Allo Sferistreio l’opera di Donizetti diretta da Bernàcer Palco vuoto e scene ricreate dai video nella regia di Grinda Sul palco Iniesta e Korchak, Davide Luciano ottimo Enrico
Una Lucia in pantaloni. Pantaloni neri, di velluto, infilati negli stivali. Giacca e camicia di taglio inequivocabilmente maschile. Taglio e stile tipicamente ottocentesco – non quello del «declinare del secolo XVI» indicato nel libretto di Salvatore Cammarano. Capelli raccolti. Una Lucia risoluta. Decisa. Per nulla donna sottomessa alla politica, ma tenace artefice del suo destino. Fin che ci riesce. Fin che il destino, altro da quello che lei voleva costruire, le piomberà inevitabilmente addosso, imprigionandola, come in una camicia di forza, in un abito da sposa. Immagine potente che Jean-Louis Grinda mette nella sua Lucia di Lammermoor.
La Lucia di Gaetano Donizetti, terzo titolo dell’edizione 2023, la numero cinquantanove (già annunciato il sessantesimo cartellone, tutto pucciniano), del Macerata opera festival. Lucia butta in faccia al fratello Enrico il suo amore (e la sua promessa d’amore) per Edgardo. Ma lui non ci sente, Lucia deve sposare Arturo, per la ragion di stato, per salvarli dal precipizio perché hanno scelto la parte politica sbagliata. Lei prova a ribellarsi. Ma non ce la fa. Arriva il vestito da sposa. E in quella camicia di forza Lucia morirà. Immagine potente. Immagine eloquente della Lucia di Grinda (direttore della Chorégeries d’Oragne che coproduce l’allestimento con Macerata).
Una Lucia fatta di niente. Vuoto il palco in cinemascope dello Sferisterio. Solo una distesa di sabbia. Sulla quale, sulle note del preludio, si infrange il mare. Un mare agitato, alla Turner. Prende forma dal nulla, invade il grande muro di mattoni. Ti porta dentro la storia. Ti porta su quella spiaggia. E l’effetto è assicurato. Bellissimo. Effetto di luce, perché quel mare (e poi la cascata, gli arazzi, la torre…) prende forma grazie al video di Étienne Guiol. Video di ottima fattura, curatissimi – e di video abbozzati, tirati via se ne vedono in abbondanza… perché si pensa che due immagini possano risolvere un allestimento. Video che descrivono, dipingono una scena, ma che sono anche drammaturgici nel restituire oltre ai paesaggi i sentimenti dei personaggi che quei paesaggi raccontano. Pochi elementi di scena (di Roudy Sabounghi mentre i bei costumi li firma Jorge Jara), un tavolo, alcune lance, le lapidi delle «tombe degli avi miei». Tutti sulla spiaggia. Sabbia sulla quale scrivere una storia che il mare con le sue onde può cancellare improvvisamente. E in quel mare si getta Edgardo, alla fine, dopo che ha saputo della morte di Lucia.
Racconto gotico immaginato da Grinda come un lungo piano sequenza – e il palco dello Sferisterio suggerisce sempre questo taglio cinematografico. Che funzione per questa Lucia “raccontata” in musica da Jordi Bernàcer sul podio della Filarmonica marchigiana (buona, come sempre, la prova del Coro lirico marchigiano Bellini diretto da Martino Faggiani). Sul leggio l’edizione critica e pressoché integrale (e anche la scena che segue la celeberrima pazzia in cui Raimondo mostra a Normanno il risultato del suo seminare zizzania) della partitura che arriva nella sua bellezza e visionarietà (c’è anche la glassarmonica per la scena della pazzia) grazie alla direzione tesa e puntuale di Bernàcer.
Lucia, una Lucia in potenza (che lascia intuire ciò che potrà diventare, ma che non è ancora), di temperamento, ma vocalmente con molti margini di crescita, è Ruth Iniesta. Dmitry Korchak, Edgardo in kilt, ha lo squillo luminoso, il colore trasparente di sempre, ma con sorprendenti e inaspettate screziature che emozionano. Davide Luciano, voce bellissima, canto sempre facile modellato sulla parola, è il migliore in campo. Un belcanto mai fine a se stesso il suo, ma sempre drammaturgico e narrativo. Conferma, questo Enrico che vince su tutti (per Luciano gli applausi più convinti), della statura artistica del baritono, musicista intelligente, attore sempre convincente che lascia il segno, specie in una Lucia fatta di niente, con una recitazione misuratissima e moderna. Mirco Palazzi, non nella forma di sempre, è un Raimondo un po’ defilato. Puntuali e incisive le prove di Natalia Gavrilan (Alisa) e Paolo Antognetti (Arturo), meno quella di Gianluca Sorrentino (Normanno).
Nelle foto @Marilena Imbrescia Lucia di Lammermoor allo Sferisterio di Macerata
Recensione pubblicata in parte su Avvenire del 18 agosto 2023