Rof, giocando con il gender Rossini fa l’Equivoco

A Pesaro torna l’allestimento de L’equivoco stravagante firmato da Leiser e Caurier e diretto da Michele Spotti Protagonisti Nicola Alaimo, Maria Barakova e Carles Pachon Storia che parla al nostro oggi di polemiche olimpiche

Rossini fa l’equivoco. E glielo si può concedere. Perché a Rossini si concede tutto, per la vertigine della sua musica, di tutta la sua musica che non finiresti mai di ascoltare – e al Rof di Pesaro ne fai volentieri indigestione. E perché chi a 19 anni non è spensierato, anche un po’ sopra le righe…? Equivoco… nel fare battute senza tempo che pensi di essere il primo ad “inventare” e a raccontare… per poi scoprire che sono vecchie come il mondo. A Rossini, allora, si può concedere di fare l’equivoco. In musica. Guardi la biografia e vedi che il compositore fa l’equivoco, l’Equivoco stravagante, per Bologna nel 1811, a 19 anni. «Ah figlia, dagliela, senti a papà»… la mano naturalmente… – e ancora oggi giù risate come quelle registrate delle mitiche puntate del Drive In, reminiscenza di adolescenza. «Io sarò il fiore, l’api sarete… al vago odore ci aggireremo…vi succeremo come che va…» e ancora «ebben ti voglio legalmente legar, sia questo il buco… che buco?… il foro dove esaminerò gli appelli tuoi per formalmente giustiziarti poi…» e poi «un arnese grazioso… che sarà mai?» scrive Gaetano Gasbarri, funambolico librettista della seconda opera di Rossini. Dove c’è già tutto il genio e la follia musicale del pesarese. Arie dai sillabati forsennati, duetti scoppiettanti, concertati vertiginosi… abbandoni patetici… che sono il laboratorio di idee dei Barbieri, delle Cenerentole, delle Italiane che verranno. E grane maturità musicale, confermata dall’ascolto ravvicinato della partitura dell’Equivoco (proposta naturalmente in edizione critica, curata per la fondazione Rosini da Marco Beghelli e Stefano Piana) e di quella del Barbiere (in cartellone al Rof 2024).

Testo vertiginoso per invenzione quello di Gasbarri, per uso coltissimo della lingua… una lingua costruita ad arte (ma sembra di sentire certi strafalcioni che oggi qualcuno sfodera per sentirsi “all’altezza”) per raccontare di un villano arricchito, Gamberotto, che si dà un tono per accreditarsi in società che non gli appartiene – una società che lo guarda, lo spia nella sua casa da un quadro/finestra attraverso lo sguardo disilluso e inebetito i due mucche… Testo che in un gioco raffinatissimo di allusioni, rimandi, strafalcioni, doppisensi (d’altra parte c’è sempre il modello, irraggiungibile forse, di Lorenzo Da Ponte che nella trilogia mozartiana non si risparmia e non ci risparmia vertigini di parole e ammiccamenti) diventa meno equivoco di certi post di tanti adulescemi di oggi. Adulescemo, quello strano essere bifronte metà adulto e metà (e forse anche più della metà) adolescente/adolescemo che circola in rete, ma anche nelle aule parlamentari e nei talk tv e che quotidianamente, anche non cercandolo, ci troviamo tra i piedi. Popola le nostre chat, si moltiplica sui social… invade Facebook… tristemente. E la tristezza è direttamente proporzionale al crescere dell’età e del grado (o ex grado)… ma questa è un’altra storia.

Rossini fa l’equivoco. Lo fa a 19 anni, con la sua seconda opera, L’equivoco stravagante, che dopo la prima bolognese del 1811 resistette per ben tre giorni in scena prima di cadere sotto i colpi della censura – vicenda reale, tragicomica, rossiniana quella che capitò allora con un provvedimento disciplinare nei confronti del censore che non era intervenuto prontamente sul libretto. E su quelle battute adolesceme, vecchie come il mondo… L’equivoco stravagante, secondo titolo di Rossini e secondo titolo del Rossini opera festival 2024, riallestimento dello spettacolo firmato nel 2019 da Moshe Leiser e Patrice Caurier. Allestimento allora applauditissimo, oggi ancora di più per valore musicale (indubbia la superiorità dell’edizione 2024) e per resa della messinscena che la coppia di registi belgi riprende, rimpicciolendola – così come si fa con le due dita sullo schermo degli smartphone per ingrandire o restringere un’immagine – per prenderla dal palco in cinemascope della Vitrifrigo Arena e farla entrare in quello all’italiana del Teatro Rossini. Dove L’equivoco funziona ancora meglio. Serrato, teatralissimo, con tempi comici – e patetici, perché tutta l’opera è in bilico tra sorriso e strazio – perfetti.

Il Rossini che non ti aspetti, dunque, sempre campione di elegante comicità, che a inizio carriera mette in musica un libretto caricaturale e, incredibilmente, capace di parlare e illuminare – dicendoci che forse una risata sarebbe la cosa migliore da fare di fronte a certe prese di posizione tra gender e italianità – il nostro presente. Storia tragicomica di una ragazza di campagna, Ernestina con la passione per la letteratura tanto da parlare per metafore – «le macchine corporee in linea curva adattino su due comodità» dice per invitare i suoi pretendenti a sedersi… – contesa tra un maestro di filosofia e un ricco possidente, Ermanno e Buralicchio. Sollecitata dal padre Gamberotto, villano ora arricchito, ma sempre villano, «Dagliela, figlia…», decide di concedersi a entrambi, «metà della macchina… all’uno lo spirito e all’altro la materia». Ma il servo di casa, per sottrarla alle gelosie di Buralicchio e per scoraggiare l’uomo dal desiderio di sposarla ad ogni costo, fa circolare la diceria – «la calunnia è un venticello» (a proposito di presente olimpico… lo scrive oggi anche Maurizio Gasparri sui social…) – fa circolare la diceri che la ragazza in realtà… è un uomo travestito, Ernestina in realtà è Ernesto, che il padre Gamberotto voleva castrare per evitargli il servizio militare (certo di un futuro nell’arte del palcoscenico), ma avendoci poi ripensato ha deciso di fargli vestire abiti femminili. Buralicchio la denuncia come disertore, Ernestina viene incarcerata, ma Ermanno sfida la sorte e la libera… E il servo Frontino svela l’equivoco… stravagante. Con tale trama le risate, ma anche i riferimenti ad un nostro polemico e olimpico presente, si moltiplicano. Rimandano (anche inaspettatamente perché la partitura è del 1811, lo spettacolo del 2019) ad una realtà deformata dalla risata.

Così Leiser e Caurier raccontano l’ Equivoco deformandolo con la lente del grottesco con l’effetto, quasi paradossale, di rendere meno pesanti i doppi sensi del libretto e più gustose le invenzioni letterarie. I personaggi sembrano usciti dalle illustrazioni del pittore e vignettista francese Honoré Daumier, nasi enormi, fianchi larghi, abiti ottocenteschi (firmati da Agostino Cavalca) da illustrazione d’epoca che, da soli, raccontano caratteri e tic. Scene disegnate da Christian Fenouillat che ci portano dentro una stampa d’epoca. Che pende vita nella regia vorticosa di Leiser e Caurier, quadri (ben illuminati da Christophe Forey) che sembrano tante tavole illustrate, dove i personaggi (coro compreso) sono collocati perfettamente, al millimetro in una partitura visiva perfetta – basta il coro che spolvera la casa nell’aria di sortita di Gamberotto (che già fa vedere l’ingresso di Don magnifico nella Cenerentola) a dire il grande lavoro sul movimento (la sera prima, in Bianca e Falliero, c’erano cameriere che spolveravano… ma a caso e senza un senso drammaturgico…). Una regia che non ha pretese intellettuali, ma che sposa perfettamente lo spirito del dramma giocoso rossiniano. Dove, insieme al sorriso, non mancano i momenti patetici.

Come capita sempre in Rossini. Anche in questo Rossini giovanile, ma già consapevole e maturo. Lo restituisce così Michele Spotti sul podio di una Filarmonica Gioachino Rossini partecipe e divertita (anche se non sempre puntuale in soli ed equilibri di volumi). Un Rossini consapevole e maturo quello del direttore d’orchestra brianzolo, impegnatissimo (e non solo in questa estate musicale tra Arena di Verona, Londra con Bocelli e Rof… e poi Marsiglia, Ravello, Benevento…) tra prove e recite in un incastro perfetto di agenda tra lavoro e viaggi (seguire il suo profilo Instagram per tracciare una cartina dei suoi spostamenti…). Impegnatissimo, ma sempre sul pezzo… sulla partitura e sullo stile dell’autore che compare in copertina. Perfettamente rossiniano, dunque, Spotti nella lettura dell’Equivoco, vortice di musica e di canto che il direttore tiene perfettamente in pugno, governandolo e divertendosi a spingere sull’acceleratore della velocità (mai fine a se stesso, però, sempre specchio di ciò che il libretto racconta) grazie ad un cast di rossiniani doc (detto tra parentesi notevolmente superiore a quello messo in campo nel 2019 con la sola eccezione di Davide Luciano, allora perfetto Buralicchio).

Trascina tutto l’applauditissimo idolo di casa (siciliano, ma trapiantato a Pesaro da tempo) Nicola Alaimo, perfetto buffo rossiniano (ma anche le sue incursioni liriche e drammatiche lasciano il segno) che è un Gmberotto caricatiurale, ma umanissimo. “Volgare”, certo, come impone il testo letterario e musicale al villano arricchito, ma inaspettatamente malinconico, perché il baritono, in perfetto equilibrio tra canto e declamato, sa rendere patetica e a tratti, appunto, malinconica questa volgarità. Fulminante nel sillabato, vorticoso nelle velocità rossiniane staccate da Spotti. Come Maria Barakova, tronata da protagonista al Rof dopo la militanza nell’Accademia rossinina. Il mezzosoprano, svettante in acuto e ben timbrata nei centri, disegna un’Ernestina alla quale subito si vuole bene, ragazza ingenua, con la testa tra i libi, disarmata di fronte alla vita he le fa “recitare” un ruolo. Patetico al punto giusto l’Ermanno di Pietro Adaini, ruolo impegnativo (ma non impossibile) che il tenore catanese (anche lui ha militato nell’Accademia rossiniana ed è spesso in cartellone al Rof) tutto sommato porta a casa al netto di una voce spesso troppo nasale e poco sfogata. Caricatura gustosissima quella disegnata con una voce di autentico baritono, avvolgente e di velluto, da Carles Pachon, efficace in scena, musicalissimo su ogni sillaba. Carattere, ma anche voce e musicalità anche per Matteo Macchoni, Frontino che da servo, quasi personaggio di contorno, ma motore dell’azione che fa nascere l’equivoco, sa prendersi la scena e (giustamente) gli applausi con una voce bella e musicalissima e con una presenza scenica che è la prima a strappare la risata quando, appena si alza il sipario, è impegnato in amorose contorsioni con la cameriera Rosalia di Patricia Calvache.

«L’equivoco è sciolto, ritorna la calma, amore d’ogni alma trionfo sarà» cantano alla fine i personaggi in proscenio mentre si tolgono il naso finto. Ci guardano dritti negli occhi. Invitandoci, forse, a farci una risata vedendoci riflessi in questo Rossini del 1811, specchio (tragicomico o forse solo tragico) del nostro (olimpico) presente.

Nelle foto @Amati/Bacciardi L’equivoco stravagante al Rof