Il tenore ligure debutta nel ruolo del Moro al Teatro La Fenice «Con la mia voce lirica racconto un personaggio umanissimo» L’opera verdiana inaugura la stagione diretta da Chung
«Puoi avere vinto tutti i tornei di tennis del mondo, ma sino a che non vai sull’erba di Wimbledon o sulla terra rossa del Roland Garros non sei contento». Otello, l’Otello di Giuseppe Verdi, è un po’ così. Perché «puoi avere vinto tutti gli scudetti possibili, ma se non alzi almeno una volta la coppa della Champions league ti sembra ti manchi il trofeo più importante». Cantare Otello, l’Otello di Giuseppe Verdi, è il sogno di tutti i tenori. «Il sogno del cantante bambino» racconta Francesco Meli che sabato 23 novembre debutta nel ruolo del Moro di Venezia nella penultima opera verdiana. E lo fa al Teatro La Fenice, Venezia appunto. Avrebbe dovuto farlo mercoledì 20, ma uno sciopero dei lavoratori del teatro ha fatto saltare l’inaugurazione di stagione. Si debutta sabato. Sul podio Myung-Whun Chung, regia di Fabio Ceresa, in scena, accanto a Meli, la Desdemona di Karah Son e lo Jago di Luca Micheletti. «Adesso – racconta il tenore genovese, classe 1980 – si fa sul serio».
In che seno, Francesco Meli?
Ad Otello penso da tempo. L’ho studiato negli anni, tornando periodicamente a visitare la partitura. Nel mio cd Prima Verdi ho messo il Dio mi potervi scagliare. Tutto in punta di piedi, come dire. Poi quando è arrivata la proposta di debuttare il ruolo alla Fenice, dove ho anche cantato per la prima volta il Manrico de Il trovatore, è stato come avere il permesso ufficiale di mettere mani e voce sulla partitura. Un via libera a confrontarmi con il personaggio, anzi un dovere.
Ma perché Otello è un ruolo che tutti i tenori sognano?
Forse perché si è piacevolmente vittima del mito. Per me il fascino è arrivato anche prima di conoscere il mito, perché da subito sono stato colpito da questo personaggio che poi ho scoperto essere il cavallo di battaglia di grandi tenori.
Li ha ascoltati per preparare questo debutto?
Tutti, anche quelli che hanno cantato sono un’aria, Enrico Caruso, Beniamino Gigli, Franco Corelli, Giacomo Lauri Volpi. Naturalmente Mario Del Monaco con Herbert von Karajan, che resta per me il disco di riferimento. Molto hanno criticato l’Otello di Luciano Pavarotti, ma penso che il suo Dio mi potevi scagliare, tutto sulla parola, restituisce tutta l’umanità che Verdi ha voluto mettere in questo personaggio: qui Otello diventa davvero uno di noi. E poi c’è Placido Domingo, insuperabile in scena, che ha fatto la quadra di tutti gli Otello. Di recente ho fatto un post su Instagram che ha suscitato dibattito, ho postato una foto di Carlo Cossutta dicendo che lui è stato il più grande Otello di tutti i tempi, esempio di tecnica e stile, mai sopra, ma nemmeno sotto le righe. Voce morbida, piani magnifici, fedeltà al testo. Ed è quello che ho cercato di fare io, studiando a lungo. Ma è stato solo iniziando le prove sul palco che il personaggio è cresciuto e ha preso forma.
E che Otello sarà quello che porta in scena?
Non faccio il “mio” Otello, ma sono io che con la mia voce canto Otello, seguendo le indicazioni che Verdi mette in partitura. Non nascondiamocelo il ruolo porta a esasperare il personaggio e dopo un po’ si rischia di parlare forte più che cantare. Ho cercato di tenermi in equilibrio tra un Otello carnale e uno cervellotico.
Ma chi è Otello?
Un uomo guidato da un principio morale fortissimo, che per lui è quello della lealtà. Shakespeare e Verdi lo dicono subito con Otello che nel primo atto si arrabbia con Cassio perché ha ferito Montano, il suo maestro, venendo meno a un principio di lealtà. Tutte le reazioni di Otello scaturiscono da qui, dal fatto che la sua fiducia è stata tradita. Otello non è un uomo geloso, altrimenti non lascerebbe uscire Desdemona di notte in vestaglia tra i soldati. Certo Jago fa montare la sua gelosia…
… e compie quello che oggi chiamiamo femminicidio.
Otello non compie un femminicidio, parola oggi fin troppo abusata, perché femminicidio è uccidere una donna in quanto donna. Otello uccide Desdemona non perché è donna, ma perché ritiene di essere stato tradito, di aver visto violata la sua legge suprema, la lealtà. Otello ha le sue regole e le porta alle estreme conseguenze. Conseguenze naturalmente da condannare. E quando alla fine canta Niun mi tema si dispera perché vede le sue leggi crollare, avendo ucciso un’innocente.
Sarà un Otello nero?
No, niente trucco, niente black face. Il regista ha deciso così. E un po’ mi dispiace perché penso che l’essere nero di Otello abbia una valenza drammaturgica. Cerco allora di restituire tutto questo con la voce, la mia voce. Certo, un po’ viene automatico avere una presenza vocale più imponente. È un diavoletto che ti aspetta sempre dietro l’angolo. Però io canto con la mia voce, ci sono momenti in cui devo dare tanto di quello che ho, ma non piego il ruolo alla mia voce e non piego la mia voce al personaggio. Basta affidarsi a Verdi che ha messo tutto nella partitura. Rispettare la propria vocalità penso sia il “segreto” per far durare una carriera, insieme allo studio e alla continua sperimentazione.
E ci sono altri ruoli dei sogni che vorrebbe sperimentare?
Mi piacerebbe tanto fare Canio dei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, personaggio che spessissimo si interpreta come selvaggio, ma in realtà umanissimo, pieno di ferite, come Otello.
Nelle foto @Michele Crosera Francesco Meli in Otello alla Fenice di Venezia
Intervista punnlciata su Avvenire del 21 novembre 2024