A Colonia l’allestimento (che funziona benissimo) del 2011 dell’opera di Donizetti che il regsita porta in riva al mare Beltrami dirige Zukowski, Ivanchey, Choi e Montanari
Sono già lì. Sulla sdraio. A fare un cruciverba lui. A prepararsi per il risveglio muscolare lei. Sono già lì in spiaggia, prima che i Bagni aprano. Immancabili, come su una qualsiasi spiaggia della Romagna in una mattina (presto, prestissimo… mentre sorge il sole) d’estate. Milano Marittima. Viserbella di Rimini. Pinarella di Cervia. Igea Marina. Sono già lì, lui e lei, sui sessant’anni o forse più, mentre il pubblico entra in sala. In sala? Sì, perché siamo all’opera, all’Oper Köln. In Germania. E loro sono già lì mentre il pubblico entra in sala. E chiacchiera. E sorride nel vedere (e anche un po’ nel vedersi e ri-vedersi…) sul palco della Saal 2 dello Staatenhaus, dove ha trovato casa l’Opera di Colonia (casa che è un palcoscenico, anzi sono due, tre, tanti quanti sono gli spazi dell’area fieristica che vengono reinventati e fatti diventare palcoscenico inedito e stimolante per la lirica)… Sorride, il pubblico tedesco, nel vedere sul palco della Saal 2 dello Staatenhaus dell’Oper Köln uno stabilimento balneare. I Bagni Adina. Che al mattino presto, mentre chi ha fatto serata in discoteca dorme ancora, hanno ombrelloni chiusi e sdraio impilate una sopra l’altra. Eppure loro sono già lì. Come su una qualsiasi spiaggia della Romagna. Bellaria. Gatteo a mare. Cattolica. Riccione.
Sono già lì. Sulla sdraio. Puntualissimi quando il sole sta sorgendo. Lui a fare il cruciverba. Lei, appena partono le note del preludio (che sembrano proprio accompagnare l’alba, il sole che sorge e poi si piazza lì, caldo e avvolgente in cielo), lei impegnata con il risveglio muscolare e la ginnastica antalgica. Simpatici vecchietti (detto con affetto, si intende) come tanti che popolano le spiagge italiane, da giugno a settembre, nell’estate italiana. Che parla (anche) tedesco. E c’è una spiaggia sul palco dello Staatenhaus, sabbia, sdraio, ombrelloni, gonfiabili, salvagenti, teli di spugna, docce… una spiaggia come le tante che sino a qualche settimana fa (sì, perché in questo 2023 l’estate ci ha accompagnato sino ad ottobre inoltrato) erano popolate di gente. E si popola anche la spiaggia dell’Oper Köln. Si popolano le sdraio dei Bagni Adina mentre Giannetta, trafelatissima (forse anche lei ha fatto serata) solleva le saracinesche del bar – che naturalmente si chiama Bar Adina – e Nemorino apre gli ombrelloni. Colpo di genio, questo incipit balneare, che Damiano Michieletto mette all’inizio del “suo” Elisir d’amore – certo, Elisir è del bergamasco Gaetano Donizetti, senza dubbio, ma qui la popolare storia diventa anche un po’ del regista veneziano che la reinventa e ce la restituisce bellissima e attualissima, sempre sulla musica e sulle intenzioni di Donizetti e del librettista Felice Romani che si ispira, come se fosse un remake, al Filtro di Eugene Scribe (remake perché già Auber dallo stesso testo aveva tratto un’opera, Le philtre).
Colpo di genio, questo incipit balneare di Michieletto, che ci tira subito dentro la storia. Chi non è mai stato in spiaggia? Chi non ha mai avuto un flirt (o almeno ha sognato di averlo…) in riva al mare? I vari Sapore di sale (sì, quelli dei Vanzina con Isabella Ferrari e Massimo Ciavarro) docet… Michieletto (come i Vanzina) ci tira subito dentro le vicende amorose di Adina e Nemorino. E tira dentro il pubblico tedesco, affezionatissimo, lo sappiamo, alla riviera romagnola. Pubblico che sorride (e spesso ride di gusto) nel vedersi allo specchio (tic, stereotipi, luoghi comuni raccontati, però, con sana e allo stesso tempo feroce ironia) sul palco dello Staatenhaus – e tutto lo spettacolo è punteggiato di risate a scena aperta. Spettacolo nato per Valencia e Madrid e passato in Italia tra Palermo e Macerata e rimodellato a seconda dei palcoscenici e delle mode che nel frattempo si sono evolute – ma attenzione, la scritta Socorrista sull’ombrellone non è perché la prima nel 2011 è stata in Spagna, ma perché Michieletto, fedelissimo al libretto, lascia le vicende dove gli autori le hanno immaginate, un villaggio (in questo caso turistico) del paese «de’ Baschi». E dunque in Spagna.
Tutto sul libretto, tutto sulla musica l’Elisir balneare di Michieletto. L’Elisir d’amore che all’Oper Köln traducono in tedesco, Der Liebestrank. Anche se forse non serve perché il pubblico (potenza della lirica) sembra capire benissimo i versi di Romani (è vero, c’è la traduzione sugli schermi ai lati della sala…), la sua poesia e la sua ironia. Impastate nel racconto di Michieletto. Un racconto che sembra un film, una commedia all’italiana, una satira feroce e simpaticissima allo stesso tempo di usi e costumi di un’umanità varia che oggi è la stessa di ieri. In Italia, in Spagna o in Germania… tanto che lo spettacolo, funziona ancora benissimo e a qualsiasi latitudine, da Palermo a Colonia. Ieri, questa umanità varia, era “vittima” degli imbonitori di piazza, dei vari Dulcamara (che hanno nel nome il dolceamaro della truffa, ma anche della vita vagabonda che facevano), ciarlatani da fiera che vendevano elisir capaci di curare tutti i mali – dalle cimici all’asma. E cosa sono oggi questi toccasana di ogni male? Oggi, ci dice Michieletto raccontando un’umanità in balia di televendite e bombardata da pubblicità tossiche sui social che offrono “pillole” che garantiscono la felicità (della mente e del corpo), oggi l’elisir è una bevanda energetica, l’Elixir, ma anche una capsula da sciogliere in una bibita (ricordate la leggenda dell’Aspirina sciolta nella Coca Cola…?) per farne una bevanda esplosivamente effervescente (Dulcamara lo fa in scena… ammiccando non troppo velatamente a un atto sessuale), ma è anche una pillolina blu (per chi non ce la fa più) o una pasticca da mettere sulla lingua… Pilloline, pasticche che Dulcamara nasconde in un marsupio che porta sempre in vita – incredibile come a Michieletto basti un marsupio e una maglietta pacchiana con stampata una cravatta per dare un’immagine potente, efficacissima, drammaticamente vera della natura sghemba e sinistra del ciarlatano. «Oggidì spacciar l’amore è un affr geloso assai» canta lui, mettendo in guardia Nemorino dal gridare al mondo il suo “segreto” perché «impacciar se ne portia un tantin l’autorità», quell’autorità, quel poliziotto che intanto fa la ronda in spiaggia perché ha subodorato il marcio.
«Spacciar…» dice Dulcamara. Più chiaro di così. Ed ecco che oggi il ciarlatano oggi è uno spacciatore, di quelli che frequentano la società bene, non i ponti di periferia delle ferrovie, non i parchi nord tra boscaglia infestante e rifiuti. Girano con il gippone e sono sempre circondati da ragazze che sembrano modelle. «È Lsd non elisir…» gli fa cantare Michieletto, sostituendo la droga al bordeaux del libretto… E ci sta. Perfetto. Sul testo e sulla musica. Capace quella sigla, Lsd, di spazzare via in un secondo la favola che solitamente il donizettiano Elisir è (e in Germania tutto va tematizzato, problematizzato… lo insegna la tradizione bella, ma spesso ingombrante, della drammaturgia). Via lo zucchero per far piombare il racconto in una realtà che di favola non ha proprio nulla. Perché gli scherzi si moltiplicano, si moltiplicano i gavettoni, si moltiplica il bullismo da spiaggia, da vitelloni impuniti nel racconto di Michieletto. Perché Adina forse non si innamora di Nemorino, ma gli giura «eterno amore» perché anche lei ha saputo (geniale il fatto che la notizia arrivi con una telefonata a Giannetta nella cabina pubblica del bar) che «morto lo zio» il ragazzotto di provincia è diventato ricco. Ti resta il dubbio… Perché alla fine Dulcamara, da figlio di buona donna quale è, getta il suo marsupio, pieno di pillole, addosso… no, meglio non svelarlo. Meglio non svelare il colpo di scena – anche questo tutto sul libretto, in appiombo sulle parole di Felice Romani – che il regista mette alla fine del suo Elisir. Altra spettinata della vita in questa commedia umana, in una commedia all’italiana, fatta anche di tocchi poetici, di abbandoni malinconici, di sorrisi teneri… Che è poi la vera essenza dell’Elisir di Donizetti. Essenza che Michieletto coglie benissimo in questo che è uno degli spettacoli più riusciti del regista veneziano, concreto, ironico, tutto calato nella realtà, senza simbolismi, niente letture astratte che caratterizzano la nuova fase creativa percorsa da Michieletto negli ultimi anni, suggestiva, evocativa, certo, ma il Michieletto “neorealista” di Trittico, Scala di seta, Vedova allegra, Così fan tutte, Falstaff, Cavalleria e Pagliacci, Un ballo in maschera, Madama Butterfly, Barbiere di Siviglia (quello almodovaraiano) resta insuperabile.
C’è la concretezza di una scena bellissima di Paolo Fantin, dei costumi pacchiani da italiano medio (anche se siamo in Spagna il gusto è quello… perché i due popoli non sono cosi diversi e non è così diverso nemmeno quello tedesco) di Silvia Aymonino. C’è la durezza della vita di Nemorino bagnino bullizzato dai turisti da spiaggia che si scattano selfie con Adina, che fanno a gara per spalmarle la crema, che si trasformano in spogliarellisti per una festa di matrimonio dal sapore cafonal… Ma c’è anche la poesia… poesia felliniana (evocata dalle luci di Alessandro Carletti) dei due anziani che aprono lo spettacolo… di Nemorino che canta la Furtiva lagrima sul tetto del bar, strappando lo striscione «Adina e Belcore forever»… del bagno di Giannetta e delle ragazze nella schiuma di cui si riempie l’enorme torta gonfiabile che domina la festa di matrimonio tra Adina e il marinaio Belcore, certo eccessivo e cafone, nella Barcarola fetish di Dulcamara con i “senatori” spogliarellisti… «La Nina gondoliera e il senator tre denti» è un gioco sottilmente erotico che Dulcamara fa fare ad Adina, come se fosse il suo addio al nubilato. Poesia di una torta – strano a dirsi trattandosi di plastica che Greta Thunberg condannerebbe senza appello – che con un bell’effetto si gonfia a vista sulla musica che apre il secondo atto (si sgonfierà, mestamente, alla fine quando il carnevale del finto matrimonio è finito e torna la vita quotidiana della spiaggia) garantendo l’applauso a scena aperta. Un vortice di immagini, un’invenzione continua, scene e controscene per ricreare, in teatro, tutto ciò che capita in spiaggia.
Concretezza e poesia. Che ci sono, ben dosate e perfettamente impastate, nella lettura musicale, spigliata e dal passo teatrale veloce di Matteo Beltrami. Italiano non solo nella carta di identità, ma anche nel gusto, nell’accompagnamento, nel racconto musicale fatto con un’orchestra tedesca nel profondo dell’anima, la Gurzenich-Orchester di Colonia che sa restituire il belcanto orchestrale di Donizetti con archi compatti, soli impeccabili e affondi che si illuminano di sole. Beltrami stacca tempi spicci, un Elisir frenetico quello del direttore genovese, affamato di vita – come i vitelloni da spiaggia e dunque in sincro perfetto con lo spettacolo di Michieletto – un Elisir che è tutto un precipitare verso la «risata final», liberatoria per alcuni, amara per altri. Intrisa di quella malinconia che abbiamo respirato appassionandoci alla storia di Nemorino. Che ti conquista con la sua tenerezza, ti fa tifare da subito per lui. Perché ad Adina, almeno a questa Adina in minigonna di pailettes che legge la storia di Tristano su una rivista di gossip, non riesci a credere davvero. Forse perché «la donna è un animale stravagante davvero», come dice Belcore, marinaio che alla fine non fa una bella fine. Colpa di Dulcamara. Ma non diciamo di più… Beltrami sbalza bene i ritratti di questa varia umanità (fotografata a meraviglia da Michieletto) grazie alla Gurzenich – sistemata di lato, “fuori scena”, non la vedi ma la senti molto bene, presente, presentissima in un’esecuzione che è un triplo salto mortale senza rete (o meglio la rete, la professionalità, c’è…) per tutti, direttore, musicisti e cantanti che vedono il podio dai monitor (lo impone la logistica dello Staatenhaus e pazienza se a volte il coro scappa via, come nel millimetrico finale del primo atto).
Triplo salto mortale che riesce bene. Wunderbar. Riesce bene a Kathrin Zukowski, un’Adina lirica, tutta concentrata in un canto limpido che sale in alto. Perché il soprano tedesco, voce dell’ensemble dell’Oper Köln, snocciola acuti fuori ordinanza, li lancia come frecce che fanno centro e fanno scattare l’applauso. Buona la prima per Kathrin Zukowski, al debutto nel ruolo di Adina, personaggio che non potrà che crescere vocalmente nel tempo (e già lo sta facendo nel corso delle molte repliche in cartellone), mentre è già azzeccato (secondo la visione di Michieletto) per questo Elisir balneare che racconta storie comuni di gente comune. Come lo è Dulcamare, omuncolo che cerca di darsi un tono, ma in fondo è solo uno spacciatore di sogni, che siano d’amore o di morte poco importa. Dulcamare al quale offre la sua intelligenza musicale Omar Montanari, che scolpisse ogni parola dandole il peso che la lingua italiana le conferisce. Rivestendola di musica, restituendola (la parola e la scrittura belcantistica, ma non solo, donizettiana) in un canto che ha la sapienza antica e insuperata della scuola italiana, ma si colora di una modernità che conquista e cattura. Nelle file dell’ensemble dell’Oper Köln milita anche Insik Choi, voce incredibile (pensate ad Amartuvshin Enkhbat che fa pensare a Piero Cappuccilli ed Ettore Bastianini… ecco Choi, stesso fascino, stessa solidità…) che si modella sul belcanto di Donizetti (lo stile è impeccabile) per un Belcore meno spaccone del solito, musicalissimo e ammiccante, impunito, ma alla fine (ingiustamente) punito. Nuova, nella compagnia di Colonia, è invece Maya Gour, Giannetta risoluta e presentissima, voce tagliente e penetrante, presenza scenica da attrice consumata, ben calata nei panni della “coatta” da spiaggia.
E poi c’è Nemorino. Uno dei ruoli “da tenore”. Sì, ma quale “tenore”? Uno tutto trasparenze e leggerezze, alla Jussi Biörling? In Germania forse lo pensano così, così come pensano a voci “piccole” per Mozart. In realtà Nemorino, che raccoglie è vero tutta l’eredità rossiniuana, ha già in sé il germe dei grandi tenori verdiani (non alla Otello, per intenderci), ma all’Alfredo, alla Duca.. alla Manrico. E ha dunque bisogno di “voci”. Solide. Con le agilità, le colorature, ma anche gli slanci eroici. Matteo Roma le ha. Secondo cast, il tenore italiano, al debutto nel ruolo e al debutto sul palco di Colonia. Dove per la prima di Elisir è salita un’altra voce dell’ensemble, quella di Dmitry Ivanchey. Nemorino corretto, affidabile grazie ad una voce educata e ad una tecnica puntuale, quello disegnato dal tenore russo che colora con mano decisa il personaggio rendendolo a volte più maschera che persona, come tanti Nemorini che conosciamo. Che non sono, forse, il Nemorino che vorrebbe Michieletto. Ma alla fine gli applausi del pubblico di casa non mancano. Come non mancano per nessuno. Nemmeno per i due direttori del coro Rustam Samedov e Luca Marcossi (italiano, che nella vita è il marito di Kathrin Zukowski) anche loro in scena in costume da bagno, camicia hawaiana, infradito e cappello di paglia.
Ah… che fine ha fatto il marsupio pieno di pillole di Dulcamara? Chiedete a Belcore. Lo trovate ammanettato, in commissariato.
Nelle foto @Matthias Jung L’elisir d’amore all’Oper Köln