Opere in forma di concerto se ne ascoltavano anche prima del Covid. Ma la pandemia ha moltiplicato questa modalità che consente il distanziamento, non impone contatti tra i protagonisti e si prepara tutto sommato velocemente. Certo, il teatro musicale trova il suo compimento nella forma scenica, parole e musica che si fanno gesto. Ma ascoltare i grandi capolavori in forma di concerto permette di (ri)scoprirne la grandezza musicale. È capitato (capita, perché lo spettacolo è ancora visibile sino al 28 febbraio a questo link) con I puritani di Vincenzo Bellini proposti dal Teatro dell’Opera di Roma. In forma di concerto. Orchestra distanziata sul palco che si estende sino a metà platea dove c’è (come nei palchetti) il coro (ben preparato da Roberto Gabbiani). Solisti in proscenio.
Tutti concentrati sulla musica di Bellini. Bella da togliere il fiato. Musica che Roberto Abbado dal podio dirige con piglio e naturalezza, assecondando la melodia, sbalzando il racconto in un cardiogramma emotivo che si disegna sul pentagramma. Perché la storia contenuta nel libretto di Carlo Pepoli e ispirata al dramma storico Têtes rondes et Cavaliers di Jacques-François Ancelot e Joseph Xavier Boniface è, prima di tutto, il racconto di uan pazzia per amore. Su uno sfondo politico, d’accordo. Ma il centro è l’amore. Pazzia a lieto fine (a differenza di quella di Imogene nel Pirata o di quella della Lucia di Donizetti) perché Elvira non muore, ma ritrova il suo amore. Medicina che la risana.
Cast eccellente capitanato da Jessica Pratt, (ancora una volta) Elvira dagli acuti taglienti e luminosi, trasfigurata nella pazzia e nell’amore ritrovato, e da Lawrence Brownlee, (ideale) Arturo appassionato, musicalissimo, dal timbro avvolgente. Nicola Ulivieri mette la nobiltà del suo canto nel disegnare Giorgio mentre Franco Vassallo, Riccardo, ingrana strada facendo. Con loro Roberto lorenzi insieme a Rodrigo Ortiz e Irene Savignano, del progetto Fabbrica young artist program.
Nella foto @Yasuko Kageyama I puritani all’Opera di Roma