Alla Kölner Philharmonie Ein deutsches Requiem di Brahms con orchestra e coro della WDR e della NDR diretti da Măcelaru
Parte dalle Beatitudini. Selig sind, die da Leid tragen, denn sie sollen getröstet werden. «Beati coloro che sono afflitti perché saranno consolati», il passo del Vangelo di Matteo che apre Ein deutsches Requiem di Johannes Brahms. Una carezza, velluto nella voce del coro. Parte dalle Beatitudini e approda all’Apocalisse, l’ultimo libro della Bibbia. Selig sind die Toten, die in dem Herrn sterben, von nun an. Un’altra beatitudine, «Beati i morti che muoiono nel Signore». Voce di angeli, che viene da lontano, quasi da un’altra dimensione. Una voce che annuncia una salvezza. Ja, der Geist spricht, dass sie ruhen von ihrer Arbeit; denn ihre Werke folgen ihnen nach, «Sì, dice lo Spirito, affinché riposino dalla loro fatica; poiché le loro opere li seguiranno». Tedesca, protestante, luterana, una salvezza data «dalle opere».
Niente Dies Irae. Niente Confutatis. Niente Libera me, Domine. Nonostante le parole siano quelle dell’Apocalisse, il libro che racconta e prefigura la fine dei tempi. Niente timore e tremore di fronte al mistero della morte nella partitura di Brahms. Testo, musicale, certo, ma anche letterario, che il compositore confeziona cucendo insieme passi della Bibbia, dell’Antico testamento – Isaia, il Siracide, i Salmi – e del Nuovo testamento – i Vangeli di Matteo e Giovanni, le lettere di Pietro, Giacomo e Paolo (ai Corinzi e agli Ebrei) e l’Apocalisse. Non è un Requiem liturgico quello del musicista tedesco, non è un Requiem modellato sulla liturgia funebre, teatrale e visionaria. È un Requiem modellato sulla Parola. Protestante. Luterano, nel suo essere tutto sul testo della Bibbia. Non il latino della liturgia, ma il testo della Bibbia di Lutero. Tedesco, appunto. Tedesco come il Requiem di Brahms. Ein deutsches Requiem. «Un» Requiem tedesco, articolo indeterminativo davanti (non «il», articolo determinativo) per dire, forse, che è uno dei tanti possibili Requiem, che si possono costruire sulla ricchezza dalla Parola biblica. Il Requiem secondo Brahms.
La morte di Robert Schumann, la morte della madre nella lunga gestazione di Ein deutsches Requiem, che restò sulla scrivania di Brahms dal 1854 al 1868, presentato in forma ancora incompleta il 10 aprile del 1868, Venerdì Santo, nella cattedrale di Brema, e portato il 18 febbraio 1869 al Gewandhaus di Lipsia nella sua forma definitiva. Quella che ascoltiamo ancora oggi. Risuonata, nel cuore della Quaresima, alla Kölner Philharmonie per la stagione della WDR Sinfonieorchester di Colonia. Cristian Măcelaru sul podio della formazione sinfonica della Westdeutscher Rundfunk Köln, la radiotelevisione della Renania Settentrionale-Vestfalia – diretta radiofonica della prima, streaming del concerto di sabato 2 marzo, audio disponibile per un mese sul sito della WDR a questo link. Due cori, uniti magnificamente in uno solo (li dirige Klaas Stok), fusi in una voce sola dal colore morbido e vellutato, il WDR Rundfunkchor e l’NDR Vokalensemble, la Norddeutsche Rundfunk di Amburgo. Solisti il baritono (italiano della Val Badia, in Alto Adige) Andrè Schuen e il soprano Christiane Karg, lui nel cuore dell’orchestra, a fianco al direttore, lei in alto, sulle poltrone che abbracciano il palco circolare dalla Philarmonie, accanto al coro. Lui, terreno e concreto, a dare voce all’uomo Herr, lehre doch mich, dass ein Ende mit mir haben muss, und mein Leben ein Ziel hat, und ich davon muss… Ich hoffe auf Dich. «Rivelami, Signore, la mia finitudine, quale sia la misura dei miei giorni e saprò quanto è breve la mia vita… io spero in te…», con le parole del Salmo 39. Lei, voce dall’alto, rarefatta, quasi indistinta, guarda il mondo e promette Ich will euch trösten, «Io vi consolerò».
Perché è una riflessione in musica e parole sul mistero della morte l’Ein deutsches Requiem, sul senso non solo della fine, ma di tutta la parabola dell’esistenza. Attraverso le parole della Bibbia. Un oratorio che procede per quadri, per suggestioni. Grande affresco corale sul quale si stagliano le voci dei solisti. Puntuale Schuen, in un crescendo di intensità a partecipazione, appassionata e generosa la Karg. Ma a dominare è il coro, precisissimo, intonatissimo, intenso nel restituire la scrittura brahmsiana. Mai una nota fuori posto, ogni accento è appropriato. Ogni parola è “detta” con il giusto peso specifico, tedesca per come risuona, per come arriva, asciutta e allo stesso tempo avvolta di profondità e mistero. Parola dalla quale farsi interrogare e da scandagliare nel suo significato più profondo.
Pagina pensata ad hoc sul tempo dell’anno, la Quaresima appunto, proposta dalla WDR Sinfonieorchester con la bacchetta esperta e puntualissima, sicurissima per questo repertorio, di Măcelaru – ottimi i solisti e le prime parti della WDR, personalità di spicco che, forse, potrebbero amalgamarsi di più nei momenti di insieme per rendere più profonda e meno bidimensionale la resa ed entrare ancora di più in dialogo con il coro. Più a piombo, più a fuoco nel respiro sinfonico la WDR, invece, nella pagina che Măcelaru ha messo come “introduzione” all’Ein deutsches Requiem, la Kammersymphonie n. 2 in mi bemolle minore di Arnold Schönberg. Pagina bifronte, figlia di due epoche diverse della produzione del musicista dodecafonico (ma qui sembra non essere così dirompente la carica musicale rivoluzionaria del compositore austriaco), iniziata nel 1906 e compiuta tra il 1941 e il 1942 come studio sulla variazione partendo proprio da Brahms. Due movimenti, un Adagio che deve molto a Mahler e un Con fuoco che ha dentro echi di Stravinskij, che Măcelaru e la WDR restituiscono con intensità nella loro dimensione cameristica. Che, comunque, ha dentro una carica e una potenza dirompente. Urlo che poi lascia spazio alla riflessione, alla pace del Requiem, tutto sulla Parola, tedesco, di Brahms.