Un viaggio nel tempo dal ‘700 ad oggi tra gli orrori della guerra Il regista pugliese raccponta così La forza del destino di Verdi titolo che inaugura la nuova stagione del Teatro alla Scala
Sarà «una Forza del destino in tempo di guerra». E non solo perché (anche) quest’anno l’ombra dei conflitti che divampano in tutto il mondo – dal Medioriente (di Gaza e della Siria e del Libano) all’Ucraina passando per il Myanmar – si allunga sulla Prima del Teatro alla Scala. La guerra stavolta entra in scena. «È la cornice dentro la quale ambiento il mio racconto» dice Leo Muscato che firma la regia dell’opera di Giuseppe Verdi che, diretta da Riccardo Chailly, il 7 dicembre inaugura la nuova stagione del Piermarini. «Emozionato oggi forse più della prima volta che ho messo piede sul palcoscenico della Scala». Terzo titolo scaligero (dopo il rossiniano Barbiere e il raro Li zite ngalera di Leonardo Vinci), ma primo Sant’Ambrogio per il regista di Martina Franca che rilegge l’opera scritta da Verdi nel 1862 per San Pietroburgo e ripensata (e rimaneggiata, perché il compositore delle Roncole aggiunse la Sinfonia, la Ronda del terzo atto e riscrisse completamente il finale) nel 1869 proprio per Milano, come «un reportage di guerra attraverso i secoli». Una sfida. «Perché il rischio era anche di banalizzare un tema così drammaticamente attuale. Ma abbiamo lavorato per evitarlo con tutta la squadra scaligera, un teatro che accoglie, un luogo dove l’emozione e l’eccitazione sono contagiose. L’ho avvertito – dice il regista pugliese – sin dal primo giorno di prove. E a Sant’Ambrogio si va in scena».
E cosa vedrà il pubblico che sarà in platea alla Scala, ma anche quello che seguirà l’opera nei cinema e in televisione, Leo Muscato?
Un racconto che è un viaggio nel tempo attraverso le guerre che hanno insanguinato e continuano drammaticamente a farlo, come quotidianamente la cronaca ci racconta. il mondo. Penso a questo spettacolo da tempo, dall’autunno del 2021 quando, dopo aver messo in scena con Chailly Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, è arrivata la proposta di lavorare al titolo inaugurale del 2024. Con il maestro lavoriamo da tre anni, con momenti di confronto periodici. Certo, allora il Medioriente non era in fiamme come oggi, la guerra in Ucraina non era ancora scoppiata. Ma i conflitti erano comunque all’ordine del giorno in molte parti del mondo.
Per questo ha scelto di rileggere le vicende come un reportage di guerra?
Non solo. Sono partito, come faccio sempre, dal testo letterario e musicale. E La forza del destino è un’opera dove la guerra è sempre presente, anche quando non è citata esplicitamente. Nel primo atto, ad esempio, Leonora giura ad Alvaro che accanto a lui è disposta a sfidar impavida di rio destin la guerra. E questo vuol dire che era in corso un conflitto, una delle tante guerre di secessione che probabilmente imperversavano nel Settecento in cui il librettista Francesco Maria Piave ambienta le vicende. Poi la guerra irrompe nel racconto e diventa sfondo da romanzo storico sul quale si stagliano i personaggi, Alvaro e Leonora, Carlo e Preziosilla, Melitone e il Padre Guardiano, uomini e donne alle quali la guerra e il destino cambiano la vita. Un tema che col tempo, ahimè, si è rivelato la cornice ideale e drammaticamente attuale nella quale inserire il nostro racconto. Dovevo capire solo quale guerra scegliere. Quella del libretto che è una delle tante guerre di secessione del Settecento? O era meglio avvicinarci alle guerre di indipendenza dell’Ottocento? Oppure schiacciare il pedale dell’attualizzazione e portare la vicenda ai giorni nostri?
E cosa ha scelto?
Di raccontarle tutte. Di rileggere la Forza come un viaggio attraverso i secoli e attraverso le guerre. Partiamo dal Settecento del libretto e arriviamo ai giorni nostri. Nel primo atto la guerra è nell’aria e noi siamo nel Settecento. Siamo da subito in un contesto militarizzato, Carlo è un soldato e anche Alvaro lo è. Il secondo atto ci porta nell’Ottocento per raccontare il reclutamento con giovani leve che si arruolano mentre Preziosilla canta Evviva la guerra!
Il Novecento è il secolo delle guerre mondiali…
Lo vedremo attraverso al Grande guerra, l’ultimo conflitto che si è combattuto corpo a corpo. LA Prima guerra mondiale irrompe nel terzo atto. Le scene di Federica Parolini e i costumi di Silvia Aymonino ci portano in trincea: sarà un lungo piano sequenza nel quale vediamo Alvaro camminare tra filo spinato, ospedali da campo con soldati feriti, militari che muoiono, uomini che scrivono una lettera d’addio. E questo grazie al girevole su cui è montata la scenografia, una ruota del destino che gira in continuazione e ci porta nei luoghi dell’azione grazie alle maestranze scaligere che fanno un lavoro formidabile per mettere a punto questa struttura complessa.
Che ci porterà anche nella nostra contemporaneità?
Nel quarto atto siamo ai giorni nostri, anche se non metto in scena profughi o persone civili, per non ammiccare a Medioriente, Ucraina, Myanmar o altri luoghi dove oggi si combatte. In scena ci sono militari, vincitori e vinti, che chiedono pane e pietà. Sapere che tutto questo accade a poche centinaia di chilometri da noi mi provoca un’indignazione mista alla frustrazione dell’impotenza. Cosa c’è di più drammaticamente attuale della guerra? Pace mio Dio invoca Leonora nel quarto atto. La stessa richiesta che i popoli del mondo innalzano oggi.
Un taglio cinematografico anche per il pubblico dei cinema e della tv?
Il titolo inaugurale della stagione scaligera ha diversi tipi di pubblico e dobbiamo tenerne conto. C’è quello esclusivo della Prima, quello delle repliche e poi quello di piccolo e grande schermo, persone che magari incrociano una sequenza dell’opera e che forse non verrà mai in teatro, ma che noi dobbiamo cercare di catturare con un racconto moderno e attuale. Occorre usare un linguaggio capace di toccare le corde degli spettatori. E questo non vuol dire semplificare la vicenda, tanto più che spesso è necessario renderla addirittura più complessa. La sfida che lanciamo con questa Forza.
Perché proprio questo titolo per inaugurare la stagione scaligera?
Il titolo, si sa, lo sceglie il direttore insieme al sovrintendente. Ma io ho detto subito sì perché è una delle più belle partiture di Verdi: dentro ci sono l’amore e la fede, la violenza e l’odio. E tutto parete da una distrazione di Alvaro, una pistola lanciata a terra che esplode un colpo che uccide il marchese di Calatrava. Alvaro diventa così un uomo perseguitato da un enorme senso di colpa, al punto da continuare a cercare la morte in battaglia. Ma alla fine, quando ritrova Leonora che morendo lo convince a perdonarsi dicendo «Piangi e prega», finalmente cede e dice «Leonora io son redento». Ogni volta che arrivo a questo punto, approdo finale del nostro viaggio, ho la sensazione che succeda un miracolo.
Intervista pubblicata su Avvenire del 7 diecembre 2024
Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Leo Muscato e le prove dell’opera