Al Regio e su Rai5 l’opera di Debussy diretta da Angius Regia di Barbe & Doucet. Protagonisti Addis e Bacelli
Tutto è già avvenuto. Compiuto. Lo dice il pallore cadaverico che fa terrea la faccia di Pelléas, di Mélisande, di Golaud e di Geneviève. Lo dicono i loro capelli bianchi. Bianchissimi persino quelli del piccolo Yniold. Morti viventi, spiriti in cerca di pace che abitano una terra di mezzo, dove le piante gettano le loro radici, dove le acque ristagnano prima di riemergere. Una terra di mezzo piena di vita, diresti, nonostante tutto sembri morto. Sono memorie del sottosuolo quelle che Barbe & Doucet raccontano nel Pelléas et Mélisande di Claude Debussy messo in scena, a porte chiuse, al Teatro Regio di Parma. Spettacolo rimandato di un anno (doveva essere uno degli eventi di Parma Capitale italiana della cultura 2020, manifestazione prolungata anche per il 2021 causa Covid), è stato registrato in teatro il 28 marzo e Rai5 lo trasmette il 22 aprile alle 21.15. Orchestra in platea, distanziata. Accorgimento che fa respirare il suono di Debussy affidato a Marco Angius sul podio dell’Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini. Spettacolo in versione frontale, tutto sul palcoscenico (e si spera che una volta riaperti le sale possa andare in scena a Piacenza e a Modena, teatri che lo hanno coprodotto), improntato a un simbolismo narrativo in linea con il dramma di Maurice Maeterlinck da cui Debussy nel 1902 ha tratto la sua unica opera.
Memorie del sottosuolo. Dal quale compare Mélisande con il suo pesante (e taciuto) fardello di dolore. Con i sui misteri. E con un carico di amore destinato a ferire nel profondo tutti i protagonisti del racconto. Perché (forse) non c’è amore senza dolore. Perché forse il mistero della vita impone di passare attraverso questi due poli. Di immergersi nel dolore e rivestirsi si amore. Per purificarsi come chi (paradosso sempre spiazzante) «ha lavato le proprie vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello». Non puoi non pensare al passo del libro dell’Apocalisse guardando i costumi bianchi, bianchissimi voluti da Barbe & Doucet, che disegnano anche le scene. Una scenografia unica in realtà per raccontare quel mondo di mezzo dove si aggirano, quasi disorientati, i personaggi: isole verdi e marroni, abitate da piante e attraversate dalle loro radici, sospese a mezz’aria su uno stagno. Non luoghi, spazi della mente che si stagliano su un cielo livido. Effetto molto “alla Ronconi” (anche i costumi tardo ottocenteschi richiamano a un mondo e a un immaginario tanto caro al regista scomparso nel 2015) che si allunga su una recitazione antiretorica, in qualche modo distaccata chiesta dai due registi canadesi ai cantanti.
Anatomia di un amore e di un dolore, vivisezionato, scomposto e ricomposto seguendo la traccia indicata dalla musica di Debussy. Restituita con gusto e misura da Angius e dalla Toscanini in un’atmosfera allucinata, da dormiveglia rivelatore in cui si snoda il racconto. Quello di un amore e di un dolore che si materializzano nella foresta del regno di Allemonde dove Mélisande si è persa. E dove la ritrova Golaud. Amore e dolore che abitano poi il castello di Arkël. E lo cambiano per sempre. Perché mettono di fronte ciascuno a se stesso, facendolo affacciare sull’orlo dell’abisso. La musica di Debussy lo racconta benissimo. “Ci” racconta benissimo in questo limbo, in questo tempo sospeso, dove relazioni e sentimenti sembrano sfuggirci dalle mani, dove giorni e mesi si susseguono in attesa di qualcosa che si aspetta con ansia, ma che forse, a guardare bene, è già qui. Ha le sembianze del dolore, ma dentro può avere un carico di amore.
Arriva così la partitura nella lettura di Angius, nostra contemporanea. Rivelatrice. Come la restituiscono gli interpreti. Ottima squadra reclutata dal Regio. Guidata magnificamente da Phillip Addis, baritono dalla voce chiara e acuta, interprete di bella intelligenza musicale, credibilissimo Pelléas, sempre in bilico tra entusiasmo e disincanto. Monica Bacelli è una sicura e affidabile Mèlisande, segnata da subito dal destino di morte che la attende, destino che non riesce a cambiare amando. Perfetto Michael Bachtadze nei panni di Golaud, personaggio restituito nella sua schizofrenia fatta di molte sfaccettature. Autorevoli, umanissimi l’Arkël di Vincent le Texier, la Geneviève di Enkelejda Shkoza e l’Yniold di Silvia Frigato. Immersi, come il Medico di Andrea Pellegrini (anche Pastore), in un limbo dove tutto è già avvenuto. Finito? Forse. Ma pronto a ricominciare, ogni volta, da capo. Magia del teatro che racconta la vita e che sempre riparte. Anche questa volta.
Nelle foto @Roberto Ricci Pelléas et Mélisande al Reagio di Parma