Il magistero di Papa Ratzinger sulla musica classica ripercorso attraverso dieci compositori da Vivaldi a Pärt passando per gli amati Bach, Mozart e Beethoven
La foto che ha fatto il giro del mondo è dell’estate 2005. Joseph Ratzinger era Papa da qualche mese, dal 19 aprile (e qualche giorno prima aveva compiuto 78 anni). Estate 2005. Per qualche giorno di vacanza aveva scelto Les Combes, in Valle d’Aosta, lo stesso chalet dove si recava san Giovanni Paolo II. Ecco lo scatto, Benedetto XVI al pianoforte, un pianoforte a muro. Sul piano una partitura di Johann Sebastian Bach. «Un autore che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio». Gli occhi fissi sulla partitura aperta sul leggio, Wolfgang Amadeus Mozart, naturalmente. Perché «un affetto particolare mi lega, potrei dire da sempre, a questo sommo musicista» rivela il Papa (allora non ancora emerito) nel 2010, a Castel Gandolfo, dopo aver ascoltato il Requiem del compositore di Salisburgo.
Uno scatto che ha raccontato a tuti la passione per la musica di Joseph Ratzinger. Nata in famiglia grazie all harmonium regalato a Joseph e al fratello Georg (sacerdote anche lui, a lungo direttore del coro della cattedrale di Ratisbona) dal padre – anche lui, come il futuro Papa, si chiamava Joseph. «Nel guardare indietro alla mia vita, ringrazio Dio per avermi posto accanto la musica quasi come una compagna di viaggio, che sempre mi ha offerto conforto e gioia» dice il 16 aprile del 2007 quando, per il suo ottantesimo compleanno, Gustavo Dudamel in Aula Paolo VI dirige la Stuttgarter Radio-Symphonieorchesters des Swr. Perché, sottolinea il Pontefice, «la musica è veramente il linguaggio universale della bellezza, capace di unire fra loro gli uomini di buona volontà su tutta la terra e di portarli ad alzare lo sguardo verso l’Alto ed ad aprirsi al Bene e al Bello assoluti, che hanno la loro ultima sorgente in Dio stesso».
La famiglia Ratzinger. In piedi a destra Joseph, futuro Papa Benedetto XVI
Quella per la musica è una passione che Joseph Rtzinger ha sempre coltivato, anche dopo l’elezione a successore di Pietro. Suonando il pianoforte, naturalmente. Ascoltando concerti – molti quelli che durante il pontificato di Benedetto XVI sono stati proposti in Vaticano. E parlando di musica, da musicista che sa coniugare le note con la fede, che sa far dialogare l’arte con la scintilla del Creatore. «La musica ci purifica e ci solleva, ci fa sentire la grandezza e la bellezza di Dio» la riflessione fatta nell’ottobre del 2005 da Joseph Ratzinger, dopo un concerto dei Münchner philharmoniker diretti da Christian Thielemann, auspicando che «l’armonia del canto e della musica, che non conosce barriere sociali e religiose, rappresenti un costante invito per i credenti e per tutte le persone di buona volontà a ricercare insieme l’universale linguaggio dell’amore che rende gli uomini capaci di costruire un mondo di giustizia e di solidarietà, di speranza e di pace».
Il cardinale Joseph Ratzinger al pianoforte
Lo fa ancora oggi, nel monastero Mater Ecclesiae in Vaticano perché, come ricordato nel 2008, «l’arte musicale è chiamata, in modo singolare, ad infondere speranza nell’animo umano, così segnato e talvolta ferito dalla condizione terrena. Vi è una misteriosa e profonda parentela tra musica e speranza, tra canto e vita eterna: non per nulla la tradizione cristiana raffigura gli spiriti beati nell’atto di cantare in coro, rapiti ed estasiati dalla bellezza di Dio. Ma l’autentica arte, come la preghiera, non ci estranea dalla realtà di ogni giorno, bensì ad essa ci rimanda per “irrigarla” e farla germogliare, perché rechi frutti di bene e di pace».
Un magistero sulla musica quello che, come un filo rosso, attraversa i quasi otto anni di pontificato di Benedetto XVI, iniziati il 19 aprile del 2005 e chiusi, con il volo in elicottero dal Vaticano a Castel Gandolfo, il 28 febbraio del 2013. Un magistero che continua. Perché il Pontefice emerito, nel suo ritiro monastico in Vaticano, è più volte ritornato sul valore e sul significato della musica. Un magistero che proviamo a ripercorrere attraverso le parole di Joseph Ratzinger e attraverso dieci autori a lui cari. Illuminati, nelle riflessioni del Pontefice emerito, di una luce inedita.
Benedetto XVI al Teatro alla Scala di Milano il 1 giugno 2012
Che cos’è la musica? Da dove viene e a cosa tende? si chiede Joseph Ratzinger nel 2015 ricevendo il dottorato honoris causa da parte della Pontificia università Giovanni Paolo II di Cracovia e dell’Accademia di musica di Cracovia. Tre i luoghi, secondo il Papa emerito, dai quali scaturisce la musica.
«Il primo è l’esperienza dell’amore. Quando gli uomini furono afferrati dall’amore, si schiuse loro un’altra dimensione dell’essere, una nuova grandezza e ampiezza della realtà. Ed essa spinse anche a esprimersi in modo nuovo. La poesia, il canto e la musica in genere sono nati da questo essere colpiti, da questo schiudersi di una nuova dimensione della vita». Una seconda origine della musica «è l’esperienza della tristezza, l’essere toccati dalla morte, dal dolore e dagli abissi dell’esistenza. Anche in questo caso si schiudono, in direzione opposta, nuove dimensioni della realtà che non possono più trovare risposta nei soli discorsi». Infine, il terzo luogo d’origine della musica «è l’incontro con il divino, che sin dall’inizio è parte di ciò che definisce l’umano. A maggior ragione è qui che è presente il totalmente altro e il totalmente grande che suscita nell’uomo nuovi modi di esprimersi. Forse è possibile affermare che in realtà anche negli altri due ambiti – l’amore e la morte – il mistero divino ci tocca e, in questo senso, è l’essere toccati da Dio che complessivamente costituisce l’origine della musica. Si può dire che la qualità della musica dipende dalla purezza e dalla grandezza dell’incontro con il divino, con l’esperienza dell’amore e del dolore. Quanto più pura e vera è quell’esperienza, tanto più pura e grande sarà anche la musica che da essa nasce e si sviluppa».
Un valore spirituale. E un valore sociale, quello attribuito da Papa Ratzinger alla musica. «Poiché il linguaggio della musica è universale, vediamo persone di origini culturali e religiose completamente diverse che si fanno afferrare e parimenti guidare da essa e che se ne fanno interpreti. Quest’universalità della musica è oggi particolarmente accentuata grazie agli strumenti elettronici e digitali della comunicazione. Quante persone nei più diversi Paesi hanno la possibilità di prendere parte, nelle loro abitazioni, a questa esecuzione musicale o anche di riviverla in seguito!» dice Benedetto XVI nel 2007 con uno sguardo proiettato in avanti. Quasi profetico per i tempi che stiamo vivendo, tempi di streaming dettato dalla pandemia.
Non solo. Nel 2008 Papa Ratzinger richiama l’importanza dell’educazione al Bello. «Penso specialmente alle giovani generazioni che dall’accostamento a tale patrimonio artistico possono trarre sempre nuove ispirazioni per costruire il mondo secondo progetti di giustizia e di solidarietà, valorizzando, al servizio dell’uomo, le multiformi espressioni della cultura mondiale. Penso pure all’importanza che riveste l’educazione all’autentica bellezza per la formazione dei giovani. L’arte nel suo complesso contribuisce ad affinare il loro animo e orienta verso l’edificazione di una società aperta agli ideali dello spirito» dice nel 2007 dopo un concerto in Aula Paolo VI de laVerdi di Milano.
Idea rimarcata nel 2010 quando in Vaticano ascolta l’orchestra giovanile italiana. «Lo studio della musica riveste un alto valore nel processo educativo della persona, in quanto produce effetti positivi sullo sviluppo dell’individuo, favorendone l’armonica crescita umana e spirituale. Le condizioni attuali della società richiedono uno straordinario impegno educativo in favore delle nuove generazioni. I giovani, anche se vivono in contesti diversi, hanno in comune la sensibilità ai grandi ideali della vita, ma incontrano molte difficoltà nel viverli. Ricercano anche, in modi a volte confusi e contraddittori, la spiritualità e la trascendenza, per trovare equilibrio e armonia. A tale riguardo, mi piace osservare che proprio la musica è capace di aprire le menti e i cuori alla dimensione dello spirito e conduce le persone ad alzare lo sguardo verso l’Alto, ad aprirsi al Bene e al Bello assoluti, che hanno la sorgente ultima in Dio».
«Nell’ambito delle più diverse culture e religioni è presente una grande letteratura, una grande architettura, una grande pittura e grandi sculture. E ovunque c’è anche la musica. In nessun’altro ambito culturale c’è una musica di grandezza pari a quella nata nell’ambito della fede cristiana: da Palestrina a Bach, a Händel, sino a Mozart, Beethoven e Bruckner. La musica occidentale è qualcosa di unico, che non ha eguali nelle altre culture. Certo, la musica occidentale supera di molto l’ambito religioso ed ecclesiale. E tuttavia essa trova comunque la sua sorgente più profonda nell’incontro con Dio» spiega Joseph Ratzinger nel 2015. Filo rosso di tutte le sue riflessioni sui grandi autori.
Eccone dieci, raccontati (in ordine cronologicoe affiancati da link con alcuni consigli di ascolto) attraverso le parole di Benedetto XVI.
Benedetto XVI in Aula Paolo VI in Vaticano
1. Antonio Vivaldi (1678-1741)
«Il Magnificat è il canto di lode di Maria e di tutti gli umili di cuore, che riconoscono e celebrano con gioia e gratitudine l’azione di Dio nella propria vita e nella storia». Per due volte Benedetto XVI riflette sulla preghiera di Maria messa in musica da Antonio Vivaldi. «Magnificat è la parola uscita dal cuore di Maria, prediletta da Dio per la sua umiltà. E questa parola è diventata il canto quotidiano della Chiesa nell’ora del vespro, l’ora che invita alla meditazione sul senso della vita e della storia. Fin qui la “parola”. E la musica di Vivaldi? Prima di tutto è degno di nota il fatto che le arie solistiche egli le abbia composte espressamente per alcune cantanti sue allieve nell’Ospedale veneziano della Pietà: cinque orfane dotate di straordinarie qualità canore. Come non pensare all’umiltà della giovane Maria, da cui Dio trasse “grandi cose”? Così, questi cinque “assoli” stanno quasi a rappresentare la voce della Vergine, mentre le parti corali esprimono la Chiesa-Comunità. Entrambe, Maria e la Chiesa, sono unite nell’unico cantico di lode al “Santo”, al Dio che, con la potenza dell’amore, realizza nella storia il suo disegno di giustizia». Così Papa Ratzinger nel 2007 quando la pagina di Vivaldi risuona con orchestra e coro de laVerdi diretti da Zhang Xian. Nel 2012, sempre in Aula Paolo VI, è invece Riccardo Muti a proporre il Magnificat in sol minore con orchestra e coro dell’Opera di Roma. «Vivaldi è un grande esponente della tradizione musicale veneziana. Di lui chi non conosce almeno le Quattro Stagioni! Ma rimane ancora poco nota la sua produzione sacra. La sua musica nel Magnificat esprime la lode, l’esultanza, il ringraziamento e anche la meraviglia di fronte all’opera di Dio, con una straordinaria ricchezza di sentimenti: dal solenne corale all’inizio, in cui è tutta la Chiesa che magnifica il Signore, al brioso Et exultavit, al bellissimo momento corale dell’Et misericordia sul quale si sofferma con audaci armonie, ricche di improvvise modulazioni, per invitarci a meditare sulla misericordia di Dio che è fedele e si estende per tutte le generazioni».
Ascolta qui il Magnificat di Antonio Vivaldi diretto da Riccardo Muti
In Aula Paolo VI, nel maggio 2011, sempre con i musicisti dell’Opera di Roma, risuona il Credo in sol maggiore di Vivaldi. «Un brano – ricorda Benedetto XVI – composto probabilmente nel 1715 sul quale vorrei fare tre annotazioni. Anzitutto un fatto anomalo nella produzione vocale vivaldiana: l’assenza dei solisti, c’è solo il coro. In questo modo, Vivaldi vuole esprimere il “noi” della fede. Il “Credo” è il “noi” della Chiesa che canta, nello spazio e nel tempo, come comunità di credenti, la sua fede; il “mio” affermare “credo” è inserito nel “noi” della comunità. Poi vorrei rilevare i due splendidi quadri centrali: Et incarnatus est e Crucifixus. Vivaldi si sofferma, come era prassi, sul momento in cui il Dio che sembrava lontano si fa vicino, si incarna e dona se stesso sulla Croce. Qui il ripetersi delle parole, le modulazioni continue rendono il senso profondo dello stupore di fronte a questo Mistero e ci invitano alla meditazione, alla preghiera. Un’ultima osservazione. Carlo Goldoni, grande esponente del teatro veneziano, nel suo primo incontro con Vivaldi notava: “Lo trovai circondato di musica e con il Breviario in mano”. Vivaldi era sacerdote e la sua musica nasce dalla sua fede».
Ascolta qui il Credo di Antonio Vivaldi
2. Johann Sebastian Bach (1685-1750)
Per Benedetto XVI Johann Sebastian Bach è il «maestro dei maestri». Un musicista che aveva una concezione profondamente religiosa dell’arte: onorare Dio e ricreare lo spirito dell’uomo. «Soli Deo gloria. Questa frase appare come un ritornello nei manoscritti di Bach e costituisce un elemento centrale per comprendere la musica del grande autore tedesco. La profonda devozione fu un elemento essenziale del suo carattere, e la sua solida fede sostenne ed illuminò tutta la sua vita. Sulla copertina del Kleines Orgelbüchlein si possono leggere queste due righe: Al Dio Altissimo per onorarlo, agli altri per istruirli. L’ascolto della sua musica richiama una grande costruzione architettonica in cui tutto è armoniosamente compaginato, quasi a tentare di riprodurre quella perfetta armonia che Dio ha impresso nella sua creazione» ricorda il Pontefice nel 2011 dopo un concerto a Castel Gandolfo cn l’ensemble New seasons diretto da Albrecht Mayer e la violinista Arabella Steinbecher impegnati nella Partita n.2 in re minore per violino solo e nel Concerto in do minore Bwv1060. Per Joseph Ratzinger Bach «è uno splendido architetto della musica, con un uso ineguagliato del contrappunto, un architetto guidato da un tenace ésprit de géometrie, simbolo di ordine e di saggezza, riflesso di Dio e così la razionalità pura diventa musica nel senso più elevato e puro, bellezza splendente».
Ascolta qui la Partita n.2 in re minore di Johann Sebastian Bach
Bach al centro della riflessione di Benedetto XVI anche nell’udienza del mercoledì del 31 agosto 2011 dedicata alla «bellezza dell’arte come vera strada verso Dio, la Bellezza suprema» e alla musica «la più grande apologia della nostra fede. Al pari della scia luminosa dei santi e più degli argomenti di ragione». E per farlo Joseph Ratzinger attinge alla sua memoria personale di ascoltatore. «Mi torna in mente un concerto di musiche di Johann Sebastian Bach, a Monaco di Baviera, diretto da Leonard Bernstein. Al termine dell’ultimo brano, la Cantata Bwv 140 Wachet auf, ruft uns die Stimme, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio. Accanto a me c’era il vescovo luterano di Monaco e spontaneamente gli dissi: “Sentendo questo si capisce: è vero; è vera la fede così forte, e la bellezza che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio”».
Ascolta qui la Cantata Wachet auf, ruft uns die Stimme di Johann Sebastian Bach
3. Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
«Un affetto particolare mi lega, potrei dire da sempre, a questo sommo musicista» ricorda Benedetto XVI nel 2010, a Castel Gandolfo, l’Orchestra di Padova e del Veneto esegue il Requiem in re minore, pagina che il compositore di Salisburgo, morendo, lasciò incompiuta. «Ogni volta che ascolto la musica di Mozart non posso non riandare con la memoria alla mia chiesa parrocchiale, quando, da ragazzo, nei giorni di festa, risuonava una sua Messa: nel cuore percepivo che un raggio della bellezza del Cielo mi aveva raggiunto e questa sensazione la provo ogni volta, anche oggi, ascoltando la grande meditazione, drammatica e serena, sulla morte che è il suo Requiem. In Mozart ogni cosa è in perfetta armonia, ogni nota, ogni frase musicale è così e non potrebbe essere altrimenti; anche gli opposti sono riconciliati e la Mozart’sche Heiterkeit, la serenità mozartiana avvolge tutto, in ogni momento. È un dono questo della Grazia di Dio, ma è anche il frutto della viva fede di Mozart, che – specie nella sua musica sacra – riesce a far trasparire la luminosa risposta dell’Amore divino, che dona speranza, anche quando la vita umana è lacerata dalla sofferenza e dalla morte» riflette Papa Ratzinger per il quale «il Requiem di Mozart è un’alta espressione di fede, che ben conosce la tragicità dell’esistenza umana e che non tace sui suoi aspetti drammatici, e perciò è un’espressione di fede propriamente cristiana, consapevole che tutta la vita dell’uomo è illuminata dall’amore di Dio».
Ascolta qui il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart diretto da Claudio Abbado
Nell’Ave Verum Corpus in re maggiore, eseguito per Benedetto XVI da laVerdi di Milano, Joseph Ratzinger vede un momento di contemplazione. «Lo sguardo dell’anima si posa sul Santissimo Sacramento, per riconoscervi il Corpus Domini, quel Corpo che veramente è stato immolato sulla croce e da cui è scaturita la sorgente della salvezza universale. Mozart compose questo mottetto poco prima della morte, e in esso si può dire che la musica diventa veramente preghiera, abbandono del cuore a Dio, con un senso profondo di pace».
Ascolta qui l’Ave Verum Corpus di Wolfgang Amadeus Mozart
4. Ludwig van Beethoven (1770-1827)
«La Sinfonia n.9 in re minore, questo capolavoro imponente, che appartiene al patrimonio universale dell’umanità, suscita sempre di nuovo la mia meraviglia». Benedetto XVI ha proposto la sua riflessione sul capolavoro di Ludwig van Beethoven, in due occasioni. La prima dopo che la grande pagina è risuonata, nell’ottobre del 2007, in Aula Paolo VI, diretta da Mariss Jansons alla guida di orchestra e coro della Bayerische rundfunk. «Dopo anni di auto-isolamento e di vita ritirata, in cui Beethoven aveva da combattere con difficoltà interne ed esterne che gli procuravano depressione e profonda amarezza e minacciavano di soffocare la sua creatività artistica, il compositore ormai totalmente sordo, nell’anno 1824, sorprende il pubblico con una composizione che rompe la forma tradizionale della sinfonia e, nella cooperazione di orchestra, coro e solisti, si eleva ad uno straordinario finale di ottimismo e di gioia».
Che cosa era accaduto? si chiede il Pontefice. «Per ascoltatori attenti, la musica stessa lascia intuire qualcosa di ciò che sta alla base di questa esplosione inaspettata di giubilo. Il travolgente sentimento di gioia trasformato qui in musica non è qualcosa di leggero e di superficiale: è un sentimento conquistato con fatica, superando il vuoto interno di chi dalla sordità era stato spinto nell’isolamento – le quinte vuote all’inizio del primo movimento e l’irrompere ripetuto di un’atmosfera cupa ne sono l’espressione. La solitudine silenziosa, però, aveva insegnato a Beethoven un modo nuovo di ascolto che si spingeva ben oltre la semplice capacità di sperimentare nell’immaginazione il suono delle note che si leggono o si scrivono. Mi si affaccia alla mente, in questo contesto, un’espressione misteriosa del profeta Isaia che, parlando di una vittoria della verità e del diritto, diceva: “Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno“. Si accenna così ad una percettività che riceve in dono chi da Dio ottiene la grazia di una liberazione esterna ed interna» rifletteva Joseph Ratzinger, concludendo poi che «Dio – a volte proprio attraverso periodi di vuoto e di isolamento interni – vuole renderci attenti e capaci di “sentire” la sua presenza silenziosa non solo “sopra la volta stellata”, ma anche nell’intimo del nostro animo. È lì che arde la scintilla dell’amore divino che può liberarci a ciò che siamo veramente».
Ascolta qui la Sinfonia n.9 di Ludwig van Beethoven diretta da Mariss Jansons
Ancora più ampia la riflessione che Benedetto XVI pronuncia il 1 giugno 2012 al Teatro alla Scala di Milano dopo La Nona proposta da Daniel Barenboim con orchestra e coro del Piermarini. «La gestazione della Sinfonia fu lunga e complessa, ma fin dalle celebri prime sedici battute del primo movimento, si crea un clima di attesa di qualcosa di grandioso e l’attesa non è delusa. Beethoven pur seguendo sostanzialmente le forme e il linguaggio tradizionale della sinfonia classica, fa percepire qualcosa di nuovo già dall’ampiezza senza precedenti di tutti i movimenti dell’opera, che si conferma con la parte finale introdotta da una terribile dissonanza, dalla quale si stacca il recitativo con le famose parole O amici, non questi toni, intoniamone altri di più attraenti e gioiosi, parole che, in un certo senso, voltano pagina e introducono il tema principale dell’Inno alla Gioia. È una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica. Non è una gioia propriamente cristiana quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di là di ogni barriera e convinzione».
Un concerto che arrivava a poche ore dal terremoto che colpì l’Emilia Romagna e la provincia di Mantova. «Le parole riprese dall’Inno alla gioia di Schiller suonano come vuote per noi, anzi, sembrano non vere. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l’ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza» riflette Joseph Ratzinger. Poi avverte: «In quest’ora, le parole di Beethoven, Amici, non questi toni …, le vorremmo quasi riferire proprio a quelle di Schiller. Non questi toni. Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad andare avanti. Dopo questo concerto molti andranno all’adorazione eucaristica – al Dio che si è messo nelle nostre sofferenze e continua a farlo. Al Dio che soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore».
Ascolta qui la Sinfonia n.9 di Ludwig van Beethoven diretta da Daniel Barenboim
Daniel Barenboim sul podio alla Scala. Come, a Castel Gandolfo, qualche mese dopo. Ancora per Beethoven con la West Easter divan orchestra, formazione che vede fianco a fianco musicisti israeliani e musicisti arabi, per la Sinfonia n.5 in do minore e la Sinfonia n.6 in fa maggiore, la celeberrima Pastorale. «Queste due celeberrime pagine esprimono due aspetti della vita: il dramma e la pace, la lotta dell’uomo contro il destino avverso e l’immersione rasserenante nell’ambiente bucolico. Beethoven lavorò a queste due opere, in particolare al loro completamento, quasi contemporaneamente. Tant’è vero che esse vennero eseguite per la prima volta insieme nel memorabile concerto del 22 dicembre 1808, a Vienna. Il messaggio che vorrei trarne oggi è questo: per giungere alla pace bisogna impegnarsi, lasciando da parte la violenza e le armi, impegnarsi con la conversione personale e comunitaria, con il dialogo, con la paziente ricerca delle intese possibili» le parole di Joseph Ratzinger.
Ascolta qui la Sinfonia n.5 di Ludwig van Beethoven diretta da Leonard Bernstein
Ascolta qui la Sinfonia n.6 di Ludwig van Beethoven diretta da Daniele Gatti
Il Maggio musicale fiorentino e Zubin Mehta portano la Sinfonia n.3 in mi bemolle maggiore Eroica in Aula Paolo VI nel 2013. «Un’opera complessa che segna in modo chiaro il distacco dal sinfonismo classico di Haydn e Mozart. Come è noto, era dedicata a Napoleone, ma il grande compositore tedesco cambiò idea dopo che Bonaparte si proclamò imperatore, mutando il titolo in: “composta per festeggiare il sovvenire di un grand’Uomo”. Beethoven esprime musicalmente l’ideale dell’eroe portatore di libertà e di uguaglianza, che è davanti alla scelta della rassegnazione o della lotta, della morte o della vita, della resa o della vittoria; e la Sinfonia descrive questi stati d’animo con una ricchezza coloristica e tematica fino ad allora sconosciuta» riflette Benedetto XVI guardando poi al secondo tempo della sinfonia, la celeberrima Marcia funebre. «Un’accorata meditazione sulla morte, che inizia con una prima sezione dai toni drammatici e desolati, ma che contiene, nella parte centrale, un episodio sereno intonato dall’oboe e poi la doppia fuga e gli squilli di tromba: il pensiero sulla morte invita a riflettere sull’al di là, sull’infinito. In quegli anni, Beethoven, nel testamento di Heiligenstadt dell’ottobre 1802 scriveva: “O Dio, Tu dall’alto guardi nel mio intimo, lo conosci e sai che è colmo d’amore per l’umanità e di desiderio di fare del bene”. La ricerca di senso che apra ad una speranza solida per il futuro fa parte del cammino dell’umanità».
Ascolta qui la Sinfonia n.3 di Ludwig van Beethoven diretta da Zubin Mehta
5. Gioachino Rossini (1792-1868)
Una grande meditazione sul mistero della morte anche nello Stabat Mater di Gioachino Rossini, proposto in Vaticano a maggio del 2011 dall’Opera di Roma. «Rossini aveva concluso la fase operistica della sua carriera a soli 37 anni, nel 1829, con il Guillaume Tell. Da questo momento non scrisse più pezzi di vaste proporzioni, con due sole eccezioni, entrambe di musica sacra: lo Stabat Mater e la Petite Messe Solennelle. Quella di Rossini è una religiosità che esprime una ricca gamma di sentimenti di fronte ai misteri di Cristo, con una forte tensione emotiva. Dal grande affresco iniziale dello Stabat Mater dolente e affettuoso, ai brani in cui emerge la cantabilità rossiniana e italiana, ma sempre carica di tensione drammatica, fino alla doppia fuga finale con il poderoso Amen, che esprime la fermezza della fede, e l’In sempiterna saecula, che sembra voler dare il senso dell’eternità» la meditazione di Papa Ratzinger che rintraccia poi due perle in due brani a cappella della Sequenza, l’Eja mater fons amoris e il Quando corpus morietur. «Qui il maestro torna alla lezione della grande polifonia, con un’intensità emotiva che diventa preghiera accorata: Quando il mio corpo morirà, fa’ che all’anima sia data la gloria del Paradiso. Rossini a 71 anni, dopo aver composto la Petite Messe Solennelle scrive: “Buon Dio, eccola terminata questa povera Messa… Sai bene che sono nato per l’opera buffa! Poca scienza, un po’ di cuore, tutto qui. Sii dunque benedetto e concedimi il paradiso”. Una fede semplice e genuina».
Ascolta qui lo Stabat Mater di Gioachino Rossini diretto da Carlo Maria Giulini
6. Franz Schubert (1797-1828)
Per raccontare Franz Schubert, nell’agosto del 2008, Benedetto XVI, ricorda l’epitaffio del compositore: «Fece risuonare la poesia e parlare la musica». Il capolavoro del “principe del lied” – ne scrisse più di seicento – Die Winterreise, Il viaggio d’inverno vede il compositore mettere in musica ventiquattro liriche di Wilhelm Müller. «Schubert esprime un’intensa atmosfera di triste solitudine, da lui particolarmente avvertita dato lo stato d’animo di prostrazione causatogli dalla lunga malattia e dal susseguirsi di non poche delusioni sentimentali e professionali. È un viaggio tutto interiore, che il celebre compositore austriaco scrisse nel 1827, solo un anno prima della prematura morte, che lo colse a 31 anni» riflette Papa Ratzinger (che ascoltò la versione per pianoforte e violoncello, senza la voce umana, sostituita dallo trumento ad arco) ricordando poi che «quando Schubert fa calare un testo poetico nel suo universo sonoro, lo interpreta attraverso un intreccio melodico che penetra nell’anima con dolcezza, portando anche chi l’ascolta a provare lo stesso struggente rimpianto avvertito dal musicista, lo stesso richiamo di quelle verità del cuore che vanno al di là di ogni raziocinio. Nasce così un affresco che parla di schietta quotidianità, di nostalgia, di introspezione, di futuro. Tutto riaffiora lungo il percorso: la neve, il paesaggio, gli oggetti, le persone, gli eventi, in un fluire struggente di ricordi».
Ascolta qui Winterreise di Franz Schubert cantata da Ditrich Fischer-Diskau
Ascolta qui Winterreise di Franz Schubert per pianoforte e violoncello
7. Felix Mendelssohn (1809-1847)
Ad eseguire per Benedetto XVI in Vaticano, nell’aprile del 2012, la Sinfonia n.2 in mi bemolle maggiore Lobgesang di Mendelssohn c’è l’orchestra che la suonò per la prima volta nel 1840, il Gewandhaus di Lipsia diretto da Ricardo Chailly. «La Lobgesang fu composta da Mendelssohn per celebrare il quarto centenario dell’invenzione della stampa e fu eseguita per la prima volta nella Thomaskirche di Lipsia, la chiesa di Johann Sebastian Bach». Tre movimenti affidati all’orchestra, l’ultimo con le voci di solisti e coro. «In una lettera all’amico Karl Klingemann, lo stesso Mendelssohn spiegava che in questa sinfonia “prima lodano gli strumenti nel modo loro congeniale, quindi il coro e le singole voci”. L’arte come lode a Dio, Bellezza suprema, sta alla base del modo di comporre di Mendelssohn e questo non solo per quanto riguarda la musica liturgica o sacra, ma l’intera sua produzione. E il motto che Mendelssohn scrisse sulla partitura della Lobgesang suona così: “Io vorrei vedere tutte le arti, in particolare la musica, al servizio di Colui che le ha date e create”» riflette Benedetto XVI spiegando che «il mondo etico-religioso del nostro autore non era staccato dalla sua concezione dell’arte, anzi ne era parte integrante. Una profonda unità di vita che trova l’elemento unificante nella fede, che caratterizzò tutta l’esistenza di Mendelssohn e ne guidò le scelte. Una fede solida, convinta, nutrita in modo profondo dalla Sacra Scrittura, come mostrano, tra l’altro, i due Oratori Paulus ed Elias, e la Lobgesang piena di riferimenti biblici soprattutto dei Salmi e di san Paolo. Il duetto tra i soprani e il coro è tratto dal Salmo 40: “Ho sperato nel Signore e Lui si è chinato su di me e ha dato ascolto al mio grido”: è il canto di chi pone in Dio tutta la sua speranza e sa con certezza di non rimanere deluso».
Ascolta qui la Sinfonia n.2 Lobgesang di Felix Mendelssohn diretta da Riccardo Chailly
8. Giuseppe Verdi (1813-1901)
Riflettendo su Giuseppe Verdi, Papa Ratzinger spiega come «nelle sue opere colpisce sempre come egli abbia saputo cogliere e tratteggiare musicalmente le situazioni della vita, soprattutto i drammi dell’animo umano, in modo così immediato, incisivo ed essenziale come raramente si trova nel panorama musicale». Del compositore di Busseto nel 2012, portati da Riccardo Muti e dall’Opera di Roma, risuonano lo Stabat Mater e il Te Deum, dai Quattro pezzi sacri. «Ci troviamo di fronte al dolore di Maria ai piedi della Croce: Stabat Mater dolorosa. Il grande operista italiano, come aveva indagato ed espresso il dramma di tanti personaggi nelle sue opere, qui tratteggia quello della Vergine che guarda al Figlio sulla Croce. La musica si fa essenziale, quasi si «afferra» alle parole per esprimerne nel modo più intenso possibile il contenuto, in una grande gamma di sentimenti. Basta pensare al dolente senso di «pietà» con cui ha inizio la Sequenza, al drammatico Pro peccatis suae gentis, al sussurrato Dum emisit spiritum, alle invocazioni corali cariche di emozione, ma anche di serenità, rivolte a Maria fons amoris, perché possiamo partecipare al suo dolore materno e far ardere il nostro cuore di amore a Cristo, fino alla strofa finale, supplica intensa e potente a Dio che all’anima sia data la gloria del Paradiso, aspirazione ultima dell’umanità».
Ascolta qui lo Stabat Mater di Giuseppe Verdi diretto da Riccardo Muti
Dopo il dolre di Maria ecco l’inno di lode del Te Deum. «E anche questa pagina è un susseguirsi di contrasti, ma l’attenzione di Verdi al testo sacro è minuziosa, così da offrirne una lettura diversa dalla tradizione. Egli non vede tanto il canto delle vittorie o delle incoronazioni, ma, come scrive, un susseguirsi di situazioni: l’esultanza iniziale, la contemplazione del Cristo incarnato, che libera e apre il Regno dei Cieli, l’invocazione all’Judex venturus, perché abbia misericordia, e infine il grido ripetuto dal soprano e dal coro In te, Domine speravi con cui si chiude il brano, quasi una richiesta dello stesso Verdi di avere speranza e luce nell’ultimo tratto della vita».
Ascolta qui il Te Deum di Giuseppe Verdi diretto da Riccardo Muti
9. Anton Bruckner (1824-1896)
Un altro Te Deum, quello in do maggiore di Anton Bruckner, risuona in Vaticano nell’ottobre del 2011 con la Bayerischen staatsorchester diretto da Kent Nagano che lo affianca alla Sinfonia n. 9 in re minore. «Quando, l’11 ottobre 1896, Bruckner morì, stava ancora scrivendo la sua nona sinfonia, iniziata quasi dieci anni prima. Sentiva, ricordando Beethoven e Schubert, che si trattava del suo testamento sinfonico. Il sinfonismo bruckneriano si stacca dal modello classico, il suo discorso musicale si sviluppa per grandi blocchi accostati, sezioni elaborate e complesse non delimitate in modo chiaro, ma separate molto spesso da semplici episodi di collegamento, come pure da pause. Ascoltare la sua musica è quasi come trovarsi all’interno di una grande cattedrale, osservando le grandiose strutture portanti della sua architettura, che ci avvolgono, ci spingono in alto e creano emozione. C’è però un aspetto che è alla base della produzione di Bruckner sia sinfonica che sacra: la sua fede, semplice, solida e genuina, conservata per tutta la vita tanto da voler essere sepolto nella chiesa dell’Abbazia di Sankt Florian, nella cripta, sotto il possente organo, che aveva suonato molte volte» riflette Benedetto XVI dopo aver ascoltato la Nona che ha come dedica Dem lieben Gott, Al buon Dio «quasi egli avesse voluto dedicare e affidare l’ultimo e maturo frutto della sua arte a Colui nel quale aveva sempre creduto, ormai l’unico e vero interlocutore a cui rivolgersi, giunto all’ultimo tratto dell’esistenza».
Ascolta qui la Sinfonia n.9 di Anton Bruckner diretto da Bernard Haitink
Per Papa Ratzinger «Bruckner chiedeva al buon Dio di poter entrare nel suo mistero, di poter ascendere alle sue altezze, di poter lodare in cielo il Signore come aveva fatto in terra con la sua musica. Il Te Deum sintetizza la fede di questo grande musicista, ripetuta nella grande doppia fuga finale: “In te, Domine speravi: non confundar in aeternum”. Un richiamo anche a noi ad aprire gli orizzonti e pensare alla vita eterna, non per sfuggire dal presente, anche se segnato da problemi e difficoltà, ma piuttosto per viverlo ancora più intensamente, portando nella realtà in cui viviamo un po’ di luce, di speranza, di amore».
Ascolta qui il Te Deum di Anton Bruckner diretto da Herbert von Karajan
Ascoltando la Sinfonia n.6 in la maggiore portata in san Paolo fuori le Mura nel 2008 dai Wiener philharmoniker diretti da Christoph Eschenbach Benedetto XVI pensa «ad un passaggio della Prima Lettera ai Corinzi in cui Paolo, dopo aver parlato della diversità e dell’unità dei carismi, paragona la Chiesa al corpo umano composto da membra tra loro molto diverse, ma tutte indispensabili per il suo buon funzionamento. Anche l’orchestra e il coro sono costituiti da strumenti e voci diverse, che accordandosi tra loro offrono un’armoniosa melodia, gradevole all’orecchio e allo spirito» riflette il Pontefice spiegando che «nella sesta sinfonia si traduce la fede del suo autore, capace di trasmettere con le sue composizioni una visione religiosa della vita e della storia».
Ascolta qui la Sinfonia n.6 di Anton Bruckner diretto da Chrispoph Eschenbach
10. Arvo Pärt (1935)
Il Novecento con Arvo Pärt e l’Accademia di Santa Cecilia diretta da Neeme Järvi. Nel 2010 in Aula Paolo VI risuona Cecilia, vergine romana del compositore estone. «L’opera di Pärt, vuole dare voce ad un’altra realtà, che non appartiene al mondo naturale: dà voce alla testimonianza della fede in Cristo, che in una parola si dice “martirio”. Interessante che questa testimonianza sia impersonata proprio da santa Cecilia: una martire che è anche la patrona della musica e del bel canto. Il testo del martirio della Santa e il particolare stile che lo interpreta in chiave musicale, sembrano rappresentare il posto e il compito della fede nell’universo: in mezzo alle forze vitali della natura, che sono intorno all’uomo e anche dentro di lui, la fede è una forza diversa, che risponde a una parola profonda, “uscita dal silenzio”, come direbbe sant’Ignazio di Antiochia» la riflessione di Joseph Ratzinger convinto che «l’opera d’arte più bella, il capolavoro dell’essere umano è ogni suo atto di amore autentico, dal più piccolo – nel martirio quotidiano – fino all’estremo sacrificio. Qui la vita stessa si fa canto: un anticipo di quella sinfonia che canteremo insieme in Paradiso».
Ascolta qui Cecilia vergine romana di Arvo Pärt diretta dall’autore