Alberto Bentoglio racconta l’arte scenica della Divina fondamentale per lo sviluppo della regia d’opera «Impegno e detrminazione il segreto della sua grandezza»
La voce. Unica. Come lei nessuna mai. La voce unica di Maria Callas risuonava per la prima volta cento anni fa. Era un pianto, certo. Ma poi è diventata la voce della Divina. Quella che tutti ancora oggi abbiamo nel cuore. Cento anni fa, il 2 dicembre 1923, a New York da genitori greci nasceva la più grande cantante lirica di sempre. La Divina, che ha segnato indelebilmente la storia della musica del Novecento con la sua interpretazione delle grandi eroine del belcanto Violetta, Tosca, Medea, Aida, Butterfly, Carmen, Norma. Ma ciascuno ha la sua preferita. Una voce come non ce ne sono state altre, una capacità di rendere nostri contemporanei personaggi del passato attraverso la sua interpretazione musicale e scenica. Perché la Callas non era solo una voce. «Era una cantante-attrice che ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della regia del teatro d’opera» riflette Alberto Bentoglio, docente di Storia del teatro e dello spettacolo all’Università degli studi di Milano, dove dirige il dipartimento di Beni culturali e ambientali. Bentoglio indaga la Callas “attrice” e il suo rapporto con i grandi registi del Novecento, da Margherita Walmann a Luchino Visconti, da Franco Zeffirelli a Pier Paolo Pasolini, nel volume Maria Callas pubblicato da Carocci. «Da tutti Maria assorbì indicazioni e consigli, reinterpretandoli secondo la sua sensibilità. Ogni dettaglio recitativo, ogni gesto, ogni movimento veniva da lei analizzato criticamente, ripetuto e perfezionato in lunghe prove, come accade solitamente non nella lirica, ma nella prosa» ricorda Bentoglio. Per il quale «la forza ineguagliabile delle sue interpretazioni sta nella perfetta fusione tra canto e gesto teatrale».
Perché, Alberto Bentoglio, oggi siamo ancora qui, dopo cento anni, a parlare di Maria Callas?
«La Callas non è legata ad un periodo storico. Credo si possa affermare che è una figura senza tempo… Un po’ come, in ambiti differenti, icone universali quali Eleonora Duse, Marilyn Monroe, Greta Garbo».
E perché ci emozioniamo, piangiamo e sorridiamo, quando ascoltiamo le sue registrazioni?
«Le interpretazioni della Callas hanno la capacità di impressionare profondamente chi le ascolta. Non manca nulla: la straordinaria abilità vocale, la profondità dell’interpretazione, l’originalità della costruzione del personaggio. Come si fa a non emozionarsi?».
Chi era Maria Callas? La Maria che ha cantato a 15 anni Cavalleria rusticana ad Atene. E chi era alla fine la Callas, morta a Parigi a 53 anni?
«Per me era sempre la stessa artista, forte, capace di raggiungere con impegno e determinazione i risultati che si era proposta di raggiungere. Il fisico è cambiato, la voce è cambiata, ma la sua professionalità è sempre stata la stessa, da Atene a Parigi. Una grande artista costruisce la sua carriera fin dai primi anni e la Callas lo ha fatto e, fino alla fine della sua vita, è stata all’altezza del ruolo che il mondo dell’arte le ha assegnato».
Quando Maria è diventata la Callas?
«Negli anni Cinquanta. Alla Scala. Milano è stata la sua vera casa. Qui la Callas ha dato il massimo. Qui è nato il mito. Le grandi interpretazioni con i grandi direttori d’orchestra, la riscoperta di un repertorio ingiustamente dimenticato, ma anche il celebre dimagrimento che le ha permesso di interpretare con maggiore credibilità scenica le eroine del melodramma, E poi il lavoro con i registi: la Wallmann, Visconti, Zeffirelli giovanissimo, la Pavlova, Enriquez».
Se dovesse scegliere… quali i ruoli iconici?
«Medea. Senza dubbio. La Callas era greca e in più occasioni ha dichiarato che quel personaggio faceva parte della sua storia. E non dimentichiamo il lavoro con Pasolini con il quale ha voluto coraggiosamente affrontare un linguaggio per lei nuovo. Questo non toglie ovviamente nulla a Norma, il ruolo che più volte ha interpretato, e alla sua Violetta presentata in tante e tante occasioni diventate poi pagine imprescindibili per la storia del melodramma».
Come ha cambiato la storia? Voce, interpretazione…?
«Lo ha detto bene Franco Zeffirelli: c’è un prima e un dopo, AC Ante Callas e DC Dopo Callas. Tutto è cambiato. Dopo la Callas nulla è stato più come prima».
Giù dal palco, la donna…
«Le biografie, le lettere, le tante e tante interviste ci restituiscono una figura umana, con le sue debolezze, fragilità e con i suoi lati di forza. Capace di ascoltare, ma anche di sapersi imporre. Purtroppo, una vita troppo breve non le ha permesso di realizzare tutto ciò che avrebbe voluto e meritato».
Perché mai più nessuna come lei?
«Ognuno di noi ha la sua storia. La Callas è la Callas».
Tante oggi cercano di imitarla, si sono costruiti personaggi lanciati come “la nuova Callas”, ma nessuna ci è riuscita. Perché volerla imitare e non piuttosto costruirsi una propria personalità?
«Seguire un grande modello come Maria Callas non vuole dire imitare qualcuno. Si deve andare avanti facendo tesoro dei suoi insegnamenti, ma è necessario crearsi un percorso personale. Se no, non si va da nessuna parte».
Quale la sua “eredità”, il suo insegnamento consegnato alla storia?
«La Callas ha lasciato una grande eredità: lavorare con dedizione, sacrificio e passione permette a chi ha talento di raggiungere grandi risultati. Con la sua determinazione nel perseguire la perfezione e vincere tutte le sfide, ha insegnato che solo attraverso una dura disciplina si possono raggiungere i traguardi più difficili. Quindi ben vengano le giovani e i giovani cantanti che seguono il suo esempio. Dalla Callas abbiamo tutti qualcosa da imparare».
Nella foto Maria Callas in Medea di Luigi Cherubini