La direttrice d’orchestra australiana e la pianista cinese chiudono la stagione sinfonica del Piermarini
Potrebbe essere un Cantico delle creature – e se ci metti sotto le parole dell’inno di Francesco, dividendolo in dieci parti, una per ciascun “quadro” della Sinfonia, vedi che funziona alla perfezione – potrebbe essere un Cantico delle creature in musica la Turangalîla-Symphonie di Olivier Messiaen. Quel Messiaen che al Santo di Assisi ha dedicato una vita e il suo capolavoro estremo, monumento ai limiti dell’eseguibilità – il Teatro alla Scala aveva un progetto con Esa-Pekka Salonen poi sfumato e mai più riprogrammato, purtroppo –, il Saint François d’Assise. «Scene francescane» le definì il compositore francese. Come «scene» sono quelle della Turangalîla-Symphonie, altro monumento musicale di Messiaen, datato 1949 – la composizione avvenne tra il luglio del 1946 e il novembre del 1948 – la data della prima a Boston della partitura, commissionata a Messiaen da Serge Koussevitzky per la Boston symphony che la eseguì con la bacchetta di Leonard Bernstein. Scene di un grande «inno alla gioia» come lo pensò Messiaen che definiva «della gioia sovrumana, impetuosa, abbagliante e sfrenata» la sua Turangalîla, termine sanscrito che unisce turanga, movimento e ritmo, tempo che scorre, e lîla, gioco, azione di dio sul cosmo, dunque creazione, ma anche gioco di distruzione, amore e morte.
Così la Turangalîla è tutto questo. Cosmogonia e genesi, amore e morte in un giudizio universale michelangiolesco detto in musica – ma senza il terrore, senza la paura tipica dei novissimi – che come in un vortice di note ruota intorno al gesto di Cristo (quello della pala della Sistina) e rimanda alla mano di Dio e alla mano di Adamo (sulla volta della cappella vaticana). alla creazione. Cantico delle creature in musica la Turangalîla-Symphonie risuonata al Teatro alla Scala, ultimo appuntamento della stagione sinfonica del Pieramrini – che si era aperta con un’altra vertigine musicale, quella della Terza di Mahler e il suo celestiale «bim… bam…», proponendo poi l’Ottava del compositore austriaco, altra pagina che guarda in alto, «Blichet auf» l’invito del Pater Marianus.
Turangalîla-Symphonie restituita in tutta la sua bellezza scapigliata e spirituale, di quella spiritualità gioiosa e solare, francescana, e non ripiegata su se stessa da Simone Young, che, a Milano per le prove del prossimo Peter Grimes di Britten, ha raccolto il testimone del previsto (ma indisposto) Zubin Mehta. Esaltata dalla fantasia senza freni di Yuja Wang, tecnica mozzafiato, interpretazione tutta genio e sregolatezza (come il suo look accolto da un «oohh…» del pubblico scaligero, «bravissima, ma un po’ azzardato…» la frase più gettonata: abito arancione sghembo, finto nude look sul corpetto, minigonna mozzafiato, tacco vertiginoso – e come fa a regolare il pedale lo sa solo lei…) per la scrittura che spinge il virtuosismo sempre più in la. Avvolta da un’atmosfera psichedelica dalle onde Martenot del sintetizzatore elettronico di Cécile Lartigau (sobrietà francese nella tuta nera e nel foulard al collo, contraltare dell’esuberanza della Wang). Tre donne per Messiaen. La composta Lartigau, la fenomenale Wang e la trascinante Young, salita senza pensarci due volte sul podio e capace di trascinare una Filarmonica della Scala in forma smagliante in una lettura serrata della pagina di Messiaen, che è tutta un gioco di rimandi a Ravel e a Debussy e a Stravinskij e a Gershwin (ma nel pianoforte ci senti alche il Richard Strauss del Rosenkavalier), summa della musica francese, ma anche passo in più, tra echi etnici (Messiaen non nasconde l’ispirazione orientaleggiante) e atmosfere jazz.
C’è tutto questo nella lettura appassionata della direttrice australiana che tiene insieme, conferendo unità, tutte le suggestioni di Messiaen, perennemente in bilico tra trionfalismo e ripiegamento intimo. Simone Young ci tira dentro le spirali concentriche di Messiaen. Nello stesso modo e con lo stesso carisma impresso alla Sinfonia n. 38 in re maggiore Praga di Wolfgang Amadeus Mozart, curiosa e inedita prima parte del concerto. Preludio “di morte” all’annuncio di rinascita e ri-creazione della Turangalîla-Symphonie. Perché nella Parga c’è tutta la giocosa drammaticità e la terribile leggerezza del Don Giovanni, c’è il destino che insegue, c’è la fame di vita (e di amore) e c’è la sfida di un uomo che vuole essere tale fino in fondo, anche a costo di stringere la mano alla morte. Bellissimo il Mozart della Young, corposo (l’organico è lo stesso della Turangalîla con dodici primi violini), ma capace di farsi trasparente e volatile. Di lasciare le atmosfere di morte per colorarsi di vita. E di gioia. La stessa di cui trabocca Messiaen.
Nella foto @Sandrah Steh Simone Young
Nella foto @Manuela Jans Lucerne Festival Yuja Wang