Certe cose sanno dirle solo i poeti. Solo loro sanno dipingere il rosso dei fulmini e l’avvicinarsi delle nubi, immagine di pace, e associare questo alla morte. Solo loro sanno evocare il canto degli uccellini e precipitare subito nel dolore e nella pena di chi non comprende. Solo loro sanno raccontare come dalle lacrime possono nascere i fiori. Solo loro sanno dare voce a qualcosa che voce non ha. Anzi, l’ha e prepotente. Ma non si ascolta con le orecchie, piuttosto con il cuore. A volte con la pancia diresti sentendo risuonare i Liederkreis op.39 e i Dichterliebe op.48, cicli che Robert Scumann scrive nel 1840. Tanto che sembrano quasi un tutt’uno. Racconto di piccole cose, di passeggiate nel bosco, di gorgogliare del Reno, di sogni, di amori che ail 4 gennaio Markus Werba, accompagnato al pianoforte da Michele Gamba, ha proposto al Teatro alla Scala come un viaggio beneaugurante verso la primavera.
Sala vuota, diretta sui canali social del teatro. Emozione a fior di pelle per questo Schumann leggero e spensierato, malinconico e dolente, muscolare e disarmato che Werba propone restituendolo nella sua immacolata bellezza. Voce di seta e di velluto che sa farsi soffio trasparente e cristallino quella del baritono austriaco, ideale per questo repertorio e per sfumare di molteplici colori le pagine del compositore tedesco. Che sono miniature di vita quotidiana chiuse in sé, racconti dell’anima, ma anche, incastonate una nell’altra, anelli di una catena che Gamba tiene insieme perfettamente nella sua puntuale lettura. Un dialogo, tra pianoforte e voce, intimo e disarmante nel suo arrivare semplice e immediato. Come la vita che scorre lieve. Verso quella che tutti attendiamo come una primavera di rinascita.
Nella foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala il recital di Markus Werba