Il pianista cinese ha inciso a Lipsia la pagina di Beethoven nella Thomaskirche dove è sepolto il compositore tedesco «Le Variazioni sono l’Hymalaia della musica classica»
«Finalmente ce l’ho fatta, ho scalato l’Himalaya». Ma la montagna di cui racconta il pianista Lang Lang non è la catena asiatica dell’Everest, è invece una montagna musicale, quella delle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach. Il musicista cinese, nato a Shenyang nel 1982, le ha incise per la Deutsche grammophon «dopo vent’anni di studio. Ho ascoltato per la prima volta questa pagina quando avevo dieci anni, nel celeberrimo video di Glenn Gould dove il pianista canadese ha messo la sua ultima interpretazione del capolavoro di Bach: da quel momento ho sempre pensato che un giorno seduto a quel pianoforte volevo esserci io per suonare le Goldberg. Il primo confronto alla tastiera con la partitura quando avevo diciassette anni. E già la conoscevo a memoria». Da allora le Variazioni Goldberg sono tornate periodicamente sul leggio di Lang Lang che, però, non era mai entrato in sala di incisione per registrarle. «L’ho fatto ora in una doppia versione – racconta il pianista cinese da Pechino, città dove ha trascorso il lockdown –: una in studio e una dal vivo, durante un concerto nella Thomaskirche di Lipsia, proprio accanto alla tomba del compositore tedesco».
Che effetto le ha fatto, Lang Lang, suonare le Goldberg nella chiesa di San Tommaso?
«Un’emozione che mi ha sopraffatto. Suonavo questo capolavoro e non riuscivo a trattenere le lacrime. Ho potuto sedermi all’organo barocco di Bach e seduto a quella tastiera l’ho sentito lì accanto, come se stesse ascoltando la sua musica che stavo suonando».
Cosa rappresenta per lei questa pagina, un’aria e trenta variazioni, che Bach scrisse tra il 1741 e il 1745?
«Un momento di passaggio, una partitura che suonata oggi mi traghetta in una nuova fase della vita. Un po’ come lo è stato per Bach che si è trasferito a Lipsia nel 1723, quando aveva trentotto anni, la stessa età che ho io oggi. Nella città tedesca per il compositore arrivò una svolta decisiva alla carriera, per me è l’età giusta per fare più musica barocca: sino ad ora mi sono buttato a capofitto nel repertorio romantico, ho suonato Mozart, Beethoven, Chopin ma ora è tempo di… back to Bach, un autore da cui si parte sempre e al quale sempre si torna. Il mio obiettivo come artista è quello di continuare a diventare più autocosciente e al tempo stesso di offrire ispirazione agli altri, un processo in divenire e il progetto di incisione delle Goldberg, l’Himalaya della musica, mi ha portato un po’ più avanti in questo percorso».
Vertice tecnico, ma anche spirituale della produzione del compositore tedesco le Goldberg.
«Hanno una perfetta architettura musicale, un pezzo magistrale che deve essere avvicinato con molto rispetto. Hanno in sé una quantità di cose da far girare la testa, musica, filosofia, spiritualità in una struttura circolare che racconta la vita e il mistero. Le Variazioni sono la più completa opera per tastiera di Bach: oggi le suoniamo su un pianoforte moderno, ma occorre sperimentarle sul clavicembalo, sull’organo per capire quanto suono, quasi quello di un’orchestra, ci sia dentro e per capire come questo suono vada riprodotto sulla tastiera di uno Steinway. Più suono le Goldberg e più mi rendo conto di come questa pagina sia un universo a parte rispetto a tutte le altre partiture di Bach, è come se qui il compositore avesse messo tutta la sua vita, tutte le esperienze fatte, una sorta di autoritratto, una biografia scritta in età adulta, a pochi anni dalla sua morte».
Come ha affrontato questa “scalata”?
«Con un grande timore, sicuramente, ma anche con la consapevolezza che a trentotto anni era il momento di una nuova tappa del mio percorso artistico. La versione dal vivo alla Thomaskirche è molto spontanea, mentre nella versione in studio il mio modo di suonare è diverso, più ponderato e riflessivo perché in studio ci si può concentrare su singoli dettagli e sfumature».
Chi è Johann Sebastian Bach per un musicista come lei nato e cresciuto in Cina?
«Bach è uno di famiglia, un musicista che ho sempre conosciuto e amato, perché capace di emozionarmi ogni volta. Non solo, un uomo umile, un talento dal cuore grande: ce lo dice nelle sue pagine che hanno in sé una grande spiritualità, lo sappiamo, ma anche un’idea di società multiculturale e democratica, dove il dialogo è la base di tutto».
Questa incisione delle Goldberg arriva dopo che è stato costretto ad un anno di stop per un incidente alla mano.
«Un tempo durante il quale mi sono fermato e ho avuto tempo di pensare a me, alla mia vita personale. Forse era necessario…».
Il tempo di ripartire e di nuovo il blocco per la pandemia di Covid. Il virus dalla sua Cina si è diffuso in tutto il mondo, costringendo tutti a uno stop.
«Questo dice che il mondo non ha confini, anche se spesso innalziamo muri. È stata, ed è, una tragedia: il virus ci ha fermati, ci ha fatto soffrire, però io credo e spero che questa esperienza possa renderci migliori. In attesa del vaccino è la musica che può guarirci e confortarci in questo momento drammatico che vede il mondo molto più diviso perché il virus ci ha separati e distanziati: spero che la musica torni presto a risuonare dal vivo in tutto il mondo e abbatta questi nuovi muri che abbiamo dovuto innalzare».
Com’è statala sua vita lontano dalla musica in questi mesi?
«In realtà sono stato molto attivo tra lezioni online e concerti in streaming. Ho frequentato parecchio i social. E ho studiato un nuovo repertorio tra Chopin, Debussy, Beethoven e Mozart. Ma mi è mancato esibirmi dal vivo, mi è mancata la magia del palco che nessuna piattaforma virtuale potrà mai dare».
Intervista pubblicata su Avvenire del 6 ottobre 2020