Il regista che ha inaugurato la nuova stagione della Scala riflette sulle contestazioni piovute sul suo spettacolo: «Dissensi o consensi non determinano una carriera»
«Oggi tutta Italia parla di Giuseppe Verdi. E per me basta questo. Perché Verdi se lo merita, si merita introspezione, approfondimento. Perché con le sue opere ci ha fatto sentire comunità come nessun altro. Cosa che oggi non sappiamo più fare». Comunità, avverte Davide Livermore, «non consenso bulgaro, quello non mi è mai interessato. Anzi, mi fa paura». Il giorno dopo il Macbeth di Giuseppe Verdi che ha inaugurato la stagione del Teatro alla Scala il regista torinese torna sui dissensi che hanno salutato il suo spettacolo. «Un conto è riceverli a 25 anni, un contro a 55. Tanto più che non sono i consensi o i dissensi a fare o a distruggere una carriera» dice Livermore che racconta poi come «prendendo un taxi fuori dal teatro il taxista mi ha raccontato di come ha visto in famiglia, insieme agli amici, Macbeth in tv. E per me già questo è emozionante, è qualcosa che mi ripaga del lavoro fatto».
Una regia dal segno fortemente moderno quella di Livermore che ambienta le vicende raccontate in musica da Verdi (l’ispirazione è l’omonima tragedia di William Shakespeare) tra i grattacieli di una metropoli moderna (l’ispirazione di Livermore è il film Inception di Christopher Nolan). «Ma sono sicuro che se avessi ambientato filologicamente la mia regia nella brughiera, con castelli e spade, avrei ricevuto comunque contestazioni. E avrei comunque tradito Verdi. Non scuotere sarebbe stato un tradimento nei confronti del compositore» riflette Livermore felice «di essere andato fino in fondo nella ricerca di uno stile che possa funzionare in teatro e in tv» e convinto che «se fai Verdi per davvero dai sempre fastidio».
Dissensi, anche frasi maleducate piovute dal loggione, lanciate nella penombra della sala durante le uscite finali. «Era la mia quarta inaugurazione consecutiva e indubbiamente un rischio me lo sono preso» dice Livermore convinto che «Verdi ti obbliga ad essere sempre contemporaneo. La scelta di rendere contemporanea l’opera è stata volutissima perché così abbiamo portato l’opera vicino a noi dato che la storia di Macbeth, cioè della capacità distruttiva del potere, è sotto gli occhi di tutti. La sfida è raccontare storie e riraccontarle perché siano nostre e in questo la tecnologia è uno strumento importante».
Tecnologia usata in teatro, ma anche in tv con la realtà aumentata che ha fatto irruzione nella diretta su Rai1 vista da due milioni e 64mila spettatori con il 10.5% di share. «Anche chi è a casa deve sentirsi un privilegiato, perché il teatro deve essere sempre pubblico, per tutti». Il Macbeth diretto da Riccardo Chailly e con Luca Salsi protagonista ha incassato alla Prima due milioni e 330 mila euro (un posto di platea costava 3mila euro). E il 7 dicembre in trend topic al secondo e al terzo posto c’erano gli hastag scaligeri #primascala e #macbeth.
Tecnologia, dunque. Come in scena tra il vortice di proiezioni di D-Wok sul grande led wall e le scene di Giò Forma che salgono e scendono continuamente. «Questo è un cammino che ho iniziato da anni e in cui c’è molto da fare: è solo l’inizio perché in futuro sarà sempre più difficile fare a meno della tecnologia» spiega Livermore che ora torna «per un po’ a fare il direttore del Teatro nazionale di Genova in vista di nuove produzioni che mi aspettano da febbraio».
Articolo pubblicato su Avvenire del 9 dicembre 2021
Nella foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Davide Livermore e la scenografa Cristiana Picco