Allo Sferisterio Rossini con la regia di Daniele Menghini vincitore del concorso del 2020 per team artistici under 35 Spettacolo ambientato in uno studio tv tra reality e soap Dirige Bonato, cantano Luongo, Malfi, Gatin e De Candia
Bartolo è un produttore tv che compare nella televendita di un prodotto per l’igiene e si improvvisa chirurgo estetico in un reality di quelli che ti cambiano il look. Rosina un personaggio del piccolo schermo, rinchiusa in una casa da Bartolo, una sorta di concorrente di un Grande fratello per trovarle marito, reality condotto da Figaro, presentatore del programma F*ck Totum. Almaviva un politico a caccia di avventure con la velina di turno, che sniffa coca, sempre scortato da guardie del corpo. Basilio un presentatore senza scrupoli di certa tv del dolore che guarda solo allo share. Gioachino Rossini finisce in tv. E diventa nostro contemporaneo. E dopo un Otello che a Pesaro Rosetta Cucchi fa diventare un reportage di cronaca che racconta di un femminicidio, a Macearata, dall’altra parte delle Marche, a 120 chilometri dalla città natale del compositore, la contemporaneità di Rossini è quella del trash televisivo, andata in scena sul palco dello Sferisterio di Macerata per il terzo titolo lirico del Macerata opera festival 2022, edizione numero 58.
Un trash che più trash non si può (d’accordo, citato tra virgolette, ma pur sempre trash con quell’effetto disturbante che certa tv provoca) quello messo da Daniele Menghini ne Il barbiere di Siviglia, progetto che nel 2020 ha vinto il bando per un allestimento tutto under 35 dell’opera rossiniana. Una vittoria figlia del gusto della dirigenza di allora dello Sferisterio (da quest’anno Paolo Pinamonti ha preso il posto di Barbara Minghetti alla direzione artistica del Mof) e di una giuria presieduta dal compianto Graham Vick (che dopo aver premiato Menghini lo ha voluto come suo assistente). Perché l’immaginario pop (e un certo tipo di approccio al testo) del registra britannico, scomparso un anno fa, è ben evidente in questo spettacolo “alla Vick” (citazioni comprese, come l’orsacchiotto di Rosina).
Spettacolo dove Menghini mette di tutto e di più. Immaginatevi una situazione, un oggetto, un tic del nostro mondo digitale, schiavo di social e telefonini (il biglietto che Rosina manda a Lindoro è un messaggio Whatsapp, ) e c’è in questo Barbiere che parla “in corsivo”. Non c’è un momento di respiro, in scena è un continuo via vai di persone (mimi e ballerini, coristi e tecnici che montano e smontano scenografie) e oggetti (ring light e telefonini, telecamere e casse audio, palloncini e orsacchiotti), con la musica che rischia, a volte, di passare in secondo piano, coperta dal chiasso delle immagini. Sul palco dello Sferisterio c’è uno studio televisivo (scene di Davide Signorini, costumi contemporanei e che reinventano in chiave pop il Settecento di Nika Campisi) dove si girano tre format (i video di Stefano Teodiri si vedono su due maxischermi integrati nella scenografia, le luci da studio tv sono di Simone de Angelis), due reality e una soap in costume – ma se non leggi il programma di sala con le dichiarazioni del regista che spiegano la sua chiave di lettura questo è davvero difficile da capire nel frullatore di immagini (sin dalle note della sinfonia) che è lo spettacolo. Le idee ci sono, alcune anche di sostanza, drammaturgiche, come la fuga finale di Rosina, seguita da una telecamera, attraverso i corridoi dello Sferisterio sin sulla piazza dove l’attende Ambrogio su una macchina che parte per le vie di Macerata, pugno nello stomaco che dice come Barbiere può essere anche un’opera crudele e non solo la commedia che siamo abituati a sentire e canticchiare. Idee e immagini che, però, rischiano di essere troppe, fagocitate dalle continue invenzioni (non hai il tempo di assimilarne una ed eccone un’altra e poi un’altra e un’altra ancora) di una narrazione che fa l’effetto zapping.
Disturbante e per nulla rassicurante. E forse l’intento del regista (che viene dalla prosa e dirige benissimo i cantanti) vuole essere anche questo, far crollare le certezze che si hanno riascoltando per l’ennesima volta un’opera popolare come il Barbiere. Stesso approccio di Alessandro Bonato che sul leggio ha l’edizione critica della partitura (qualche taglio nei recitativi, esecuzione pressoché integrale, compreso il Cessa di più resistere finale di Almaviva). Suono trasparente, tempi comodi (il direttore, che guida l’Orchestra filarmonica marchigiana, spiega, sempre nel programma di sala, che certe accelerazioni di tradizione in realtà Rossini non le ha scritte) che un po’ stridono con il ritmo indiavolato che si vede in scena e rischiano di fare andare lo spettacolo a due velocità (tra l’altro l’opera inizia alle 21 e si esce dallo Sferisterio ben oltre la mezzanotte) acceleratore a paletta sul fronte visivo, limiti di velocità più che rispettati su quello musicale.
Figaro ha l’energia e la musicalità di Alessandro Luongo, Rosina il bel timbro di Serena Malfi, Almaviva lo squillo (sempre più rossiniano) di Ruzil Gatin, Bartolo la nobiltà del canto (mai sopra le righe) di Roberto De Candia e Basilio la simpatia di Andrea Concetti. Fiammetta Tofoni è Berta e William Corrò Fiorello, mentre Ambrogio ha la maschera da Pietrrot di Mauro Milone. Tutti attori credibilissimi in questo format tv. Si ride, e tanto. Ma si ride per le situazioni evocate dal libretto di Sterbini e dalla musica di Rossini. Perché forse, di fronte a un mondo trash come quello della tv e social-dipendente (quanti nell’intervallo si fanno seflie e li postano cercando l’hastag che cattura più like) nel quale tragicomicamente ci specchiamo, è ancora difficile ridere di noi.
Nelle foto @Luna Simoncini Il barbiere di Siviglia a Macerata