I Vêpres inaugura la stagione dedicata alle stragi del 1992 vicende storiche attualizzate nella regia di Emma Dante «Compito di un teatro è quello di tenere viva la memoria» dice il nuovo sovrintendente del Massimo Marco Betta
I volti delle tante, troppe vittime di mafia. Portati in processione su stendardi. Volti di martiri laici. Quelli noti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma anche quelli meno conosciuti di tanti che hanno dato la vita per lo Stato. Sfilano sul palco del Teatro Massimo di Palermo nella regia che Emma Dante, artista palermitana spesso divisiva per il segno forte che imprime ai suoi spettacoli, ha immaginato per Les vêpres siciliennes di Giuseppe Verdi, opera che giovedì 20 gennaio inaugura la nuova stagione lirica palermitana. «Ci sono i loro volti perché il cartellone 2022 è dedicato al ricordo dei trent’anni delle stragi di mafia del 1992 che culminarono negli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino» racconta Marco Betta nominato in questi giorni nuovo sovrintendente del Massimo, al posto di Francesco Giambrone che a dicembre ha traslocato all’Opera di Roma. Una stagione, quella delle stragi di mafia, che Betta, compositore nato a Enna nel 1964, ha vissuto in prima persona, dentro il teatro. «Ero nel consiglio di amministrazione del Massimo che al tempo era ancora chiuso. Una ferita per la città, un peso ingombrante per la mia giovinezza quello di un teatro chiuso per tanto tempo. Ma nel 1997, quando ero direttore artistico, lo riaprimmo. E così questa stagione che si apre con i Vêpres di Verdi celebra anche quel momento». Una ripartenza, allora come oggi, quando si prova, faticosamente, a ripartire dopo le chiusure imposte dalla pandemia.
Il capolavoro di Verdi è proposto nella versione francese, che non si era mai ascoltata a Palermo. Sul podio il direttore musicale del Massimo, Omer Meir Wellber, in scena Selene Zanetti (Hélène), Leonardo Caimi (Henri), Mattia Olivieri (Guy de Montfort) e Erwin Schrott (Jean Procida). Spettacolo (trasmesso in diretta su Arte Italia) di Emma Dante che trasporta i vespri del 1282, la rivolta dei palermitani contro i dominatori francesi, proprio nel 1992 «perché noi siamo figli di quei martiri» spiega la regista. «I Vespri sono Palermo e non solo perché il libretto indica come luogo dell’azione la nostra città. I Vespri sono Palermo perché ne raccontano l’anima» riflette Betta. Sul palco la Palermo delle lenzuola bianche che sono comparse alle finestre dopo le stragi del 1992, la Palermo di Rita Borsellino che si specchia nel dolore di Hélène che piange il fratello morto – idea che già Davide Livermore aveva usato per i Vespri messi in scena nel 2011 a Torino, quando sul palco del Regio il regista riprodusse la scena della strage di Capaci, con le auto di Falcone e della scorta sventrate dal tritolo.
«Nel cuore del racconto che faccio di quest’opera si colloca lo scontro di due comunità. Nel libretto di Verdi sono due popoli diversi: da una parte gli oppressori francesi e dall’altra i siciliani. Oggi l’oppressione invece è legata alla malavita, alle associazioni a delinquere, al mondo del crimine organizzato che a Palermo si incarna nella mafia. Un’oppressione che pesa sul popolo e gli toglie la sua libertà, con l’atteggiamento mafioso degli oppressori. In scena, a vessare il popolo siciliano non c’è un esercito nemico, ma i membri di una cosca mafiosa» racconta Emma Dante spiegando che «nella ricorrenza del trentennale delle stragi di mafia abbiamo voluto portare questa commemorazione anche in scena, per cui ci saranno i ritratti di tutti: uomini e donne delle scorte, rappresentanti delle istituzioni, magistrati, agenti delle forze di polizia, sindacalisti e semplici cittadini, tutti colpevoli di essersi trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato e di essersi opposti alla mafia. La scena della sfilata dei gonfaloni con i loro volti racconta l’anima di questa messinscena» anticipa la regista.
«Quella di Emma Dante è una lettura profonda che attraverso un linguaggio moderno, attraverso visioni dice che i grandi capolavori, come Vêpres non hanno tempo. Perché il loro messaggio, la loro musica, la loro forza è quella di oltrepassare il tempo in cui sono stati scritti e arrivare sino a noi» racconta Betta tornato al Massimo nel 2020 come direttore artistico al fianco di Gambarone. «Ora, da nuovo sovrintendente, continuerò i percorsi e i cammini iniziati da Francesco. Un mandato nel segno della continuità per un teatro che si fa presidio culturale e civile, un teatro impegnato nel sociale, un teatro che diventa popolare uscendo dal teatro, portando la musica nei quartieri, penso all’esperienza con l’opera che abbiano fatto a Danisinni lavorando con la comunità civile. Gettando, allo stesso tempo, lo sguardo oltre le nuvole che ancora ci sono all’orizzonte» dice Betta che ha disegnato una stagione dal forte segno politico.
Dopo l’inaugurazione con Vêpres il Verdi di Simon Boccanegra (diretto a febbraio da Francesco Ivan Ciampa con protagonista Placido Domingo) e Nabucco (che chiederà il cartellone a ottobre). Ma sarà maggio il cuore della stagione palermitana. Sul palco del Massimo Cenere, l’opera inchiesta di Gery Palazzotto su musiche proprio di Marco Betta, Fabio Lannino e Diego Spitaleri. Il 23 maggio, giorno dell’omicidio di Giovanni Falcone, Wellber dirigerà la Messa da Requiem di Verdi. Il 19 luglio, giorno della morte di Paolo Borsellino, arriverà Falcone e Borsellino. L’eredità dei giusti di Marco Tutino (che debutterà il 27 maggio a Torino e passerà poi dal Piccolo di Milano). E per celebrare i venticinque anni dalla riapertura del Massimo il 12 maggio Michele Mariotti dirigerà la Sinfonia n. 2 Resurrezione di Gustav Mahler.
«Ogni stagione è un viaggio, un diario parziale della storia della musica che affronta e propone alcune rotte. Per noi quest’anno ci sono i grandi capolavori, l’impegno civile, la ricostruzione della memoria – spiega Betta –. Credo che senza la memoria non ci sia futuro. Quella civile e quella artistica di un Novecento che ancora ci attraversa. Noi siamo una generazione a cavallo: il 31 dicembre del 1999 siamo passati da un secolo all’altro e autori come Boulez, Berio, Stockhausen e Henze che erano nostri contemporanei in un attimo sono diventati storia. Tenere viva la memoria di un passato recente che in una notte da contemporaneo è diventato passato penso sia uno dei compiti a cui un teatro come il Massimo è chiamato».
Nella foto @Franco Lannino Les vêpres siciliennes al Massimo di Palermo
Articolo pubblicato in gran parte su Avvenire del 19 gennaio 2022
Marco Betta nella foto @Lia Pasqualino