Ravenna, diventa un musical la storia di Samia l’atleta somala morta nel Mediterraneo

Nonm dirmi che hai paura dal romanzo di Giuseppe Catozzella proposto per Le vie dell’amicizia con la regia di Laura Ruocco

Non dirmi che hai paura nasce da un’urgenza. «Una necessità». Quella di raccontare la storia di Samia. Che a Giuseppe Catozzella si è presentata prepotentemente. «Era il 2012. Ero al confine tra Somalia e Kenya per ricerche su un romanzo che stavo scrivendo e che si sarebbe intitolato Il grande furturo, la storia di un ex combattente delle brigate Al-Shabaab. Era l’anno delle Olimpiadi di Londra, ma non le avevo seguite per nulla. In tv, su Al Jazeera, vidi per caso il presidente del Comitato olimpico somalo che raccontava il sogno infranto di Samia». Atleta somala in gara alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, senza velo e dunque bersaglio delle rappresaglie dei governanti islamici della Somalia, assetata di libertà, decisa a fuggire dal suo paese per poter gareggiare alle Olimpiadi di Londra del 2012, ma drammaticamente morta in mare il 2 aprile di quell’anno in uno dei tanti, troppi naufragi che insanguinano il Mediterraneo. «Samia stava venendo nel mio paese. E io, italiano, dove raccontare la sua storia. Ho messo da parte il romanzo che stavo per scrivere e mi sono buttato a capofitto in questa viocenda».

Non dirmi che hai paura, pubblicato da Feltrinelli nel 2014, uscito in quaranta paesi e vincitore del Premio Strega giovani, diventa ora uno spettacolo teatrale con le musiche di Peter Gabriel. «Non potevo non raccontare con il mio linguaggio, quello del teatro musicale, la storia di questa ragazza. Una storia particolare che diventa universale. La storia di chi insegue il proprio sogno. Una storia di vita, nonostante il drammatico finale» racconta Laura Ruocco che firma la regia dello spettacolo in scena in prima assoluta l’8 luglio al Teatro Alighieri di Ravenna. Non dirmi che hai paura, stesso titolo del romanzo per lo spettacolo che si colloca nel cuore dell’edizione 2024 de Le vie dell’amicizia, il ponte di fratellanza che dal 1997 Ravennafestival lancia portando la musica (ma soprattutto l’amicizia e la solidarietà) in luoghi del mondo segnati dalla sofferenza, ma attraversati dalla speranza. Incorniciato, Non dirmi che hai paura, dai due concerti che vedranno Riccardo Muti dirigere lo Stabat Mater di Giovanni Sollima il 7 luglio a Ravenna e il 9 luglio a Lampedusa, davanti a quel mare che vede morire tanti, troppi uomini, donne e bambini che cercano in Occidente un futuro di dignità e pace.

Samia Yusuf Omar

Come Samia. Samia Yusuf Omar, nata a Mogadiscio, in una famiglia povera, «ma sempre determinata a seguire il suo sogno, allenandosi sotto le bombe della guerra civile, correndo con scarpe che le stavano larghe» racconta Laura Ruocco che ha scelto la forma del teatro musicale, «dove parola e musica, recitazione, canto e danza si uniscono, si fondono per raccontare la vicenda di Samia. O meglio, per restituire in scena quelle emozioni che ho percepito leggendo il libro di Giuseppe Catozzella». Lo scrittore milanese, classe 1976, ha partecipato alla scrittura del testo, nato da un’idea di Giorgia Massaro che sul palco è Samia.

«Guida un cast multietnico, di venti artisti, che ho voluto mettere insieme aprendo le audizioni oltre i canali consueti. Così in scena c’è anche una ragazza eritrea nata a Napoli» dice Laura Ruocco che per raccontare la storia di Samia ha voluto le musiche di Peter Gabriel. «È stato impossibile non pensare a lui mentre leggevo il libro e ragionavo sulla trasposizione teatrale. Lo abbiamo cercato, gli abbiamo raccontato il nostro progetto e lui ha supervisionato l’arrangiamento dei suoi brani, curato da Alessandro Baldessari che firma anche le musiche inedite. Così Mother of violence rappresenta il momento più drammatico del viaggio, Don’t give up è una sorta di mantra con cui il padre di Samia educa le figlie, Come talk to me diventa il dialogo tra Samia e sua sorella Hodan durante il viaggio. E poi ancora risuonano A different drum, Red rain, Kiss of life, Courage». Coreografie di Giulio Benvenuti. «Perché per raccontare la storia di Samia che scopre il suo talento di velocista a nove anni, che riesce a gareggiare alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, pur arrivando ultima, ma vede infranto il suo sogno nel Mediterraneo, evoco, affidando alla danza e alla fisicità molti momenti della narrazione».

Una storia «che è diventata anche un film firmato dalla regista Yasemin Smdereli. Siamo appena tornati dal Tribeca film festival di Robert De Niro dove la pellicola, che uscirà in autunno, era l’unica italiana in concorso» dice Catozzella che per raccontare la storia di Samia ha parlato «con molti ragazzi che hanno fatto il viaggio, incontrati grazie a parrocchie e Caritas, ma anche con Hodan, la sorella di Samia, anche lei imbarcata nella drammatica traversata. E in qualche modo mi ha autorizzato a raccontare questa storia». Una narrazione in prima persona, attraverso la voce di Samia quella di Non dirmi che hai paura. La voce di Samia, ma anche quelle di altri rifugiati, di Hadi Tiranvipour e Mahdia Sharifi, due atleti  di taekwondo che appartengono al programma del Comitato olimpico internazionale per i rifugiati e che rievocano, nel video realizzato per lo spettacolo da Alessandro Parrello, la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino. Atleti che è stato possibile coinvolgere grazie al patrocinio concesso allo spettacolo dall’Unhcr e dal Coni. E proprio mentre era impegnato nelle riprese Hadi Tiranvipour, ha saputo della sua qualificazione per le Olimpiadi di Parigi.

«La migrazione fa parte della libertà dell’essere umano. Ognuno di noi, se cerca bene, trova nella sua storia un migrante» riflette Laura Ruocco che firma quello che Catozzella definisce «lo spettacolo ufficiale. Perché la storia di Non dirmi che hai paura è stata adattata più volte. Io sono tra quegli scrittori che sono felici quando la loro opera ispira artisti in altri campi, perché mi piace vedere le mie parole che prendono vita». Succederà l’8 luglio a Ravenna. «E speriamo di poter portare lo spettacolo in tournée – conclude la regista – perché ci sono delle storie che senti la necessità di dover raccontare. E quella di Samia è una di queste».

Un momento delel prove di Non dirmi che hai paura (foto @Fabrizio Zabi)

Articolo pubblicato su Avvenire del 29 giugno