Il direttore apre la stagione 2025 della Filarmonica della Scala con un’intensa lettura della Settima sinfonia del compositore
C’è tutto il mondo di Gustav Mahler nella Settima sinfonia in mi minore. Gestazione travagliata per la pagina del 1905, eseguita, però, solo nel 1908, a Praga. C’è un mondo dove convivono la natura e la morte. Dove l’abbandono a un mondo ideale, fantastico e quasi fantasmagorico, è con un colpo di spugna spazzato via delle disillusioni del reale. Sinfonia strana la Settima, terza delle tre sinfonie senza canto, cuore del corpus mahleriano (la poesia trasparente e traslucida della Quinta, la tragica consapevolezza della Sesta) che precede la vertigine dell’Ottava e che ha in sé quella grandezza, quel titanismo ai limiti dell’irrappresentabilità che sarà poi marchio di fabbrica della Sinfonia dei mille. Sghemba la Settima perché racconta un mondo al contrario dove i notturni, le Nachtmusik, sono invasi di luce e dove lo Scherzo è Schattenhaft, ombroso, a tratti persino lugubre, una danza macabra sul baratro del nulla. Sghemba eppure perfetta nella sua costruzione circolare, speculare: lo Scherzo al centro, preceduto e seguito dalle due Nachtmusik, incorniciato dal Langsam iniziale e dal Rondò finale, sontuosi, trionfalistici, caricaturali a modo loro – Mahler stesso ci scherzava su.
Complessa la Settima, certo, ma non impossibile da eseguire (il virtuosissimo è tanto, ci vogliono orchestre solide, fatte di solisti capaci di suonare insieme, ma oggi le formazioni ottime se non eccellenti non sono poche) complessa, ma non impossibile nonostante il vastissimo organico orchestrale che richiede – dentro ci sono i campanacci delle mucche, chitarra e mandolino… e dall’alto l’impressione del colpo d’occhio sull’orchestra è mozzafiato. Complessa, ma non impossibile la Setrtima. Bellissima. Eppure non così frequentata come altre – anche più impegnative, come le Wunderhorne-Symphonien che richiedono orchestra e coro e solisti, la Seconda, la Terza.
La Settima lunedì 27 gennaio ha inaugurato la stagione di concerti 2025 della Filarmonica della Scala con Riccardo Chailly sul podio. E (un po’ inaspettatamente, diciamolo, per una sinfonia così impegnativa, un’ora e venti tutti d’un fiato) ha raccolto consensi entusiastici di un pubblico, quello milanesissimo (eleganza sobria, quell’understatement tutto ambrosiano che non ha nulla a che fare con quello chiassoso del 7 dicembre, ma che è molto più raffinato e affascinante) della Filarmonica, spesso distratto – non illudiamoci, comunque ci sono andate e ritorni dalla poltrona durante l’esecuzione, molti alla fine corrono verso i taxi…
Ma ci sono anche grandi applausi alla fine di una Settima intensa, suonata benissimo dalla Filarmonica (molte le facce nuove e i cambi di posizione tra i leggii) in una delle sue interpretazioni più riuscite. Filarmonica (nata mahleriana con Claudio Abbado), diretta con piglio e precisione millimetrica da Chailly, direttore mahleriano che già diresse una Settima con la Filarmonica nel 2011, anno in cui si celebravano i cento anni dalla nascita del compositore. Partitura passata al microscopio, analizza nei minimi dettagli da Chailly, al suo decimo anno come direttore principale della Filarmonica.
Una Settima che prosegue il percorso mahleriano della Scala – qualche giorno fa la Sesta con Lorenzo Viotti, dal 10 febbraio la Decima con Daniele Gatti che proporrà il completamento della pagina incompiuta nella versione di Deryck Cooke. Una Settima cangiante di colori e atmosfere quella di Chailly, luminosa e lugubre allo stesso tempo, intrisa delle inquietudini di Mahler in un continuo rimando alle sinfonie passate e a quelle che verranno, la Nona e i Das Lied von der Erde. Al mondo, inquieto e affascinante, di Mahler.
Nella foto @Giorgio Gori Riccardo Chailly e la Filarmonica della Scala