Il violinista apre il quarantesimo Festival di Portogruaro mettendo sul leggio i grandi classici che suona da sempre «Vorrei andare in Ucraina e in Russia con il mio violino perché la pace non si fa con le armi, ma creando armonia»
«Ho suonato molte volte a Kiev. E anche a Mosca. Un pubblico attento, competente. Figlio di una grande cultura: il violinista David Ojstrach è nato ad Odessa, il pianista Vladimir Horowitz a Kiev, il violoncellista Mstislav Rostropovic si è formato a Mosca. Ed è straziante vedere che oggi queste persone, discendenti di una grande tradizione musicale, si fanno la guerra». Uto Ughi guarda con preoccupazione al conflitto in Ucraina, iniziato sei mesi fa. «Sono convinto che la pace si ottiene non mandando armi, ma incontrandosi e negoziando. Dialogando. Come si fa in musica. Per trovare un’armonia» riflette il violinista, classe 1944, da Portogruaro dove il 26 agosto inaugura l’edizione 2022, la numero quaranta, del Festival internazionale di musica. Specchi il titolo del cartellone che Ughi apre proponendo Geminiani, Vitali, Bach, Boccherini, Kreisler e Saint-Saëns con I virtuosi italiani diretti da Alberto Martini. «Papa Francesco vuole andare a Kiev e Mosca, per portare il suo messaggio di pace. Giustissimo. Io – dice il violinista – potrei farlo con la musica: se mi invitassero non esiterei un attimo ad andare in Ucraina e in Russia per portare con il mio violino il messaggio universale della musica con i grandi classici».
Classici, Uto Ughi, che ha sul leggio anche nel concerto che apre il Festival di Portogruaro…
«Sì, perché la musica, la vera musica solleva lo spirito dagli affanni del presente ed è sempre un balsamo straordinario per l’anima, anche nei momenti più difficili e bui. Poi la musica è una scuola di vita e i giovani che vengono educati alla musica hanno una spiccata sensibilità, attenti al bello e allo spirito».
Bach, Boccherini, Kreisler e Saint-Saëns nel programma del concerto. Cosa prova quando suona ancora una volta i grandi capolavori della musica?
«Il rischio della routine è sempre in agguato, non lo nego. Ma la musica deve essere sempre ricerca, interpretazione. Ci sono molte vie per arrivare alla verità e occorre percorrerle tutte. Io ho avuto la fortuna di farlo con i grandi musicisti con i quali ho affrontato di tutto. C’è chi per amore di perfezione fa sempre le stesse cose, le ripete all’infinito. Io non sono così, tanto più che il repertorio è talmente vasto che non basta una vita per suonare tutto».
C’è qualcosa di nuovo che le grandi pagine sanno comunicare ogni volta?
«L’arte, la musica in particolare, è condivisione tra chi crea e chi fruisce. C’è una compartecipazione con il pubblico che è diversa e unica ad ogni concerto. La ricerca continua di questa intesa, che è spirituale, ci fa trovare sempre qualcosa di nuovo, fa risuonare come nuove le pagine che conosciamo da sempre. Cicerone diceva: se un uomo potesse innalzarsi a vedere la bellezza dell’universo, ma non avesse con chi condividerla non servirebbe a nulla. La bellezza della musica va condivisa. Lo sento dove c’è pubblico di grande tradizione come a Vienna, Berlino, Amsterdam dove chi ascolta quasi respira con l’interprete, ma lo avverto anche quando suono davanti a chi sa poco di musica e si appassiona subito a ciò che ascolta».
Quando non suona il violino cosa ascolta?
«Musica classica. Guardo cosa ho in casa e ascolto. L’era del disco è stata una cosa meravigliosa per consegnarci le grandi interpretazioni che altrimenti conosceremmo solo attraverso le testimonianze scritte di altri. E poi mi riascolto per cercare pregi difetti delle mie interpretazioni. Mi chiedo: perché ho fatto questo? La creatività non è mai uguale, ma è ricerca, confronto continuo con se stessi».
E la musica leggera?
«Ho un rapporto leggero con la musica leggera. Mi piacciono i cantautori. Tutti i generi sono degni, ma oggi si dà troppo spazio a certa musica, penso alla trap. Nelle scuole, poi, non si insegna la musica classica come si dovrebbe. Io avuto la fortuna di conoscere grandi educatori della musica come José Antonio Abreu che in Venezuela ha fatto della musica un’occasione di riscatto sociale. Il nostro sistema educativo dovrebbe fare propria questa lezione».
Un messaggio politico. Tra un mese si vota. Ha mai pensato di candidarsi?
«La tentazione c’è, ma per un musicista entrare in politica è sbagliato perché l’arte non è né di destra né di sinistra. È universale. Mi candido invece per dare una mano alla cultura, da musicista».
Fa mai un bilancio della sua vita?
«Penso che gli anni che abbiamo davanti siano i migliori perché si deve fare tesoro delle esperienze. Lo penso anche alla mia età – i prossini saranno 79 anni. I grandi che ho conosciuto e con i quali ho fatto musica sono stati una fonte unica di energia creativa. Non solo musicisti, ma anche scrittori e artisti in generale. E ho avuto la fortuna di conoscere figure straordinarie come madre Teresa di Calcutta o Giovanni Paolo II. Qualche tempo fa, poi, ho letto che Papa Francesco era andato in un negozio a comprare alcuni dischi e aveva scelto autori e interpreti che piacciono anche a me, Ludwig van Beethoven, la pianista rumena Clara Haskil, il direttore tedesco Wilhelm Furtwängler. Così ho pensato di mandargli il mio disco con le Sonate per violino di Beethoven e lui mi ha risposto subito con una lettera carica di affetto che conservo gelosamente».
Da Ughi alla Scala, la grande musica a Portogruaro
Si apre venerdì 26 agosto con il concerto di Uto Ughi con I virtuosi italiani l’edizione numero quaranta del Festival internazionale di musica di Portogruaro. Un cartellone, disegnato dal direttore artistico Alessandro Taverna, intitolato Specchi che sino al 9 settembre (molti gli appuntamenti ad ingresso libero) vede arrivare nella cittadina in provincia di Venezia, tra gli altri, il Trio di Parma, la violinista Francesca Dego, la Filarmonica della Scala diretta da Robert Trevino, il pianista Boris Petrushansky, il Quintetto di fiati di Santa Cecilia e la Filarmonica slovena diretta da Michele Gamba. Il programma cliccando qui sul sito del Festival di Portogruaro
Intrevista pubblicata su Avvenire del 26 agosto 2022