allo Scherzo.
E la Nona diventa una cattedrale di suoni, dove lo sguardo (l’ascolto) si perde a rincorrere le architetture che disegnano la sinfonia incompiuta, quella che Bruckner dedica (caso unico nella sua produzione) «al buon Dio». Perché «questa sinfonia e non altre? Perché era già malato? Perché sentiva forse che non l’avrebbe finita? Una dedica che ha posto dopo aver scritto il terzo movimento?» si chiede Gatti di fronte al mistero che resta sull’accordo dei corni e il pizzicato degli archi, dove la Nona si interrompe. Lasciandoti dentro un silenzio da riempire di senso.
Nella foto @PiùLuce Daniele Gatti sul podio dell’Orchestra Rai