Diario rossiniano 2023/1
Il direttore inaugura il Rof 2023 con Eduardo e Cristina partitura in prima esecuzione italiana in tempi moderni Edizione critica e regia/installazione di Stefno Poda
«Incredibile dirigere nel 2023 una prima assoluta di Gioachino Rossini». Una prima assoluta. O quasi. Perché Eduardo e Cristina che l’11 agosto inaugura l’edizione numero quarantaquattro del Rossini opera festival di Pesaro si ascolterà in prima italiana in tempi moderni – dopo il debutto al Teatro San Benedetto di Venezia il 24 aprile 1819 il dramma circolò sino al 1840 e poi sparì, ricomparendo fugacemente in Germania, al Festival Rossini di Wildbad, nel 1997 e nel 2017 – e soprattutto si ascolterà per la prima volta in assoluto in edizione critica, curata da Alice Altavilla e Andrea Malnati per la fondazione Rossini. «Titolo che chiude il lungo lavoro del Rof, iniziato nel 1980, di presentare tutte le opere di Rossini in edizione critica» dice Jader Bignamini che sarà sul podio dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai per il titolo inaugurale del Rof 2023 – si inaugura l’11 agosto con Eduardo e Cristina (diretta su Radio3 e prima serata su Rai5 alle 21.15) e sino al 23 agosto si ascoltano Aureliano in Palmira diretta da George Petrou con la regia di Mario Martone, Adelaide di Borgogna diretta da Francesco Lanzillotta con la regia di Arnaud Bernard. E poi Il viaggio a Reims con i giovani dell’Accademia, concerti di canto di canto (tra gli altri quello di Rosa Feola e quello di Anastasia Bartoli, accompagnata al piano dalla mamma Cecilia Gasdia), la Cantata per Maria Malibran diretta da Diego Ceretta, la Cantata in onore di Pio IX diretta da Christopher Franklin e la Petite messe solennelle che chiude il cartellone con la bacchetta di Michele Mariotti. Una regia che è un’installazione quella di Stefano Poda che firma regia, scene, costumi, luci e coreografie di Eduardo e Cristina. Daniela Barcellona è Eduardo, Anastasia Bartoli è Cristina, Enea Scala Re Carlo. «Una storia ambientata in Svezia – racconta Bignamini, nato a Crema, classe 1976, direttore musicale della Detroit symphony orchestra – storia di amori e figli tenuti nascosti che sfiora il dramma, ma che si risolve poi in un lieto fine».
Che effetto fa, Jader Bignamini, dirigere un’opera di Rossini in prima assoluta?
Uno strano effetto. Perché è una bella sfida quella di far ascoltare per la prima volta al pubblico un’opera del 1819. Ma è anche un grande opportunità perché nel lungo lavoro di preparazione ho potuto confrontarmi con i musicologi che hanno curato l’edizione critica, lavorare sui tempi, sui colori, sugli strumenti e sulle voci. Un bagaglio che mi sono portato in prova dove abbiamo lavorato di cesello.
Un’opera che si ascolta per la prima volta, ma che non apparirà così nuova… molte le melodie conosciute…
Eduardo è Cristina, come altre opere di Rossini, è una partitura con molti autoimprestiti, pagine che il compositore prende e ricicla da Ermione, Ricciardo e Zoraide, Mosè in Egitto, Adelaide di Borgogna – e tra l’altro si potrà fare un confronto diretto dato che Adelaide è uno dei tre titoli del Rof 2023. Melodie tragiche o buffe vengono riadattate per la nuova storia e assumono un carattere, un colore diverso. Lavorare sull’edizione critica mi ha aiutato a mettere a fuoco questo. Ed è servito moltissimo anche il confronto con Poda, un regista intelligente che mette la musica in primo piano e segue sempre i tempi della musica quindi ciò che succede sul palco è in sintonia con quello che raccontiamo in orchestra. Eduardo è un’opera drammatica con un lieto fine. Si passa attraverso momenti diversi di dramma, di terrore, di battaglia con un’orchestra che diventa virtuosistica. E anche i cantanti hanno parti davvero virtuosistiche. Con loro abbiamo creato le variazioni ex novo, un lavoro che ha richiesto tempo, ma davvero entusiasmante.
Perché è importante avere sul leggio l’edizione critica della partitura?
Si può lavorare in dettaglio sul testo originale che viene offerto a noi esecutori in purezza per riproporlo come se fosse eseguito per la prima volta. Certo se si conosce la prassi esecutiva di Rossini, che qui alla Rof è sempre messa al centro del lavoro, si può costruire e provare ad avvicinarsi all’interpretazione originale che avevano sentito gli ascoltatori della prima. A questo contribuiscono strumenti originali che Rossini volle inserire in partitura, il tamburlan, simile a un tamburo militare, poi una banda turca con suoni metallici per ricreare le atmosfere della battaglia.
Sul palco una sorta di installazione, più che una regia.
Con Poda ci siamo confrontati a lungo, già mesi prima dall’inizio delle prove: mi ha sempre chiesto che tempi avrei fatto, che colori avrei scelto in questo o in quel passaggio per costruire la sua regia, che è una grande coreografia, con effetti visivi e uditivi. La definirei una regia estemporanea perché non ambienta la vicenda in nessuna epoca precisa, ma in un’epoca ideale e ogni spettatore potrà immaginarla nell’epoca che più preferisce.
Per lei terza volta al Rof, con un titolo che chiude le riscoperte rossiniane. Ma dobbiamo “scoprire” ancora qualcosa del compositore di Pesaro?
Terza volta sul podio, dopo Ciro in Babilonia e uno Stabat Mater, ma ho una frequentazione assidua del Rof da quando ero clarinetto nell’orchestra del Comunale di Bologna. Non so se c’è ancora qualcosa da riscoprire, c’è sicuramente da tenere viva l’attenzione e la prassi esecutiva di questo repertorio. Come si suonano Mozart e Beethoven è una cosa nota. La prassi di Rossini è conosciuta dagli addetti ai lavori e dai frequentatori del festival. Il nostro compito è quello di cercare non solo di farla rivivere qui a Pesaro, ma di esportarla e di farla conoscere in tutto il mondo perché quest’autore sia eseguito e servito a dovere.
Da clarinettista a direttore. Tornerebbe indietro?
Ho dato l’addio al clarinetto del 2011 anche se ho iniziato a dirigere già 19 anni. Prima dirigevo piccoli gruppi poi quando ho diretto un’orchestra ho capito che quello era ciò che mi completava davvero come musicista e mi dava molte più soddisfazioni di quelle che avevo quando suonavo. Così ho deciso. Non tornerei indietro anche se ogni tanto suono il clarinetto in famiglia, con mia moglie e i miei due figli, tutti musicisti. Suonare il clarinetto è stato una parte della mia vita, importante anche per capire quello che faccio ora e per cogliere al volo gli stimoli e le richieste che mi arrivano dall’orchestra
Quali autori predilige?
Dirigo molto sinfonico. Ma come italiano mi chiamano per il melodramma. Nell’opera sicuramente amo Rossini è il bel canto, ma anche Verdi e Puccini che ho diretto molto. E poi il verismo, sono affezionato ad Andrea Chenièr, l’opera del mio debutto. Nel repertorio sinfonico amo i grandi organici penso all’ Alpensymphonie di Strauss o alla Resurrezione di Mahler che sono i miei brani preferiti. A Detroit, dove sono bravissimi e preparatissimi, ho l’opportunità di dirigere un repertorio vastissimo.
Direttore musicale di una delle grandi orchestre statunitensi… vale il detto Nemo profeta in patria?
Non direi. Sono orgoglioso di essere un italiano negli Stati Uniti, musicista che guida una grande orchestra insieme ad altri tre direttori, il maestro per eccellenza, Riccardo Muti e poi Gianandrea Noseda e Fabio Luisi. Ma quando torno in Italia mi sento riconosciuto e valorizzato. Come al Rof.
Nelle foto Jader Bignamini (@Stefano Buldrini)
Eduardo e Cristina (@Amati e Bacciardi) al Rossini opera festival