Il pianista in concerto a Pesaro con i Péchés de vieillesse pagine che pubblica integralmente in 13 cd per Naxos
Non poteva che essere così. Non poteva che essere (anche) in streaming il concerto con il quale Alessandro Marangoni domenica 14 novembre alle 18 fa memoria a Pesaro dei centocinquantatré anni della morte di Gioacchino Rossini, morte avvenuta a Passy, a Parigi, il 13 novembre 1868. Perché il pianista novarese, classe 1979, è da sempre un musicista tecnologico: primo a sbarcare su Second Life dove ha tenuto più di cento concerti, ha aperto una web tv, Forte? Fortissimo! Tv, dove, tra le altre cose, sostiene la campagna Musica contro il lavoro minorile lanciata da Claudio Abbado. «Per me la tecnologia è sempre stata importante e penso che oggi sia un mezzo efficace per arrivare direttamente ad una massa di persone intesa come la grande platea di chi fruisce i mass media, i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa che oggi, inevitabilmente, sono i social» riflette Marangoni. Così le immagini del concerto di domenica 14 al Teatro Sperimentale di Pesaro, promosso dal Rossini opera festival, andranno sul web. Immagini e note. Rossiniane, naturalmente. «Note che – racconta il pianista – saranno quelle dei Quelques riens pour album per pianoforte, pagine brevi, che formano un ciclo autonomo, come i Ventiquattro preludi di Chopin, contenute nel dodicesimo libro dei Péchés de vieillesse».
Péchés de vieillesse che in questi anni lei ha registrato integralmente e che sta per pubblicare in un cofanetto di tredici cd della Naxos che per la prima volta raccoglie l’opera completa di Rossini.
«È stato un lungo lavoro di ricerca sulle fonti fatto negli archivi della Fondazione Rossini di Pesaro, nelle biblioteche di Bruxelles e di Parigi, ma anche in alcune collezioni private. Un’indagine che mi ha permesso di trovare venti pagine inedite, brani per pianoforte, alcuni anche molto brevi. Non solo, anche versioni inedite di brani già noti, penso alla Tarantella Puro sangue, quella usata da Ottorino Respighi nella sua suite Rossiniana, che conoscevamo nella sua versione per pianoforte, ma che ho trovato in una versione per coro. Nel box le ho incise entrambe».
Centocinquanta pagine che raccontano un Rossini diverso dal compositore di opere, da Il barbiere di Siviglia a Guglielmo Tell, che conosciamo. Perché, Alessandro Marangoni, è importante conoscere questo Rossini “da camera”?
«Questi Péchés de vieillesse, questi che lui chiama Peccati di vecchiaia e che più di ogni altra cosa contengono un’umanità più intima di Rossini, svelano un musicista che non conoscevamo. Rossini nella sua vecchiaia non scrive più opere, si ritira a vita privata a Passy, in un silenzio che si riempie di idee. E scrive molto, lontano dal clamore dei teatri. Il piano diventa quasi il suo confessore. Ogni giorni si siede alla tastiera e si cimenta con una varietà di forme e contenuti, spingendosi “oltre Rossini” e anticipando il Romanticismo, ma anche il Novecento di Satie, Stravinskij e Milhaud. Pagine che sono come un prisma dove si vede un Rossini poliedrico che fa un uso completo della tavolozza timbrica con uno sguardo al pianoforte moderno. Pagine in cui c’è molta ironia e autoironia. Ci sono molte citazioni, c’è l’opera e c’è un pezzo che Rossini scrive per il suo funerale. In questi Peccati c’è poi un ritorno, uno svelamento della fede di Rossini, c’è lo sguardo di un bambino che si confida con Dio, c’è un bel parallelismo tra l’immagine della madre e quella di Maria in una bellissima e commovente Ave Maria. Pagine di un uomo che mentre confessa i suoi “peccati” rivela la sua grandezza».
I grandi palcoscenici, dal Teatro alla Scala all’Accademia di Santa Cecilia, i grandi maestri come Daniel Barenboim, le grandi pagine, ma anche le rarità dal Parnassum di Clementi ai Péchés di Rossini. Quale il suo approccio alla musica?
«Accanto al cosiddetto grande repertorio penso che un musicista abbia il dovere morale di andare a cercare qualcosa di inedito, l’ignoto. Io l’ho fatto con Mario Castelnuovo Tedesco e Victor De Sabata. Occorre proporre un nuovo repertorio facendo scoprire tesori che poi, magari, diventano conosciuti ed entrano nel repertorio».
Come è entrata la musica nella sua vita?
«Già tra i quattro e i cinque anni avevo dimostrato di voler suonare. Al tempo volevo suonare l’organo perché i miei genitori mi portavano a sentire molti concerti. Conoscevamo poi don Giovanni Zorzoli, sacerdote che era anche esorcista, che faceva caricature di grandi musicisti e aveva intrattenuto rapporti epistolari con grandi della musica come Herbert von Karajan e Massimo Mila. Rimasi affascinato dal suo carisma e fu lui a spingermi a suonare il pianoforte. Sul mio percorso, dopo il diploma al Conservatorio di Alessandria, ho incontrato Maria Tipo con la quale ho studiato a Fiesole e che, a fine anno, compirà novant’anni».
Nel suo curriculum c’è anche la laurea in Filosofia.
«Ho frequentato l’Università degli Studi di Pavia ed ero in convitto all’Almo Collegio Borromeo, l’unico collegio dove la musica era prevista dallo statuto, lo aveva voluto san Carlo facendo costruire una stanza della musica, unico caso nel mondo perché in tutti gli altri collegi la musica era proibita. Da ex studente collaboro ancora oggi come direttore artistico dell’orchestra e del coro del Borromeo che abbiamo rilanciato di recente, incidendo anche una Via Crucis di Liszt. Proponiamo la musica a studenti universitari di qualsiasi facoltà, perché l’approccio musicale è importante anche per chi si cimenterà e si misurerà in altri campi della vita. La nostra è una pedagogia del bello per aiutare lo sviluppo concreto e completo dell’uomo. E si vede subito l’immediato ritorno nella gioia del fare musica insieme. Al Collegio Borromeo c’è sempre musica nelle stanze perché i ragazzi si trovano a fare musica insieme oltre gli orari delle prove. E pur non essendo studenti di conservatorio hanno un buon livello di preparazione e di tecnica. Capita che qualche studente si appassioni talmente tanto alla musica che poi decide di non intraprendere la professione per la quale si è laureato per fare il musicista. Come è capitato a me».
Anche se un aspetto umanistico ed educativo lo ha mantenuto nell’approccio divulgativo. Perché è importante diffondere la musica?
«La musica è fatta per essere divulgata, è insito nella sua natura. I suoni devono essere fissati in una partitura altrimenti volano via e una partitura poi deve essere eseguita per rimanere viva. Compito di noi musicisti è di andare incontro al pubblico, oggi più che mai dopo che per tanto tempo si è pensato il contrario, che fosse il pubblico a dover venire da noi. L’educazione musicale deve essere per tutti, per questo è importante farla nelle scuole. Occorre poi divulgare la musica nella maniera più semplice possibile. Consiglierei a tutti di far fare musica ai propri figli sin dalla più tenera età, io ne ho due piccoli e con mia moglie che è flautista, soprattutto con il maggiore, suoniamo insieme. La tradizione di fare musica in casa è ancora viva nel nord Europa mentre da noi si è un po’ persa».
La tecnologia sicuramente può aiutare.
«La tecnologia smart oggi si sviluppa con costi anche bassi e dunque anche con poco un allievo di un conservatorio può realizzare un suo video dove suona, dove parla degli autori che ama, dove offre un suo pensiero sulla musica. Forse, però, non insegniamo abbastanza ad usarla e a sfruttarne al meglio tutte le potenzialità».
Sulla sua web tv Forte? Fortissimo! porta avanti la campagna Musica contro il lavoro minorile. Un musicista deve “sporcarsi le mani” con il sociale?
«Certo. Ce lo hanno insegnato grandissimi artisti come Claudio Abbado. Io porto avanti la sua campagna contro il lavoro minorile promossa dall’Organizzazione internazionale del lavoro dell’Onu. Basta un concerto, un simbolo, due parole prima di fare musica per far conoscere a tante persone una piaga che spesso viene ignorata, ma c’è ed è drammatica. Con la web tv sono riuscito a coinvolgere amici come Paolo Fresu, Michelangelo Pistoletto, Aldo Ceccato che sono diventati testimonial della campagna e durante i loro concerti e le loro performance fanno un’opera di sensibilizzazione. Perché compito di un musicista è anche comunicare i valori fondanti della vita».
Nella foto @Ivan Previsdomini Alessandro Marangoni