Un «Aahhh» compiaciuto si leva dal pubblico quando Helmut Deutsch attacca al pianoforte le prime note di Core ‘ngrato, come a dire «questa sì che la conosciamo». Ultimo (e più apprezzato) bis (nazionalpopolare) del recital di canto di Joanas Kaufmann al Teatro alla Scala. E se il tenore tedesco non ha accontentato chi dai palchi chiedeva «opera! opera!» (ma tre sere prima si era generosamente concesso tra Verdi e Puccini), con la canzone napoletana, in tre minuti, ha fatto grande teatro, quel teatro per cui è famoso il “cantattore” lirico. Perché Kaufmann anche solo con il pianoforte (e il tablet sul leggio) ha messo passione e sentimento (quasi da sceneggiata in questo bis) nella sua voce (teatralissima) catturando per tutta la sera (un’ora e mezza senza intervallo, solo un pit stop tecnico per un bicchiere d’acqua) l’attenzione del pubblico al quale ha proposto un programma tutt’altro che facile. Vario e composito.
Ventisette lied di diciassette autori dall’allegria di Der Musenshon di Schubert all’ombrosa malinconia di Ich bin der welt abhanden gekommen di Mahler. In mezzo una collezione di istantanee del sentimento, tra gioia e dolore, tra allegria e tristezza, tra sguardo grato sul passato e abbandono fiducioso nel futuro. Kaufmann sfoggia una voce dalla bellezza immutata, limpida e ombrosa (con i suoi inconfondibili colori scuri) allo stesso tempo, duttile nel farsi sussurro volatile o grido soffocato. Colpiscono il Beethoven di Adelaide, lo Schumann di Widmung e Mondnacht, il Richard Strauss di Allersleen, il Dvorak di Als die alte mutter e lo Chopin di In mir klingt ein lied, tutti con il pianoforte raffinato di Deutsh. E, naturalmente, il Brahms della Ninnananna. Che disegna il sorriso sul volto di qualcuno in platea, ricordo di un’infanzia (cantata in musica da Kaufmann) che nella prima sera di coprifuoco milanese torna alla mente, prepotente e inaspettata, in un misto di nostalgia e malinconica mestizia.
Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala il recital di Jonas Kaufmann