Il regista francese apre il Festival Puccini di Torre del Lago portando Mimì ai tempi della contestazione studentesca Vigilia di polemiche con Sgarbi che accusa: Tradito Puccini
D’accordo che a scatenarlo è stato uno abituato a fare della polemica la sua cifra distintiva. Ma il caso sollevato da Vittorio Sgarbi, nel suo ruolo di sottosegretario alla Cultura, ha scosso la vigilia dell’inaugurazione del Festival Puccini di Torre del Lago. Diventando un caso politico. «Farò di tutto per impedire che venga rappresentata una Bohème ambientata nel 1968» ha tuonato Sgarbi di fronte alla notizia che sul palcoscenico sul Lago di Massaciuccoli il regista francese Christophe Gayral trasporta le vicende di Mimì e Rodolfo nella Parigi della contestazione giovanile. Ma l’intento di Sgarbi non è andato a segno. Perché venerdì 14 luglio il cartellone numero sessantanove del festival pucciniano si inaugura proprio con la Bohème sessantottina di Gayral; cantano Claudia Pavone (Mimì), Oreste Cosimo (Rodolfi), Federica Guida (Musetta) e Alessandro Luongo (Marcello), dirige Alberto Veronesi. E poi, sino al 26 agosto, Turandot diretta da Robert Trevino con la regia di Daniele Abbado, Madama Butterfly con la bacchetta di Francesco Cilluffo e la regia di Pier Luigi Pizzi e il dittico Tabarro e Il Castello del duca Barbablù (visto a Roma in aprile) diretto da Michele Gamba con la regia di Johannes Erath. «Il teatro è libero. E tale deve restare – dice, rispondendo a Sgarbi, il regista –. E poi il 1968 calza a pennello alla vicenda messa in musica da Puccini perché è stato un momento emblematico della storia in cui i giovani, che erano giovani come Rodolfo e i suoi amici, musicisti, filosofi e pittori, hanno voluto credere in nuovi ideali e nuovi valori».
Solo per questo, Christophe Gayral, ha voluto ambientare la sua versione della Bohème tra le contestazioni del 1968?
«Il desiderio era di offrire una Bohème contemporanea, con una nuova visione che parli a tutti, pur rispettando la storia e i personaggi. I giovani del Sessantotto, come quelli di oggi, cercavano certezze per il loro futuro. Ed è questo il messaggio che vorrei dare con questa mia lettura di uno dei capolavori di Puccini che ha la capacità, dal 1896, di toccare il cuore, sia che Mimì sia vestita in abiti broccati o in minigonna. Tutti sappiamo che il 1968 è stato un momento in cui do gruppi di persone, in particolare artisti, hanno ripensato alla società per provare a costruire un mondo migliore: è accaduto in Italia, Grecia, Germania, Messico e, naturalmente, anche in Francia, in particolare a Parigi che, con i fatti del maggio 1968 è diventata uno dei simboli di questi cambiamenti sociali. Il Sessantotto mi è sembrato il contesto ideale anche perché le vicende della Bohème si inseriscono già in un quadro politico, la rivoluzione del 1830, Les Trois Glorieuses della Francia, e i nostri bohemien sono artisti che mettono in discussione la società in cui vivono. E se andiamo alle radici del libretto, il romanzo di Henri Murger, è chiaro il valore di denuncia sociale di una vicenda che mostra classi chiaramente differenti, che non si integrano, poveri artisti, borghesi, venditori ambulanti e operai… ».
Il sapore è quello di un film alla Ken Loach..
«Vengo da una formazione teatrale, e per me il testo di un libretto, anche se a volte ha delle incongruenze, è la base su cui costruire una proposta drammaturgica coerente. Ho deciso di affidarmi anche qui a quello che racconta il testo, seguendo le vite esaltate, amorose, gioiose e drammatiche di questo gruppo di ragazzi. Dove irrompe a un certo punto la morte con tutto il suo carico di dolore. E questo dramma è tutto nella musica struggente di Puccini, non è necessario altro».
Cosa dovremmo portarci a casa noi spettatori del 2023 dopo aver visto (ancora una volta) quest’opera datata 1896?
«Il tema della giovinezza è universale e dunque, da sempre, quest’opera parla a tutti. Puccini, attraverso la sua musica, ci racconta l’esaltazione della giovinezza di fronte alla vita, il carpe diem come filosofia e quindi la tendenza a non preoccuparsi del futuro. Certo, rispetto all’Ottocento della vicenda e a quello degli anni in cui il musicista compose l’opera, oggi i tempi sono un po’ diversi e i giovani sembrano molto più preoccupati per il futuro tra guerre, cambiamenti climatici, migrazioni…».
Infatti i giovani tornano a manifestare, come nel Sessantotto…
«La storia (e la cultura) sono fondamentali per un popolo. Occorre dirlo e ribadirlo, oggi come ieri. Certo quei giorni sono ormai lontani, ma le domande poste dalla contestazione giovanile in un certo senso sono ancora senza risposte e dunque vediamo persone di tutti i ceti sociali che fanno richieste e avanzare nuove idee per le nostre società. A me piace farlo attraverso il teatro».
Dopo molti anni come attore di prosa ha deciso di diventare regista. Cosa l’ha spinta a questo salto?
«Ho lavorato molto nel teatro, ma quando sei un attore aspetti troppo a lungo sul tuo divano che qualcuno ti chiami per mettere in scena un nuovo spettacolo. Così capita che ad un certo punto prendi in mano la tua vita, smetti di aspettare e fai i tuoi progetti. Così ho fatto io. Ora ho lasciato la recitazione per la regia perché volevo essere responsabile di progetti artistici dall’inizio alla fine. Un lavoro che occupa tutto il mio tempo, molto più impegnativo, più difficile che fare solo l’attore, ma intellettualmente più creativo e stimolante. E anche facendo lirica faccio teatro, perché per me l’opera è teatro cantato. Il mito del prima la musica e dopo le parole è un errore: l’opera è un tutto. Ho totale rispetto per la musica e per le parole del libretto, ma musica e teatro sono complementari e devono lavorare insieme altrimenti mancherà sempre qualcosa».
Ha diretto diverse opere barocche, Mozart e ora tocca a Puccini.
«Ho scoperto l’opera di Puccini molto tempo fa, ero già stato nelle sue terre e avevo visto una Madama Butterfly a Torre del Lago quando ero molto giovane. E ho amato da subito questo autore, la sua teatralità, il romanticismo che c’è nelle sue partiture, il linguaggio musicale che è un linguaggio per tutti».
Ha lavorato con molti grandi registi sia come attore di prosa che come assistente nella lirica, c’è qualcuno che la ispira nel suo lavoro?
«Ogni esperienza è stata unica per me perché ho avuto la possibilità di lavorare con persone e mondi molto diversi: collaborare con Sting o con i burattinai nelle baraccopoli di Delhi in India hanno segnato indelebilmente il mio modo di fare teatro, la diversità significa apertura e quindi arricchimento».
Nelle foto Christophe Gayral e La Bohéme al Festival Puccini di Torre del Lago
Intervista pubblicata su Avvenire del 14 luglio 2023