Danza l’inconscio nello Schiaccianoci di Nureyev

Alla Scala il balletto di Cajkovskij riletto dal danzatore russo inaugura la stagione con Alice Mariani e Hugo Marchand

Il tempo di un sogno. Che è poi il tempo della vita. È tutto racchiuso in un battito di ciglia Lo schiaccianoci di Rudolf Nureyev. Il balletto più bello. Il più perfetto di tutti quelli imbastiti sulla musica febbrile e sognante di Petr Il’Ic Cajkovskij. Un battito di ciglia che ci porta nel tempo/non tempo di un sogno. Quello di Clara. Alle prese con il difficile compito di crescere. Preadolescente che ancora ama le bambole, ma che già sente sbocciare l’amore. Un già e un non ancora dentro il quale c’è tutta la bellezza della vita. La psicanalisi ce lo ha insegnato. Con le sue teorie. Nureyev, invece, ce lo ha raccontato a passo di danza, nel suo Schiaccianoci.

Il balletto natalizio per eccellenza – è la notte di Natale il tempo della vicenda ispirata ad un racconto di E. T. Hoffmann. Che Nureyev rilegge (ha riletto, perché questa versione nasce nel 1967 a Stoccolma e arriva al Teatro alla Scala nel 1969 con Nureyev a fianco di Liliana Cosi) in chiave psicanalitica. Nel songo di Clara che rivede, in quel battito di ciglia, in quel tempo infinito e brevissimo, la sua vita. Accoccolata su una poltrona, ma proiettata in un mondo dove i giochi prendono vita, dove i parenti diventano pipistrelli, dove il suo schiaccianoci, un regalo buffo e squinternato che i suoi fratelli Fritz e Luisa deridono, si trasforma in un principe. Che ha le sembianze di quel signor Drosselmeyer che glielo ha regalato. Il palco è buio. Lo Schiaccianoci alza la sua spada. Un attimo. E al posto di quel gioco c’è un Principe. Il momento (forse) più bello. Un momento dove l’emozione è a fior di pelle, dove il pianto (che è il pianto di chi da quel momento e da quel tempo ci è passato) racconta un miracolo. Il miracolo del crescere. Della fatica e della bellezza di farlo.

È racchiusa qui l’essenza dello Schiaccianoci di Cajkovskij e di Nureyev (mai uscito dal repertorio scaligero, nonostante sul palco si siano viste altre versioni, da quella di George Balanchine a quella di Nacho Duato). Schiaccianoci che torna al Teatro alla Scala (lo ha rimontato Aleth Francillon, recite praticamente tutte esaurite fino al 12 gennaio) come titolo inaugurale della stagione di balletto del Piermarini (teatro vestito a festa, addobbi natalizi e tre Schiaccianoci di legno sul palco reale) nel classico allestimento con le scene e i costumi di Nicholas Georgiadis. Poco febbrile e poco sognante nella direzione di Valery Ovsyanikov (a venire in primo piano è più l’accompagnamento che la melodia, più la muscolarità sonora che la poesia, anche inquieta, delle melodie del compositore russo). Cosa che rischia di ripercuotersi sulla danza. Non sempre fluida, non sempre morbida nei passaggi che vedono impegnato il Corpo di ballo di Manuel Legris – a lasciare il segno, tra i tanti, sono Mattia Semperbon, Linda Giubelli e Vittoria Valerio.

Perché Lo schiaccianoci di Nureyev è il più bello, il più perfetto, il più commovente di tutti. Ma è anche il più difficile, forgiato dal danzatore e coreografo russo sul suo mix inarrivabile di genio (tecnico) e sregolatezza (interpretativa). Bastava il suo ingresso in scena avvolto nel cappotto di Drosselmeyer che tutti gli sguardi erano su di lui. Hugo Marchand, étoile dell Opera di Parigi, ha un’eleganza innata, tecnica solida (ma nel passo a due, comunque intenso, una presa stava per sfuggirgli di mano), ma non sempre il carisma per calamitare gli sguardi. La sua Clara è Alice Mariani, tecnica impeccabile, emozione e sentimento che la prima ballerina scaligera mette nella sua ragazzina che diventa donna. Nel tempo di un sogno.

Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Lo schiaccianoci

Articolo pubblicato su Avvenire del 20 dicembre 2024