Al Teatro Regio di Torino debutto italiano del regista tedesco Tabarro, Suor Angelica e Schicchi uniti in un unico racconto Pinchas Steinberg dirige Roberto Frontali ed Elena Stikhina
Prima un fumetto. Un fumetto inequivocabilmente per adulti, per la storia tragica che le nuvolette raccontano. Un matrimonio in crisi sul quale incombe l’ombra di un figlio morto. Un tradimento coniugale, consumato forse più per noia che per amore. Vignette dal segno forte, quasi espressionista. Pulp. Nero e rosso. Il nero del male e il rosso del sangue (o della passione). Di quelli che andavano forte nelle edicole. Quando ancora c’erano le edicole, prima dell’avvento del web. Poi un film, un po’ melò e un po’ noir. Un film inequivocabilmente per adulti, per la storia tragica che le sequenze raccontano. Un film di quelli che hanno segnato il successo di Amedeo Nazzari (e Ivonne Sanson, naturalmente). Ma anche una pellicola psicologica, alla Alfred Hitchcock. Rigorosamente in bianco e nero. Di quelli campioni di incassi, che facevano formare code fuori dai cinema. Quando ancora c’erano i cinema, prima dell’invasione di piattaforme e serie. E ancora, un programma tv, un po’ reality e un po’ contenitore del pomeriggio. Un po’ pulp (le varie Vite in diretta e Pomeriggi cinque che raccontano la cronaca più splatter in presa diretta) e un po’ melò (versione 2.0 dei fotoromanzi alla Grand Hotel o Telebolero, tra pettegolezzi e storie d’amore palesemente costruite a tavolòino). Di quelli che (ancora) fanno ascolti e collezionano like sui social, trasformati in reel e meme.
Variazioni sul tema. Quello della letteratura popolare. Pop (e splatter e pulp e trash… se volete) tra ieri e oggi. Tobias Kratzer rilegge così Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi. Letteratura popolare (lo Schicchi arriva direttamente dalla Divina Commedia di Dante che, un tempo, era popolarissima e citata a memoria anche da chi le scuole alte non le aveva fatte… e anche Tabarro e Angelica hanno storie che prendono e consumano…), letteratura popolare, appunto, messa in musica nel 1918 da Giacomo Puccini nel Trittico. Titolo di punta della stagione (quasi) tutta pucciniana del Teatro Regio di Torino – per il centenario della morte del musicista, naturalmente, celebrato ovunque, con moltiplicarsi di Bohème, Tosca e Turandot… ma con rare proposte del Trittico (che forse, ma anche senza forse, è l’opera più bella del compositore toscano)… dopo Torino c’è Bologna e nella prossima stagione Trieste. Titolo di punta, questo (bellissimo) Trittico anche perché segna (attesissimo e come sempre in rincorsa rispetto al resto del panorama lirico europeo… dunque applausi a Torino per la proposta di questo Trittico di Kratzer, coprodotto dal Regio insieme al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles) il debutto in Italia di Tobias Kratzer, regista tedesco, classe 1980 (in testa sempre un cappellino, figura pop, un po’ trapper) prossimo sovrintendente della Staatsoper di Amburgo – il suo mandato inizierà a settembre 2025 insieme a quello del direttore musicale Omer Meir Wellber.
Debutto riuscitissimo (lo conferma – l’eccezione che conferma la regola – una contestazione, isolata, ma sonora, di uno spettatore che reclamava di «aver pagato un biglietto per vedere un simile scempio», buttata lì in una replica domenicale pomeridiana) per uno degli spettacoli più belli di questa stagione (e non solo torinese… e forse, ma anche senza forse, non solo di questa stagione). Kratzer cuce insieme, senza nessuna forzatura, i tre atti unici. E allo stesso tempo sceglie un’estetica diversissima da un atto all’altro del Trittico, tra fumetto, melò e reality. E ci sta benissimo. E funziona belissimo. Perché i tre racconti, mantenendo la loro individualità, si intrecciamo in un’unica storia che torna e cattura. Fascino narrativo, stimolo intellettuale nel gioco (per adulti) dei rimandi da un atto all’altro.
Perché Tabarro non è altro che quel fumetto che le converse di Suor Angelica leggono di nascosto in chiesa e in cella, appassionandosi all’amore di Luigi e Giorgetta e commovendosi per il bimbo morto di lei e di Michele – appiombo perfetto di Kratzer, immagini tutte sulla parola e sulla musica, perché la vignetta che racconta il dolore di Giorgetta per la perdita del «nostro bimbo» arriva mentre Angelica apprende dalla zia Principessa della morte del suo e dice il suo disperato Senza mamma. Quell’Angelica che è un film in bianco e nero, un melò (anche un po’ noir con l’incendio catartico finale dove le fiamme che divorano il convento e carbonizzano le suore ricordano quelle che in Rebecca di Hitchcock distruggono Manderley e inghiottono la Danvers) con una colonna sonora da Oscar. Firmata, naturalmente da Puccini. Quella musica che nella tv verità (nello studio ricostruito sul palco c’è anche il pubblico che applaude a comando) dello Schicchi Buoso ascolta in un disco (naturalmente) Deutsche grammophon (disco nella cui custodia, peraltro, Buoso nasconde il suo testamento) prima di essere colto da infarto (prologo al racconto dei parenti alle prese con la beffa del testamento). E Schicchi è il programma tv che Giorgetta e Michele vedono, facendo, annoiati, zapping nella loro cabina, sul barcone ancorato sulla Senna – che è un moderno battello, lo vediamo in tre delle quattro vignette (la quarta è una panchina dove “succede” quello che Puccini prescrive fuori scena) in cui Rainer Sellmaier, che firma anche i costumi, divide il palco nel Tabarro.
Tabarro che ha i contorni decisi e netti di un fumetto. Disegnato da Kratzer con tratto più espressionista che verista. Rosso e nero, come si vedrà poi in Suor Angelica, unica macchia di colore di un film in bianco e nero. Narrazione fluida, racconto che, grazie al palco organizzato in quattro vignette/luoghi, riesce ad illuminare di nuovi significati (nella scansione dei dialoghi, nel chi si rivolge a chi e dove…) il testo di Giuseppe Adami. Racconto aggiornato a un oggi di grattacieli ai piedi dei quali striscia, provando a sopravvivere, un’umanità ai margini, Michele e Giorgetta, la Frugola, il Talpa e il Tinca, Luigi…
Umanità ai margini, ferita e piegata (e piagata), nonostante l’apparente pace che le mura del convento suggerirebbero, che Kratzer racconta anche in Suor Angelica. Lo fa con un film che mostra i retroscena della vita in convenuto (il non detto del testo di Giovacchino Forzano, che però c’è se si ascoltano parole e musica, se le si scandagliano…), proiettato sul muro/schermo che chiude il palco (unico elemento scenografico di Angelica) mentre i cantanti sul palco vuoto evocano l’azione. Un film bellissimo di Manuel Braun, un racconto organizzato in capitoli (che sono gli stessi in cui è scandito il libretto, proiettati sul muro/schermo) che è un pugno nello stomaco: la preghiera (e siamo subito in chiesda, con le suore che si passano il fumetto di Tabarro), le punizioni, la ricreazione (dove scopri che Bianca Rosa, «la suora che riposa» sulla tomba della quale le sorelle vorrebbero portare «un secchiello d’acqua d’oro», si è suicidata in una fredda mattina spazzata dal vento…), il ritorno dalla cerca (e capisci che suor Dolcina soffre di bulimia, ruba nutella e biscotti, si rifugia in un angolo del convento, mangia compulsivamente e poi va a vomitare in bagno), la zia Principessa (un’arricchita di oggi, firmatissima, Gucci e Vuitton, fintamente devota), la grazia, il miracolo… e un finale sorprendente (sempre tutto cinematografico) con la badessa che sequestra il fumetto alle converse, vorrebbe avidamente leggerlo (ottimo il lavoro di interpretazione sui cantanti), ma poi lo getta nel camino da dove partirà l’incendio che distruggerà il convento… e nelle fiamme Angelica vedrà il figlio, visione (perché forse è solo una sua allucinazione, incendio compreso) visone salvifica prima della morte.
Un’arricchita di oggi, firmatissima, Gucci e Vuitton, fintamente devota la zia principessa. Che potrebbe essere benissimo uno dei parenti serpenti dello Schicchi. Formato reality. Arricchiti, formatissimi (ma pacchianamente e chiassosamente) i parenti che Kratzer colloca in uno studio tv con tanto di pubblico (reclutato dal Regio con un bando) che applaude a comando. Schicchi è un coatto, Luaretta una ragazza che si veste al mercato, i parenti pregustando la beffa del testamento si fanno l’idromassaggio insieme a Schicchi. Regia, pur nel segno moderno, del tutto tradizionale. Il racconto c’è, le idee sono le meno pregnanti del Trittico.
Regia perfetta, comunque. Grande lavoro di Kratzer sul testo e sulla musica. Pucciniana, ma senza puccinismi (ottima l’orchestra del Teatro Regio), tra ampi respiri e ritmi teatralissimi, la direzione di Pinchas Steinberg. Tabarro arriva dilatato nei tempi, meno tagliente e più lirico pur con sciabolate di Novecento che Steinberg stende sulla partitura. Che resta nera, gorgo di suoni dove, però, il direttore sbalza oasi di sentimento. Suor Angelica è un’alchimia perfetta, distillata nella sua scrittura cristallina al centro della quale si apre il buco nero del colloqui tra Angelica e la zia Pricnipessa. Un andata e ritorno dal Paradiso all’Inferno, il paradiso dell’inizio che torna nel finale, dopo la ruvidezza cupa della scena centrale. Schicchi ha il passo teatrale che Puccini imprime alla sua unica commedia in musica capace, però, nel finale di commuovere forse più di tutte le morti delle eroine del compositore toscano, nel «Ditemi voi signori se i quattrini di Buoso potevan finire meglio di così…» declamato (colpo di genio di Puccini) che chiude un’opera fatta di canto assoluto.
E «l’attenuante» che Schicchi chiede al pubblico arriva. Arriva dal pubblico della tv, quello della finzione scenica. E arriva anche da noi che siamo in platea. E che ci specchiamo – graffio finale di Kratzer – in quel pubblico pop che applaude a comando dentro il piccolo schermo. In platea al Regio si applaude convinti. Soprattutto Roberto Frontali (che forma vocale e scenica! sorpresa che il baritono romano sa riservare ancora) che lascia il segno con una lettura moderna tanto di Michele quanto di Schicchi. Voce, fraseggio, acuti tutti a posto, scavo nella parola per un’interpretazione tra le più centrate e convincenti. Elena Stikhina, Giorgetta un po’ sulla difensiva (ma comunque corretta), conquista come Angelica lirica e dolente, svettante in acuto (belli quelli del Senza mamma e della grande scena finale… degna delle regine donizettiane) e scenicamente sempre incisiva, anche nel confronto (tutto interiore, perché l’azione è nel film, dialogo muto, fatto tutto di sguardi eloquentissimi) con la zia Principessa di una efficace Anna Maria Chiuri, voce multiforme, acuta e cupa insieme. Un solo ruolo per lei, come un solo ruolo, quello di Luigi, per Samuele Simoncini dallo squillo sicuro. Elena Zilio declama (applauditissima) le invidie e le cattiverie di Zita nello Schicchi mentre Monica Bacelli mette la sua autorevolezza scenica nella badessa di Angelica. Giovane amante nel primo quadro, Matteo Mezzaro è un Rinuccio dallo squillo limpido e fascinoso. Tre ruoli, uno per atto, per Lucrezia Drei che è la giovane amante del Tabarro, suor Genovieffa nell’Angelica e Lauretta sicura e simpatica nello Schicchi. Un fumetto, un film in bianco e nero, un reality. Nel Trittico pop (e bellissimo) di Kratzer.
Nelle foto @Daniele Ratti Il trittico al Teatro Rgeio di Torino