Diego Ceretta dirige la prima de Il Diavolo a tutto campo pagina commissionata al compositore dal festival MiTo dedicata al Milan e proposta dall’Orchestra sinfonica di Milano
Sembra di essere davanti al moviolone. In una delle puntate di mezza sera della Domenica sportiva che vivisezionano una partita di calcio – un tempo lo facevano solo la domenica, la domenica sportiva appunto, ma adesso che il «rito del calcio non è più solo domenicale, ma pressoché quotidiano» come annota tra l’amaro e il divertito Angelo Foletto, adesso lo fanno ogni giorno a tutte le ore sui canali dedicati. Sembra di essere in una delle puntate di mezza sera della Domenica sportiva che vivisezionano una partita di calcio. La smontano e la rimontano. La passano sotto la lente di ingrandimento. E poi istruiscono il processo… del lunedì. A proposito di storiche trasmissioni tv. Ecco, sembra di stare davanti al moviolone. In uno smonta e rimonta da domenica sportiva o su uno scranno di uno dei tanti processi (perché tanti, tantissimi si intentano la mattina al bar… oggi, meglio dire, sui social) uno dei tanti processi del lunedì – tra l’altro l’appuntamento è in cartellone per un lunedì, lunedì 9 settembre. Appuntamento con il calcio in musica. Musica classica. E per di più contemporanea. Cosa c’entra con il calcio? ti viene da chiederti – anche se sai che la “sigla” della Champions si ispira a Haendel. Cosa c’entra il calcio con un festival come MiTo, innovativo, sperimentale, ancora di più con la gestione di Giorgio Battistelli.
Eppure è una Musica su due piedi quella che il festival MiTo firmato dal compositore di Albano Laziale propone per l’edizione 2024 (e anche per quella 2025, perché anche lì ci sarà calcio… un calcio dai colori del cuore… nerazzurri ma questa è un’altra storia). Musica su due piedi, uno dei tanti filoni dei Moti che danno il titolo a MiTo 2024. Una sfida, che è poi una delle parole chiave del calcio, quella che Battistelli ha messo in campo, coinvolgendo Carlo Crivelli per raccontare il Torino, i Granata, a Torino e Fabio Vacchi per raccontare il Milan a Milano. «Amo il calcio in generale» sorride il compositore bolognese prima che Diego Ceretta alzi la bacchetta sulla sua partitura. «Capito, non è milanista» sorride qualche rossonero in sala. Infatti Vacchi, fedele alle sue radici emiliane, tifa Bologna. Musica su due piedi.
Sfida, vinta, quella di raccontare il calcio in musica e di far raccontare alla musica il calcio. Il calcio e tutto quello che ci sta intorno. «Il rito laico che si ripete ad ogni partita. Fatto di una liturgia codificata ben riconoscibile. Che è identitaria, aggregante» dice sempre Angelo Foletto in una “chiacchierata” che prtecede il concerto da Domenica sportiva, meglio da Processo del lunedì visto che la prima è proprio di lunedì, sul palco dell’Auditoriun di largo Mahler. Chiacchierata con Vacchi e Lorenzo Letizia, videomaker che ha «montato in diretta» immagini della storia rossonera – si vedono i vari Nereo Rocco e Arrigo Sacchi, le generazioni dei Maldini, Franco Baresi e Ruud Gullit, Ibra e Demetrio Albertini, ma manca Silvio Berlusconi che la storia del Milan l’ha fatta – si vedono le sfide storiche, tante con il Torino (l’altra pala del dittico 2024 immaginato da Battistelli) e mix di diavoli del cinema muto. Perché si racconta Il Diavolo a tutto campo. Il Milan, appunto, in 125 anni di storia. Remixata, reinventata. Passata al moviolone.
Come in una puntata di Tutto il calcio minuto per minuto lunga settanta minuti. Tanto dura la partitura «per video, coro, orchestra e tromba concertante» commissionata da MiTo a Vacchi. Che non scrive una partitura d’occasione, una celebrazione delle vittorie rossonere, ma restituisce una musica – in perfetto stile Vacchi, intellegibile, fruibile, oltre le avanguardie e radicata in un sentire post-novecentesco di rilettura delle radici e sguardo sul futuro – che è una riflessione sul calcio. Speculazione filosofica, a tratti. Analisi sociologica e antropologica del fenomeno. Pagina nella quale il rito collettivo dell’«alè oh oh» o del «devi morire» rivolto all’arbitro o all’avversario diventa polifonia per grande coro, dove l’invenzione dei fantasisti è contrappuntata da ritmi jazz, dove i falli (visti al rallentatore nel raccontano di Letizia) sono coreografie da rivestire di ritmi di danza.
L’orchestra accorda. Buio tra i leggi che si accendono di lucine. Come in una sala di registrazione dove musica e immagini si fondono – e sarebbe bello che ne uscisse davvero un documentario per musica e immagini, ma di quelle storiche, libere dai diritti delle varie piattaforme, per costruire una storia diversa, da raccontare con muscoli e note contemporanee. Diego Ceretta tiene in pugno con facilità la scrittura di Vacchi, non la molla un solo istante per tutti i settanta minuti che scorrono senza fiato. Momenti che si susseguono in dissolvenza (come le immagini di Letizia, ma qui, una volta capito il meccanismo il gioco presto finisce perché la struttura di avanti e indietro, play e rewind si ripete ad libitum… belle intuizioni, come il rallenti che diventa danza, le immagini del campo di oggi e quelle del pubblico di ieri come in una partita infinita che varca i confini del tempo…), che raccontano sensazioni, che evocano ricordi, sentimenti… ci sono alto e basso, dramma e sorriso nella musica di Vacchi che Ceretta sbalza con gesto sempre elegante e tutto sulla musica. Il direttore milanese chiede, ottiene, gioca, rinvia la palla in platea – perché la sua interpretazione (e naturalmente la musica di Vacchi) interroga, tira dentro – scarta e dribbla le “insidie” della musica contemporanea… e va a rete grazie ad una efficacissima Orchestra sinfonica di Milano, al Coro puntualissimo e alla tromba concertante di Alessandro Rosi. Gol. Palla al centro.