In Arena debutto italiano del soprano nell’opera di Puccini Trionfo per Anna e per il marito Yusif Eyvazov come Calaf Un evento costruito intorno alla coppia pop della lirica
Non c’è storia. Quella in cartellone all’Arena di Verona – quinto titolo lirico di una stagione tutta fatta in casa con allestimenti firmati dalla squadra artistica della fondazione veronese e realizzati con il trovarobato artigianele di qualità dei magazzini veronesi –, quella in cartellone all’Arena è la Turandot di Anna Netrebko. Perché il motivo per essere seduti sulle gradinate dell’anfiteatro (ultima recita con la diva giovedì 5 agosto prima di un doppio cambio di cast con la Principessa affidata ad Anna Pirozzi e Elena Pankratova) è proprio la presenza in cartellone del soprano russo. A lei l’Arena e la sovrintendente Cecilia Gasdia hanno offerto il debutto in Italia Italia (e nell’opera completa, dato che prima di Verona non aveva ancora cantato il finale Alfano fermandosi, come Arturto Toscanini nel 1926, alla morte di Liù) nel ruolo impervio (ma non per lei) della principessa uscita dalla fantasia di Carlo Gozzi e messa in musica da Giacomo Puccini.
Arena pienissima (la prima è stata dedicata alla memoria di Giuseppe Giacomini, grande tenore protagonista di tanbte stagioni areniane, scomparso il 28 luglio a 81 anni), praticamente tutti occupati i seimila posti previsti dalle regole di distanziamento a fronte dei tredicimila e cinquecento dei tempi pre pandemia. Curiosità soddisfatta alla grande perché la Netrebko canta tutto e bene e con una facilità (ogni volta) impressionante. Certo, si deve attendere tutto il primo atto, lasciar passare il primo intervallo, superare la lunga scena di Ping, Pong e Pang prima di ascoltare Anna, perché Turandot arriva a metà della storia, quando Calaf ha già deciso di sfidare la sorte provando a rispondere agli enigmi che la principessa pone a chi vuole conquistarla.
Turandot compare in mezzo alle ancelle. Entrano, un po’ defilate, da destra. Lei, vestita di tutto punto come l’immaginario di cineserie ti suggerisce, si mette al centro della grande scalinata rossa che ricorda la Città proibita. E subito tutti gli occhi (e gli schermi dei telefonini) sono per la Netrebko che intona il suo In questa reggia, suadente, morbido, ricco di sfumature. E in quel momento capisci bene che tutto è funzionale all’evento, spettacolo, direzione, compagnia di canto dove il soprano e il marito Yusif/Calaf si sono inseriti negli ultimi giorni di prove.
Jader Bignamini dal podio offre una lettura tradizionale della partitura pucciniana, senza grandi approfondimenti, restituendola nella sua essenza di favola semplice, a volte, però, il coro messo di lato, sui gradoni e non in scena per rispettare le regole di distanziamento (ma poi sul palco ci sono decine di figuranti, sebbene con la amscherina), gli sfugge di mano, probabilmente per la distanza. E anche la regia del gruppo artistico areniano non scava nei significati inconsci del racconto: c’è chi ci h visto risvolti psicanalitici, chi implicazioni legate alla violenza sulle donne. Qui nienete di tutto questo, spettacolone funzionale,un po’ da parco dei divertimenti che promette il viaggio nella Pechino «ai tempi delle fiabe» come dice il libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni. Spettacolo da “opera come una volta” realizzato con il trovarobato artigianale dell’Arena: scene e costumi presi nei magazzini che dialogano con i disegni del Museo d’arte cinese ed etnografico di Parma che il gruppo D-Wok elabora e proietta sul grande ledwall che avvolge il palco e che è la cifra distintiva dell’Arena 2021. Funzionale, utile, ideale per provare a restituire in un modo nuovo quella spettacolarità che è la caratteristica della lirica sotto le stelle .
Anna supera la sifa di In questa reggia, con una voce morbida, squillante, meno cupa e brunita del solito, un po’ sognante (come deve essere il racconto di una fiaba) e un po’ disincantata (perché le avole, alla fine, ci raccontanbo la vita). La storia procede con Calaf che scioglie gli enigmi, lancia la sfida a Turadnot che, sebbe lui abbia vinto, non vuole sposarlo. Viene la notte, Calaf canta il suo Nessun dorma, Liù muore sacrificandosi per amore e finalmente, di fronte a questi gesto rivoluzionario, si scioglie il cuore della principessa di gelo. Applausi per tutti. Ma l’impressione, vedendo anche l’agenda della coppia Netrebko-Eyvazov, resta quella di una compagnia di giro (e, attenzione, non è un’accezione negativa questa dato il glorioso lavoro fatto da queste formazioni per diffondere, specie in anni passati, la musica capillarmente sul territorio) con un repertorio che cambia di città in città, di sera in sera in una sorta di NetrebkoTour con tanto di fan affezionati pronti a seguire ogni tappa: Trovatore a Napoli, qualche giorno dopo Tosca a Madrid, Turandot a Verona e in mezzo, magari, una scappata in Russia. Mordi e fuggi. Uguale ovunque. Quasi preconfezionato.
Certo la Netrebko canta benissimo, e tanto basta a fare serata. Ma cosa sarebbe se il personaggio venisse approfondito con più prove? Cosa si ascolterebbe se l’intesa musicale con orchestra e direttore fosse ancora più cementificata da un lavoro sulla partitura? Yusif Eyvazov è come sempre generoso e colora Calaf della sua voce malinconica, sempre intonato, sempre “presente” anche quando Puccini riempie di suoni la storia. La storia di Liu che (come Micaela in Carmen) canta poco, ma strappa sempre un enorme applauso che qui va a una partecipe e incisiva Ruth Iniesta. Riccardo Fassi disegna un centratissimo Timur (mai vecchio macchiettistico, ma re decaduto che non perde la sua dignità) e offre una lezione di stile notevole, conferma ulteriore della sua intelligenza musicale, del suo talento e del materiale vocale affascinante. Ping, Pong e Pang sono Alexey Lavrov, Marcello Nardis e Francesco Pittari, un po’ lasciati a loro stessi nella grande scena che apre il secndo atto e che, se non risolta adeguatamente, sfiora la noia. Facendoti guardare continuamente l’orologio in attesa dell’ingresso di Anna/Turandot.
Nelle foto @EnneVi Turandot all’Arena di Verona
Articolo pubblicato in gran parte su Avvenire del 3 agosto 2021