Il 1 febbraio 1922 nasceva a Pesaro il celebre soprano Celebrazioni in tutto il mondo per la “rivale” della Callas proposte dal comitato Tebaldi100 e dal museo di Busseto
«La signorina non c’è». Gennaio 2002, metà mese, più o meno. Una voce al telefono della sua casa di Milano o di San Marino, non ricordo bene, perché avevo chiamato entrambi i numeri , più volte. Poi a un certo punto una risposta. Deludente, perché la voce mi dice che «la signorina non c’è». Un attimo. «Strano», dico. «Mi sembra una voce conosciuta». La signorina non c’è, ma provo comunque a fare la mia richiesta: chi mi ha risposto le riferirà, tanto più che mi sembra una persona gentile quella che mi sta parlando. «Cercavo la signorina Tebaldi per un’intervista per i suoi prossimi ottant’anni». Un bel traguardo. Un’occasione per farsi raccontare una carriera ricca di successi, quella fede di cui mai aveva fatto mistero raccontando che l’aveva «sempre sostenuta e aiutata nei momenti difficili», ma anche quella rivalità, costruita dai fans, tra lei e «la Maria».
«La ringrazio, la farei volentieri…». A un tratto dalla terza persona si passa alla prima. Scusi «è lei?». Era lei, Renata Tebaldi, il popolare soprano con la sua inconfondibile voce, la «voce d’angelo» come l’aveva definita Arturo Toscanini sul palco del Teatro alla Scala durante le prove del concerto dell’11 maggio 1946 che riapriva il Piermarini dopo la distruzione dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Lei c’era, cantava l’«In te Domine speravi» del Te Deum di Giuseppe Verdi nascosta nel coro, ma Toscanini ordinò: «Questa voce d’angelo fatemela scendere dal cielo». Così misero la Tebaldi su un praticabile che svettava tra i coristi. Quella voce confermò la mia sensazione. «Sì, sono io. Guardi. Chiacchiererei volentieri con lei, ma ho promesso l’esclusiva a un suo collega di un altro quotidiano» che le aveva chiesto, anche abbastanza perentoriamente, di non parlare con nessun altro. «Magari un’altra volta». Su quel quotidiano l’intervista in esclusiva uscì – e a dirla tutta non rese nemmeno giustizia alla donna e all’artista come Renata Tebaldi avrebbe meritato. Con me non se ne fece più nulla. Due anni dopo, anzi quasi tre, perché era il 19 dicembre 2004, Renata Tebaldi morì. Un funerale semplice, commovente, a Langhirano (se ne può vedere un sunto su YouTube dove c’è anche una bella intervista di Enzo Biagi) dove Renata Tebaldi aveva trascorso l’infanzia a casa dei nonni materni, i genitori della mamma Giuseppina. Langhirano dove riposa, nel cimitero della frazione di Mattaleto.
Era nata a Pesaro, la città del padre Tebaldo, il 1 febbraio 1922. Cento anni fa. E oggi il mondo della musica la celebra, la ricorda con tante iniziative. Che continueranno per tutto il 2022. Le coordina e le raccoglie il comitato Tebaldi100 promosso dalla fondazione Museo Renata Tebaldi di Busseto con l’alto patronato della Presidenza della Repubblica «per alimentare durante l’intero anno la memoria dei suoi straordinari successi ottenuti nel corso della quarantennale attività, per renderla fruibile al più vasto pubblico possibile attraverso una serie di convegni, concerti, spettacoli, percorsi didattici, giornate di studi, mostre, pubblicazioni, presentazioni, eventi» dicono dal comitato. Molte le iniziative che hanno come cuore l’Emilia verdiana da Parma a Busseto: due convegni a Parma, uno a maggio e uno a settembre quando, in occasione dell’edizione 2022 del Festival Verdi al soprano sarà dedicata una mostra fotografica che raccoglie gli scatti delle sue recite sul palco del Regio. A giugno il Festival Toscanini le dedica il concerto inaugurale, mentre Busseto mette in campo una Maratona Tebaldi lunga ventiquattr’ore. Gli omaggi della Rai, della Decca, di Skirà che prepara il catalogo del museo dove sono oltre 30mila gli oggetti e i documenti raccolti. Tanti gli appuntamenti in Italia e nel mondo già annunciati: molti incontri a Milano e a settembre una giornata intera per un Omaggio a Renata Tebaldi, che sarà ricordata anche a Napoli, Firenze, Pesaro, Torre del Lago, Verona e poi al Liceu di Barcellona, a Losanna, a Parigi, al Metropolitan di New York, a Chicago, in Brasile tra San Paolo e Rio e a Montreal.
Città che hanno applaudito al Tebaldi in una carriera lunga quarant’anni, iniziata nel 1944 al Teatro Sociale di Rovigo dove la Tebaldi debuttò cantando il ruolo di Elena nel Mefistofele di Arrigo Boito e suggellata nel concerto di addio alle scene del 23 maggio 1976 al Teatro alla Scala. Teatro dove il soprano debutta l’11 maggio 1946 nel concerto di riapertura del Piermarini dopo la Seconda guerra mondiale, scelta da Toscanini dopo l’audizione «nella quale cantai l’aria La mamma morta dell’Andrea Chénier di Umberto Giordano e la grande scena di Desdemona del quarto atto dell’Otello di Verdi con la Canzone del salice e l’Ave Maria» ricordava la Tebaldi in un’intervista tv a Enzo Biagi. Dove ripercorreva una carriera nella quale «il successo è stato il premio di tante fatiche e tanti sacrifici» e dove parlava anche dell’amore, lei che non si era mai sposata. «Ho avuto degli amori e sono stata ricambiata. E in quei momenti sono stata felice. Avrei voluto sposare il mio primo amore, un ragazzo buono che sognava la famiglia. Ma la mia carriera era all’inizio, sapevo che avrei girato il mondo e che non avrei potuto essere la moglie che lui sognava. Così rinuncia» raccontava la Tebaldi che sino all’ultimo, per tutti, è sempre stata «la signorina». Le piaceva farsi chiamare così. Apparentemente schiva, ma nel suo lavoro non rinunciava a mostrare il suo temperamento. Un carattere forgiato sin dall’infanzia, a tre anni la poliomielite, dalla quale guarì completamente.
Gli studi al Conservatorio di Parma con Italo Brancucci ed Ettore Campogalliani e al liceo musicale di Persaro con Carmen Melis. E poi il palcoscenico. Tanto Verdi, Giovanna d’Arco, Violetta della Traviata, Leonora del Trovatore, Amelia del Boccanegra, Elisabetta del Don Carlo, Aida e Desdemona. Puccini con Tosca e Butterfly, Manon Lescaut e Suor Angelica e Minnie della Fanciulla del West. Gioconda, Adriana Lecouvreur, Fedora, Maddalena dello Chénier che cantò con Beniamino Gigli a San Paolo del Brasile. E Wagner con Tannhäuser, Lohengrin e Meistersinger. Ruoli interpretati con Toscanini e Herbert von Karajan, Dimitri Mitropulos, Tullio Serafin e Alberto Erede, Francesco Molinari Pradelli e Georg Solti, accanto ai gradi tenori del Novecento, da Gigli a Luciano Pavarotti passando per Mario Del Monaco, Richard Tuker e Carlo Bergonzi. La rivalità con Maria Callas, perché la contrapposizione, la curva da stadio scalda sempre gli animi e piace. Rivalità che non aveva senso di esistere, in realtà per il carattere diverso, diversissimo delle due interpreti. Maria, unica e irripetibile, animale da palcoscenico, tigre, attrice inarrivabile con il corpo e con la sua voce (a detta di alcuni non bella) che sapeva raccontare un personaggio, la sua vita, il suo tormento, la sua (ancora oggi) profonda attualità. Renata che puntava tutto sulla bellezza della voce e sulla perfezione musicale (scenicamente, diciamolo, qualche appunto glielo si poteva fare, vedere i filmati che ci sono per credere) delle sue interpretazioni.
Voce per i grandi compositori. Quella voce che «è stata la mia vita, il grande dono che Dio mi ha fatto» diceva sempre con uno struggimento tutto suo, che le increspava quella voce d’angelo colorandola di una dolce malinconia. Che ricordo ancora bene, al di là della cornetta, in quel gennaio di venti anni fa.