Prima complicata per il Donizetti diretto da Gamba: contestato (e sostituito) Paolo Fanale come Nemorino Ottimo debutto al Piermarini per Benedetta Torre/Adina
Questa volta non c’è nemmeno il linguaggio diplomatico per comunicare che Paolo Fanale non sarà Nemorino nella seconda recita de L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti in scena al Teatro alla Scala. Quella formula di rito, «a causa di un’improvvisa indisposizione», che (lo sanno gli addetti ai lavori, ma non solo loro…) dice che qualcosa non è andato e si preferisce (quasi sempre di comune accordo tra teatro e artista) sostituire un interprete. È successo tante volte. Succederà ancora. Fa parte delle regole del gioco. Perché non sempre si è in serata o non sempre il ruolo per il quale si è scritturati si rivela adatto. Allora, meglio ripensarci… per tempo. Questa volta il Teatro alla Scala, però, non ha usato nessun giro di parole per comunicare che il tenore palermitano, classe 1982, scritturato per tre recite del capolavoro di Donizetti, non avrebbe cantato nella seconda (ma nemmeno in quella del 21 novembre), dopo gli esiti non proprio soddisfacenti della prima. Dove insieme agli applausi e a qualche «Bravo Paolo!» si è preso diversi «buu» sia dopo la Furtiva lagrima che alle uscite finali. Quando, con poco tempismo, ha fatto segno a chi dissentiva di non sentire, facendo il gesto di «fare più forte»… non l’avesse mai fatto. Reazione umanamente comprensibile di fronte a intemperanze del loggione che quasi sempre (forse anche senza il quasi) appaiono maleducate, intempestive, poco rispettose del lavoro e della fatica degli artisti. Ma il sapore era quello di una sfida. Non sostenibile vista la prova musicale offerta, non proprio impeccabile.
«Sarà Francesco Meli (attualmente impegnato nelle prove di Macbeth diretto da Riccardo Chailly, titolo inaugurale della Stagione 2021/2022 e suo quarto 7 dicembre) a vestire i panni di Nemorino nella rappresentazione di domenica 14 novembre» la formula usata. Nemmeno un cenno a Fanale nel comunicato che annuncia anche che Benedetta Torre, già reclutata per le prime due repliche per sostituire l’indisposta Aida Garifullina, sarà Adina in tutte le recite dell’Elisir (e Nemorino sarà il già previsto Vittorio Grigolo che sarà in scena anche nella recita del 21 novembre inizialmente assegnata a Fanale reclutato con Grigolo per sostituire l’annunciato René Barbera). Decisionedel teatro? Scelta del tenore? Oculata e giusta, sicuramente. Che, però, forse doveva arrivare prima. In corso di prove. Dopo la generale. O, in extremis, tra il primo e il secondo atto della prima quando si è chiaramente capito che la prova di Fanale nei panni di Nemorino avrebbe scatenato qualche reazione – un isolato «buu» lo aveva salutato già alla fine della sua sortita, il Quanto è bella, quanto è cara. Ma al di là delle reazioni (prevedibili) del pubblico era chiaro che la prova musicale messa in campo questa volta dal tenore – spesso apprezzato per la sua musicalità, il suo timbro e la sua presenza scenica – non era all’altezza dell’artista. Ed era chiaro che continuare nella recita equivaleva ad un “suicidio”. Chiunque abbia scelto, sicuramente, avrà avuto le sue ragioni.
Fa, però, un certo effetto vedere come da un giorno all’altro, nello stesso teatro, sullo stesso palcoscenico, ci possano essere esiti cosi diametralmente opposti. Una sera in paradiso con la perfezione de La Calisto di Francesco Cavalli dove non c’è nulla che non funzioni – direzione strepitosa di Christophe Rousset, spettacolo perfetto di David McVicar, cast che meglio non si può tra Chenn Reiss, Christophe Dumaux, Olga Bezsmertna, Veronique Gens, Luca Tittoto, Markus Verba, Damiana Mizzi, Chiara Amarù… – e una sera nel limbo di un Elisir da teatro di repertorio dove niente (o quasi) sembra funzionare. Lo spettacolo, in primis. Se le scene e i costumi di Tullio Pericoli (l’allestimento è degli anni Novanta) sono comunque sempre piacevoli da vedere nella loro caricaturalità poetica, la regia nella ripresa di Grischa Asagaroff mette in fila i peggiori tic da vecchia opera, caccole, scenette e controscenette (alcuni gigioneggiamenti di certe coriste sono davvero fastidiosi), ammiccamenti da avanspettacolo al limite del volgare… svuotando la storia della leggerezza e della tenerezza di cui la riveste Donizetti.
Al quale questa volta non rende giustizia dal podio Michele Gamba. Il direttore, che pure ha già diretto il popolare titolo, anche alla Scala, appare come disorientato di fronte alla partitura (alla quale sono sati apportati diversi tagli, specie nei da capo) che restituisce senza un preciso carattere (commedia, dramma buffo?), poco scolpita e lavorata, con tempi a volte velocissimi (e qualcuno sul palco arranca) ed altri incomprensibilmente slentati. Il gesto di Gamba è chiaro, ma più di una volta arrivano scollamenti tra buca e palcoscenico (coro, banda, solisti…).
Peccato. Perché in scena, salita in corsa per sostituire la Garifullina, c’è Benedetta Torre, un’Adina originale e fuori dai cliché del personaggio: voce piena, ricca (il soprano genovese ha 27 anni, ma bel carattere e piglio), facile in acuto, timbratissima nei gravi che colorano Adina di una certa malinconia, vera perché frutto anche dell’emozione del debutto di Benedetta Torre. E c’è Davide Luciano che offre a Belcore la sua voce avvolgente e la sua innata simpatia, misuratissimo, il baritono campano, nel disegnare la caricatura del militare. Giulio Mastrototaro, anche lui chiamato in corsa (in locandina era stato annunciato Carlos Alvarez), è un corretto e musicale Dulcamara. Così come Francesca Pia Vitale, vivace Giannetta. Paolo Fanale da subito ha mostrato di essere in serata no: acuti faticosi, suoni ingolati, fraseggio approssimativo, difficoltà di intonazione… Un vero peccato perché scenicamente il personaggio di Nemorino risulta convincente. Ora tocca a Meli e Grigolo.
Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala L’elisir d’amore