Il regista d’opera per il suo primo ciak sceglie la lirica dirigendo due film ispirati a Gianni Schicchi e Rigoletto Puccini girato in Toscana, Verdi sul set del Circo Massimo
Damiano Michieletto, il regista italiano d’opera oggi più famoso (e più interessante, e dunque più discusso) di tutti, debutta al cinema. «Dopo decine di regie liriche e alcuni spettacoli di prosa è arrivato il tempo di confrontarmi con il linguaggio cinematografico. E per questa prima volta ho voluto il “paracadute” del melodramma» racconta il regista veneziano, classe 1975, da Berlino dove sta preparando un Orfeo ed Euridice di Gluck che andrà in scena a gennaio alla Komische oper. Doppio debutto. Perché sono due le pellicole firmate da Michieletto nell’ultimo anno: Gianni Schicchi, prodotto da Genoma film e presentato di recente al Torino film festival, e Rigoletto, prodotto da Indigo film e passato dalla Festa del cinema di Roma. Giacomo Puccini (ispirato da Dante) e Giuseppe Verdi (che si rifà a Victor Hugo) nei titoli di testa dei due lavori (il primo lo dirige Stefano Montanari con l’orchestra del Comunale di Bologna, il secondo Daniele Gatti con l’Opera di Roma, in entrambi i casi protagonista è il baritono Roberto Frontali) realizzati in collaborazione con Rai Cinema che ora arrivano in tv, durante le feste di Natale: lo Schicchi alle 23.30 di lunedì 27 gennaio su Rai1 e Rigoletto alle 21.20 di giovedì 30 dicembre su Rai3, seguito dal documentario Rigoletto 2020. Nascita di uno spettacolo. «La sfida – racconta il regista – è di provare a coinvolgere con la lirica il pubblico dei canali generalisti».
Com’è stato mettersi dietro la macchina da presa, Damiano Michieletto?
Impegnativo, indubbiamente, per me che ho sempre realizzato i miei lavori per il palcoscenico. Ma ripensando al mio lavoro nella lirica mi sono accorto che il modo in cui ho usato i video in alcuni dei miei spettacoli, da Madama Butterfly alla Danmation de Faust, non aveva solo una valenza estetica, non era un decoro o un modo per sostituire la scenografia, ma le immagini avevano una funzione narrativa, raccontavano parte della storia.
Oggi nello spettacolo è necessaria una contaminazione dei linguaggi?
Credo nella mescolanza dei linguaggi, nella rottura di etichette e barriere. A patto, però, che non ci si faccia prendere la mano della tecnologia, da un virtuosismo fine a se stesso perché si arriva al pubblico solo mettendo al centro del nostro sguardo l’umanità del personaggio. Lo faccio nella lirica e ora cerco di farlo anche al cinema che arriva, dunque, come un’evoluzione naturale nel mio percorso.
Rigoletto nasce da uno spettacolo, quello andato in scena a luglio 2020 al Circo Massimo a Roma, prima opera dal vivo in Italia dopo le chiusure per il Covid
Per rispettare le regole di distanziamento avevamo un palco di 1500 metri quadrati che era una sorta di set cinematografico: l’azione era ripresa da alcune steadycam le immagini, molte in primissimo piano, venivano proiettate su un grande schermo e dialogavano con filmati realizzati precedentemente per raccontare quello che non si vedeva in scena, come il rapimento di Gilda, o i ricordi di Rigoletto della vita felice di un tempo. In sala di montaggio abbiamo lavorato su questo materiale, realizzato per uno spettacolo teatrale, per renderlo cinematografico, conservando anche le sporcature delle steadycam per un racconto ancora più vero e immediato. Ne è uscito un lungo piano sequenza, un film in presa diretta a metà strada tra la rappresentazione dal vivo e quella cinematografica che diventa per lo spettatore un modo di entrare in maniera originale nell’opera.
Gianni Schicchi, invece, è un film vero e proprio, girato in Toscana.
Con i ritmi del set ai quali tutti noi, abituati a lavorare in teatro, ci siamo adeguati, svegliandoci all’alba e finendo a tarda sera. Un lavoro di gruppo, con Stefano Montanari, il direttore d’orchestra, sempre sul set. Prima è stata registrata la parte musicale che gli interpreti ascoltavano tramite auricolari cantando dal vivo con il suono in presa diretta. Cinque settimane di lavorazione che hanno coinvolto 237 persone in quindici luoghi diversi in provincia di Siena, tra i comuni di Trequanda e Pienza.
Perché l’opera di Puccini per il suo primo film?
Cercavo una storia che mi mettesse a disposizione una narrazione cinematografica e per iniziare ho scelto un’opera non troppo complessa, lo Schicchi dura un’ora ed è una commedia e anche se scritta in endecasillabi e settenari suona come una moderna commedia musicale. Il prossimo film mi piacerebbe farlo con un dramma: Suor Angelica, altro tassello del Trittico pucciniano che ho messo in scena in teatro e dal quale ho preso qualche idea per lo Schicchi, sarebbe l’ideale.
E film non tratto da un’opera?
Ci sarà sicuramente, ho già scritto il soggetto. Ma è un ulteriore salto e ha bisogno dei suoi tempi.
Cosa l’affascina del cinema?
La sua riproducibilità sicuramente. Soffro il fatto che il teatro lasci poca memoria di sé: di tanti miei spettacoli non ho nessuna testimonianza se non alcune foto. Un libro, un quadro, un film lasciano indelebile e chiara nel tempo la traccia del pensiero dell’autore. A livello creativo, poi, mi piace la rapidità e l’immediatezza del cinema: un secondo sei in un posto e un secondo dopo puoi essere dall’altra parte del mondo.
Ricorda la sua prima volta al cinema?
Avevo sette anni, il mio padrino mi portò a vedere Il libro della giungla di Walt Disney. La sala era affollatissima e vidi tutto il film in braccio a lui. Mi ricordo benissimo di essere stato stregato dalle canzoni che mi hanno reso ancora di più avvincente la storia: si capisce che avevo già il tarlo della musica.
Quali i registi che apprezza?
Senza fare nomi di grandi che sono scomparsi, pensando a chi c’è oggi in attività dico Paolo Sorrentino che ha una marcia in più rispetto a tutti gli altri.
Nelle foto Gianni Schicchi e Rigoletto (@Kimberley Ross)
I ritratti di Damiamo Michieletto sono di Stefano Guindani
Intervista piubblicata su Avvenire del 21 dicembre 2021